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 2013  maggio 19 Domenica calendario

L’8 PER MILLE ALLA CHIESA COME È NATO, COME È CAMBIATO

La Chiesa cattolica fa propaganda perché i cittadini la scelgano come destinataria dell’8 per mille: con frequenti spot televisivi molto persuasivi. Ugualmente si adopera la Chiesa valdese che destina l’intera somma raccolta ad opere di natura sociale, culturale assistenziale. Anche lo Stato può essere indicato come destinatario dell’8 per mille. Non ha obiettivi e scopi da proporre ai cittadini, da perseguire con la somma raccolta? Per la cultura, la tutela del paesaggio, l’assistenza sociale, la ricerca scientifica, la fame nel mondo? Perché tace, non fa propaganda e neppure informazione?
Luigi Fioravanti
luigi.fioravanti@alice.it
Caro Fioravanti, gli annunci pubblicitari della Conferenza episcopale sono molto efficaci e attraenti. Non so quanta parte dell’8 per mille venga effettivamente impiegata nelle iniziative descritte dalle immagini televisive, ma sulla loro utilità non ho alcun dubbio. Eppure quelle immagini suggeriscono anche qualche considerazione sulla parabola di una imposta che fu concepita con spirito alquanto diverso.
Nel 1929, all’epoca del primo Concordato, fu deciso che lo Stato italiano avrebbe corrisposto ai parroci un salario (la congrua). Era una sorta di compensazione per quella confisca dei beni ecclesiastici, agli inizi dell’Unità, che aveva colpito il patrimonio della Chiesa e privato i sacerdoti delle rendite di cui avevano goduto per molti secoli. Nel 1984, in occasione dei negoziati per il nuovo Concordato, parve a tutti che la congrua a carico dello Stato non corrispondesse né allo spirito dei tempi né alla dignità e all’indipendenza della Chiesa. La soluzione adottata fu simile a quella delle tasse ecclesiastiche con cui i cittadini di alcuni Paesi europei (fra cui la Germania) sostengono volontariamente la loro confessione religiosa. Secondo il sistema italiano, ogni cittadino, nella propria dichiarazione dei redditi, avrebbe potuto attribuire l’8 per mille della sua imposta alla Chiesa cattolica, ad altre Chiese o addirittura, per opere di carattere sociale e umanitario, allo Stato italiano.
Se questo era lo spirito della soluzione adottata, la realtà fu alquanto diversa. In un libro interessante e battagliero apparso recentemente presso Marsilio (Vaticano rapace. Lo scandaloso finanziamento dell’Italia alla Chiesa) e recensito da Dino Messina sul Corriere del 14 maggio, Massimo Teodori scrive a questo proposito: «Il veleno, come è noto, si nasconde nei particolari. Il trucco annidato nella legge sull’8 per mille si trovava in alcune parole del testo che ribaltavano il principio della libera scelta individuale enunciato dalla commissione italo-vaticana. Infatti, da una parte si annunciava con magniloquenza il "pieno rispetto della volontà dei cittadini" e dall’altro si stabiliva che la massa dell’Irpef, da cui trarre l’8 per mille, doveva comprendere non solo i contributi dei cittadini che esplicitamente si pronunciano, ma anche di quelli che tacciono» (circa due terzi dei contribuenti). In altre parole la ripartizione delle somme sarebbe stata fatta «in proporzione delle scelte operate» e un contributo volontario sarebbe divenuto, per chi non avesse fatto alcuna scelta, una imposta obbligatoria. Il risultato, per la Chiesa cattolica, è un gettito fiscale che si aggira ogni anno intorno a un miliardo di euro. Temo che non sia facile sapere con esattezza come questa somma venga utilizzata.
Quanto allo Stato, caro Fioravanti, anche a me piacerebbe sapere che cosa intenda fare con l’8 per mille che gli italiani decideranno di attribuirgli. Ma ancora di più vorrei sapere che cosa ne abbia fatto in questi ultimi anni. Esiste un elenco delle opere realizzate? È vera la voce secondo cui la somma sarebbe stata utilizzata per tappare qualche buco? Se rispondesse a queste domande, il ministero dell’Economia incasserebbe qualche soldo in più e soprattutto quel bene incalcolabile che si chiama fiducia.
Sergio Romano