Gabriele Romagnoli, la Repubblica 20/5/2013, 20 maggio 2013
TITOLI DI CODA
Voglio una squadra feroce
Antonio Conte allenatore Juventus
C’è chi vuole una vita spericolata e chi vuole una donna con la gonna. Antonio Conte voleva una squadra feroce e spesso l’ha avuta, anche se è sempre sembrato che quello da tenere calmo fosse, più che altro, il domatore. In due anni questo allenatore anomalo ha sovvertito le scale di valori. Alla Juventus, seguendolo, hanno felicemente barattato lo stile con la veemenza. Quando contrastano mordono, quando aprono bocca pure. Sono in testa alla classifica, ma si comportano da ultimi per penalizzazione. È una strategia sperimentata con successo in politica: stare al governo come si fosse all’opposizione. Conte si mostra e proietta come un escluso. Scarica rabbia e la pretende per contagio. Certo, l’ambiente del calcio avrebbe bisogno di distensione, più che di un fiammifero sempre acceso sotto le natiche, ma tant’è: alla fine Conte vince. E si arrabbia ancora, temendo di non vincere di più e meglio l’anno prossimo. Anche perché il contagio non sempre riesce: imporre la ferocia a Giovinco è un’impresa. Infatti nello schema finale è stato sostituito da Pogba, che azzanna e sputa. Poi arriverà qualche leoncino affamato, di quelli che mentre mangiano si guardano intorno cercando un’altra preda. La nuova Juventus non si accontenta del presente, vuole riprendersi il futuro, ma soprattutto il passato. Conte c’era anche allora, per questo ha un’insaziabile voracità. A volte dà l’impressione che
possa finire per mangiare se stesso.
Non capisse un cass
Silvio Berlusconi presidente Milan riferito a Massimiliano Allegri
Tocca specificare di chi parlava Berlusconi dandogli dell’incapace, giacché nella sua considerazione quelle parole potrebbero valere per quasi tutti: nemici e amici, sconosciuti e parenti, premi Nobel e santi. Quasi? Ci sono barzellette in cui lo dice a Dio. Le racconta lui stesso. Figurarsi gli allenatori. Brevemente soggiogato da Sacchi, ha trattato gli altri come domestici irresponsabili. Diceva che avrebbe voluto Guardiola, ma si sarebbe meritato Mourinho. Detesta particolarmente quelli che vincono al primo anno (ci era riuscito, per sbaglio, anche Zaccheroni), poi non si ripetono, benché lui li aiuti vendendo Ibrahimovic e, soprattutto, Thiago Silva. D’altronde c’era l’austerità, almeno finché è diventato “necessario” comprare Balotelli e piazzarlo a oscurare quel piccolo miracolo di Allegri chiamato El Shaarawy. Il mister piaceva alla squadra, a Galliani, alla curva e, lesa maestà, perfino alle donne. Per rendersi definitivamente insopportabile gli mancava solo la barba. Berlusconi lo ha torturato per otto mesi, lo ha licenziato anticipatamente almeno tre volte, come uno di quei condannati che portano davanti al plotone d’esecuzione ogni mattina e fanno fucilare a salve. Finché parte un colpo. Il condannato è sempre disarmato, non può rispondere al fuoco, gli sparano insulti e quello, zitto: il padrone ha sempre ragione. Anche quando ridisegna lo schema, rifà la formazione e verrebbe il sospetto che non…
I buu a Balotelli non sono un problema di colore della pelle
Zdenek Zeman
Il momento chiave del “Grande Gatsby” è quando Nick, il narratore, capisce le intenzioni del protagonista, la ragione a cui ha dedicato tutta la sua
vita e gli dice: «Non puoi replicare il passato ». Quello lo guarda sornione, ricco, affascinante e risponde: «Oh sì, sì che si può replicare il passato». Avviandosi verso la tragedia. Un po’ come il Grande Zeman. Non è rimasto molto di quel che fece innamorare tutta Roma e mezza Italia: la scoperta di Florenzi, la valorizzazione di Lamela e tanta confusione, nella quale sono annegate anche le parole. Ha provato a impugnare il vessillo dell’anti-juventinità («Per me gli scudetti sono 22»), ma lo hanno zittito tre gol in dieci minuti. Dopo, ha perso il tempo della battuta, perché
era ormai ai supplementari (ed era meglio chiuderla regolarmente). Anche quando praticamente nessuno lo ascoltava più, ha continuato a dichiarare, proponendosi per l’Inter (quel che ci vuole) e, alla fine, con questa uscita non richiesta (e non inedita) su Balotelli. Non lo fischiano perché è nero, ma per come è lui. E certo. Infatti succede anche a Totti che ha preso gli avversari a sputi (Poulsen) e calcioni (lo stesso Balotelli). Di fronte all’inciviltà, i distinguo sono difese colabrodo. Eddai Zeman, finisce che ti scappa la battuta omofoba e poi dici che hai tanti amici gay.
