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 2013  maggio 19 Domenica calendario

INVESTIMENTI USA FRENATI DALL’INEFFICIENZA DEI TRIBUNALI

Sono la cattiva efficienza delle strutture pubbliche e il funzionamento del sistema giudiziario — la sua lentezza e farraginosità — gli elementi che stanno facendo uscire l’Italia dalla fotografia delle economie che contano. Più della rigidità del mercato del lavoro, più della qualità delle reti di trasporto, persino più dell’esosità del sistema fiscale. Uno studio/sondaggio condotto dalla American Chamber of Commerce in Italy (AmCham) — che sarà presentato domani a Milano — mette in evidenza da un lato il crollo della capacità di attrarre investimenti diretti dall’estero da parte dell’Italia, dall’altro le ragioni che frenano le multinazionali, soprattutto americane, a stabilirsi nella Penisola. Una lettura che crea un certo disagio ma può risultare istruttiva, soprattutto per il governo.
La parte qualitativa del survey è stata condotta attraverso un sondaggio sui top manager di 33 multinazionali Usa presenti nel nostro Paese. Per il 79% di loro, l’inefficienza delle strutture pubbliche è uno svantaggio competitivo «molto importante»; se si aggiunge il 21% che ritiene questo limite semplicemente «importante» si arriva al cento per cento: significa che a tutti i manager di imprese statunitensi tremano le ginocchia quando hanno a che fare con un’istituzione italiana. Per il 70% degli stessi, l’inefficienza del sistema giudiziario è un problema «molto importante» — cioè una ragione seria per la quale all’estero si è scoraggiati a investire da noi — e per un altro 21% è uno svantaggio «importante». L’eccessivo carico fiscale è la terza ragione di scarsa capacità di attrazione. La quarta è la scarsa flessibilità del mercato del lavoro. Poi arrivano l’inadeguata promozione del Paese, i pochi incentivi agli investimenti, il costo del lavoro, il costo dell’energia, la criminalità.
L’unico versante nel quale l’Italia sta facendo «progressi rilevanti» (per il 64% degli intervistati) è nel riordino della finanza pubblica. E l’unico campo nel quale una maggioranza dei top manager (il 52%) ritiene che l’Italia abbia un vantaggio competitivo in Europa è la capacità innovativa delle imprese. Ma quando le cose vengono viste dal quartier generale della casa madre, spesso la situazione precipita. Il 91% dei boss che stanno in America ha un’opinione del sistema giudiziario italiano addirittura peggiore di quella che è la realtà. L’88% considera il sistema fiscale una ragione di freno all’investimento ancora superiore a quanto lo sia sul serio. E via dicendo l’opinione a volo d’uccello che si sono fatti i top manager americani è — secondo il sondaggio di AmCham — per un 27% peggiore rispetto alla realtà, per un altro 27% corrispondente alla realtà, per il 45% deformata. Per riassumere: abbiamo problemi strutturali veramente seri, e la percezione che nel mondo, o almeno in America, si ha di essi è anche peggiore della realtà. Se le due cose non cambiano in parallelo, cominciando dalle istituzioni, sempre meno imprese estere investiranno da noi.
L’onda, d’altra parte, spinge da tempo in quella direzione. Nel 2001, il 3% degli investimenti diretti di imprese americane in Europa fu effettuato in Italia. Da allora, la quota è via via scesa: al 2% nel 2005, all’1,3% nel 2009, all’1,1% nel 2011 (dato che si confronta con il 4,6% della Germania e il 2,5% della Spagna, il 3,9% della Francia). La tendenza è insomma all’irrilevanza. Lo studio sottolinea che negli Anni Duemila «è venuto scemando l’interesse delle multinazionali rispetto all’Italia come Paese di insediamento e sviluppo delle proprie attività». Il numero dei disinvestimenti ha accelerato a inizio decennio scorso e ha toccato una media di cento unità l’anno (25 mila dipendenti) nel periodo 2002-2006. «Ciò ha generato, per la prima volta nell’ultimo quarto di secolo, un saldo netto negativo tra nuove partecipazioni e dismissioni di imprese». Non è un destino che sia così. Simone Crolla, consigliere delegato di AmCham Italy, assicura che «sono molte le imprese americane che, nonostante il deficit di competitività del nostro Paese, vogliono essere presenti in Italia». È che l’Italia fa carte false pur di respingerle.
Danilo Taino