Andrea Greco, Affari & Finanza, la Repubblica 20/5/2013, 20 maggio 2013
PSICOLOGIA E PULSIONI EMOTIVE IN BORSA NON SOLO GELIDO CALCOLO
Milano F osse servito costruire un cimitero alle teorie neoclassiche sulla razionalità economica e l’efficienza del mercato, gli ultimi cinque anni sarebbero un luogo ameno. Turbolenze dei listini, panico degli investitori, nazionalizzazione dei sistemi finanziari anglosassoni, aiuti di Stato e liquidità che protegge i corsi delle recessioni a catena, sono il contesto ideale per valutare quanto psicologia ed emotività determinino le scelte di investimento. Fin dal 1979 Kahneman (Nobel per l’economia) e Tversky hanno insegnato al mondo come la «pancia » (e le parti oscure del cervello) conti quando si opera in Borsa. Ma dopo trent’anni, e specie negli ultimi, è sempre più provato che l’unico modo di essere razionali sui mercati è sapere che non lo siamo, per prevenire errori frutto di paura, avidità, emotività. Anzi: la globalizzazione egemonica della finanza ha reso la Borsa il vero grande «stadio del mondo», dove le leggi della psicologia di massa si manifestano appieno, e le anomalie comportamentali sono maggiori. Altri fenomeni di irrazionalità derivano da componenti fisiche, come le leggi che regolano maree e liquidi; gli investitori — composti al 70% di acqua se umani — risentono delle fasi lunari e delle stagioni. Sono cose note e che molti operatori di prestigio conoscono e analizzano (e sfruttano). Ma ancora se ne parla con pudore, per paura di passare per fattucchiere o stregoni, in un mondo dove la forma
paludata — che ha la grisaglia per uniforme — conta ancora molto. L’osservazione della luna per comprendere la propensione al rischio negli investimenti è prassi invalsa. Ne hanno scritto, in studi ponderati e seriosi negli ultimi anni, la Bank of Japan, la Fed di Atlanta, l’Università del Michigan e altri. Non si tratta di astrologia, casomai astronomia. Come da secoli sanno contadini, viticoltori e chiunque abbia a che fare con attività cicliche, le legge di gravità fanno sì che la luna influenzi i liquidi terrestri. E l’umore degli umani, rendendoli più ottimisti — quindi disposti a rischiare e comprare — o pessimisti (al contrario). Basta analizzare le maree, con software applicativi ad hoc: i cicli si sovrappongono nell’arco giornaliero, con movimenti a onde di circa sei ore. Poi c’è la cornice mensile, di luna piena e luna nuova: dura 28 giorni, e non è casuale che anni fa l’analisi tecnica abbia costruito indicatori come lo stocastico e l’Rsi con parametri basati su cicli di 7, 14 e 28 giorni. Si tratta di filtri aggiuntivi, non assoluti: da affiancare all’analisi fondamentale sui multipli delle quotate, per calibrare meglio le decisioni e le somme investite. «Lo studio delle fasi lunari applicato all’analisi tecnica migliora, a volte sensibilmente, la performance, perché a priori sai già quali operazioni seguire e con che leva — racconta Viviana Andreani, che dopo anni da operatrice presso banche e finanziarie s’è messa in proprio e fa trading anche in base alle «lune» — in Italia però c’è ancora molto conformismo e chiusura culturale». Il benchmark dei prodotti lunari è il mini future sull’indice S&p 500, che grazie al Globex è negoziabile in continuo e raggruppa milioni di persone, titoli e scambi. Perché la psicologia di massa è tanto più efficace quanto più il sottostante è popolare. La luna è nel cielo, ma altre nuvole sono nel cervello, racconta Lorenzo Marconi, che per 26 anni ha studiato e insegnato la finanza comportamentale, poi s’è reinventato imprenditore-gelataio. «Il primo nemico dei nostri investimenti è il cervello — racconta —. Le statistiche dicono che l’87% delle scelte compiute sui mercati è irrazionale». Colpa delle euristiche, scorciatoie che il cervello tenta per risparmiare fatica ma portano a errori di ogni sorta. «Tutto si amplifica perché ci son di mezzo i soldi, quindi aumentano le pulsioni emotive senza che ce ne accorgiamo — aggiunge Marconi — In più il cliente medio non studia né si applica, credendo che operare sui mercati sia un’attività abbastanza intuitiva. La conseguenza è che negli Usa hanno stimato che il 92% degli investitori perde soldi, contro un piccolo 8% che guadagna». Il concetto di «parco buoi», del resto, è di Charles Dow (padre del Dow Jones) e risale al 1894: tutti comprano mentre il trend sale, tutti vendono se scende. «Se c’è una variabile fissa, l’unica immutata dall’avvio del mercato moderno negli anni ‘60, è il comportamento dei risparmiatori», aggiunge Marconi. Altra provata stranezza degli investitori riguarda la mean reversion. Nel medio termine si ritiene che il prezzo di un’emissione tenda a schiacciarsi verso la sua media mobile, così quando il prezzo sta al disotto è ora di comprare, se al disopra si può vendere. Non sempre il metodo si rivela efficace, perché non considera le vicende della società sottostante. Esistono però modelli tecnici e di arbitraggio statistico — come quelli distribuiti da Diaman Sicav — che identificano le situazioni di prezzo mean reverting, con orizzonte giornaliero o settimanale. Un altro modo per sfruttare le forti inefficienze di cui il mercato è ricco. A volte, più che la pancia, è proprio la testa, la sede della razionalità a tradire. Le asimmetrie percettive, per esempio, fanno gli individui più sensibili alle perdite che ai guadagni. Kahneman e Tversky lo scrissero trent’anni fa: rende più tristi perdere 100 euro che lieti di guadagnarne 100. E una recente ricerca dell’università Bicocca, pubblicata su Behavioural Decision Making, ha mostrato che tali asimmetrie risentono della propensione al rischio: per chi è più aggressivo un non-guadagno equivale alla perdita, per i prudenti una non-perdita è un guadagno. Simili atteggiamenti portano molti risparmiatori a tenere troppo a lungo i titoli in perdita, e a vendere troppo presto quelli in plusvalenza. Per dirla con Warren Buffett — investitore che sull’emotività altrui ha guadagnato miliardi — «strappiamo i fiori e ci teniamo le erbacce».