L’anno prossimo sarà il nostro anno
Andrea Stramaccioni allenartore Inter
Hai presente quei negozietti di periferia che espongono il cartello “Oggi non si fa credito, domani sì”? Ecco, ogni finale di campionato seppellisce la delusione sotto una palata di sogni. Vale per tutti (tranne i tifo-
si del Toro, che allegramente prefigurano nuove sventure). La Roma realizzerà l’american dream, la Sampdoria tornerà in Europa, il Cagliari avrà uno stadio. L’anno prossimo. Perfino l’Inter risorgerà. Che dico? Perfino l’Inter di Stramaccioni. Quest’anno erano le prove generali, la compagnia era male assortita, c’è stato qualche incidente. Prove generali di un disastro. Compagnia scelta dai produttori. Incidenti spiegabili con errori di preparazione e allenamento. Ma l’anno prossimo, tutto andrà alla grande. Quest’anno hanno deprezzato Sneijder, preso e poi preso per il collo Cassano, spaccato perfino Zanetti che aveva più presenze del cerchio di centrocampo, ma l’anno prossimo trionferanno. Hanno fatto un mercato di gennaio che li ha trasformati nell’Atalanta, ma adesso non sbaglieranno un colpo. Non hanno mai avuto uno schema di gioco comprensibile, all’allenator giovane mancava il coraggio delle proprie idee e di qualche sacrosanta eresia. Hanno indovinato una grande partita, battendo la Juve e illudendo soprattutto se stessi. Fuori Mi-lito, tutto finito. Ma l’anno prossimo tornerà. E con lui tutto il clan argentino. Coraggio Strama, è l’ultimo tango. Ma poi si ricomincia.
La B non è l’inferno
Maurizio Zamparini presidente Palermo
Si sentono spesso espressioni tipo: “la seria A del giornalismo” o “amante di serie B”, che determinano apprezzamento e svalutazione. Non per Zamparini. Per lui non è un problema: si allestisce una squadra, si licenziano allenatori su allenatori, si accusano professionisti, ma come va a finire non ha rilevanza, la A non è il paradiso, la B non è l’inferno, è solo un grande gioco. Talvolta meritocratico: infatti il Palermo è finito in B, dove non si porterà l’estintore Ilicic e staremo a vedere. Sarà un anno sabbatico, senza Zamparini a commentare la domenica con il suo fido pappagallo. Ma ci voleva. Questo campionato lo ha concluso dicendo: «Il nuovo mondo deve cominciare dicendo sempre la verità ». Che stesse per accendersi un’alba dorata è una notizia e comunque cominciamola pure così e diciamo che l’errore di Zamparini non è stato quello, infine ammesso, di aver licenziato Sannino. Ma di averlo fatto anche con Delio Rossi e Francesco Guidolin, con Pioli prima che iniziasse e Mangia quando aveva appena preso la patente. La verità ha dieci nomi: Sirigu — Cassani Barzagli Bovo Balzaretti — Nocerino Barreto Pastore — Cavani. Aggiungici Ilicic a fianco del Matador e che cosa ottieni? Una squadra da scudetto. Se non licenzi l’allenatore alla seconda giornata. Poi è chiaro che il Palermo a certe cifre vende, ma dopo spende per comprare sloveni a caso. Non tutto quel che fa rima con -ic funziona: Kurtic non è Ilicic. E se la B non è l’inferno ma un purgatorio, cominciamo a dire la verità: tu continua la giostra in panchina e vedrai dove ti porta l’ascensore.