Andrea Greco, Affari & Finanza, la Repubblica 20/5/2013, 20 maggio 2013
MONTEPASCHI, SIENA SENTE PROFUMO DI SVOLTA I TRE NODI PER LA SALVEZZA
Poche volte 100 milioni di euro sono stati persi con tanto sollievo. La trimestrale del Monte dei Paschi ha mostrato con i numeri che la banca più disastrata d’Italia ha voltato pagina. Ma la pagina in cui adesso si destreggia il duo manageriale Alessandro Profumo & Fabrizio Viola non è priva di insidie. Quelle legate a scandali finanziari, perquisizioni, fughe di depositi, lanci di monetine sono forse in archiviazione, in tandem con l’inchiesta giudiziaria che da un anno e mezzo impegna magistrati e finanzieri. Restano le sfide sui fronti regolatorio, del capitale, della redditività da affrontare subito e che per un anno terranno l’istituto «ventre a terra» (parole dell’amministratore delegato), disegnando la forma nuova della banca più antica. Una forma comunque diversa da quella che irradiò Siena e dintorni nei secoli. I l primo appuntamento riguarda l’autorizzazione comunitaria dei Monti bond da 4,07 miliardi, il 17 giugno a Bruxelles. Ci sono già contatti tra banchieri, Tesoro, Banca d’Italia e Commissione europea, e un paio di incontri decisivi sono in agenda a giugno. Piano di salvataggio Trattandosi di salvataggio pubblico, il prestito che tiene in piedi Mps deve osservare le linee guida delle direttive comunitarie. Allo scopo il cda senese approverà un piano di ristrutturazione da portare a Bruxelles, sulla falsariga di quello presentato lo scorso giugno e che inizia a dare i suoi frutti specie sui costi (-17% nel triennio, e un programma di chiusura
di 400 filiali quasi completato). L’Ue però chiederà integrazioni anche insidiose. Una riguarda il tetto al voto che lo statuto Mps pone al 4% per ogni azionista, eccetto fondazione Mps. Un vincolo che regolatori, mercato e manager vogliono eliminare, e così sarà ad onta dei sussulti di “senesità” con epicentro Palazzo Sansedoni. Non è chiaro se entro il 17 giugno sarà convocata l’assemblea straordinaria per rimuovere il tetto al 4%, ma è probabile un pronunciamento del cda a riguardo. Altri impegni chiesti da Bruxelles, oltre a quelli ovvi per limitare compensi al vertice ed eventuali dividendi, potrebbero contemplare riserve di capitale e redditività aggiuntive, poiché le direttive vogliono che i piani di riassetto siano sostenibili «anche in uno scenario di stress». A Rocca Salimbeni ci s’interroga sul quantum dello stress, memori dell’infelice decisione dell’Eba, che in seguito a un suo stress test impose a Mps l’ultima, fatale, ricapitalizzazione (2011). Il rischio è che il piano di rilancio Mps sia trovato troppo ottimistico, anche dato il contesto italiano. Le stime macro fatte da Viola e Profumo 11 mesi fa erano prudenti, uno spread a 380 punti base per fine 2013 (e siamo già sui 260), Borse deboli - e sono lanciate, grazie alla liquidità delle banche centrali - e Pil italiano negativo quest’anno (Istat dice -1,4%) con +1% il prossimo (Istat stima +0,7%). Se il paese non si rianima, tuttavia, Bruxelles potrebbe chiedere ai senesi più margini, sia di capitale (che oggi senza i Monti bond sarebbe a un irregolare 6,8% di Basilea 2) che di redditività. Simili ulteriori richieste, tuttavia, appaiono poco compatibili con l’attuale struttura della banca. Servirà quindi molta diplomazia, e sapienza politica - del tipo di quella profusa a beneficio di banche francesi e tedesche negli ultimi anni - per convincere gli euroburocrati a differenziare il trattamento di Mps da quello, per esempio, degli istituti spagnoli che prestavano metà degli impieghi all’immobiliare (complice la vigilanza locale) prima di schiantarsi contro 100 miliardi di aiuti pubblici. Il punto debole del piano senese, come noto, è la scarsa partecipazione degli azionisti al salvataggio - il cosiddetto burden sharingadottata a Siena sperando di salvaguardare un minimo di continuità nell’azionariato, e di rendere rimborsabile un prestito che eccede la capitalizzazione di Borsa. Rilancio della redditività Al ristoro della redditività di un gruppo che ha perso 7,96 miliardi in nove trimestri è affidata la sua sopravvivenza dignitosa. Il management, nelle dichiarazioni della conference call dopo i conti, appare più tranquillo oggi rispetto a sei mesi fa, per le cose fatte e per quelle attese. Ma sullo sfondo rimane un altro tipo di fardello legato al prestito pubblico: riguarda i 360 milioni - uno al giorno - da corrispondere al Tesoro solo nel 2013. Il decreto sui Monti bond prevede che, in assenza di utili da destinare agli oneri, vengano emesse nuove azioni; sui valori attuali si tratterebbe di un 13% abbondante. «Faremo di tutto per pagare la cedola sul prestito in contanti », ha detto Viola agli analisti, dando una mano alla quotazione che il giorno dei conti è aumentata del 9,39%. La chiusura del bilancio dirà, già ora si può dire che sarà una salita. Malgrado una corale discreta accoglienza ai messaggi e ai numeri diffusi mercoledì, pochi addetti ai lavori ritengono Mps saprà incamerare i 400 milioni di utile netto che corrispondono ai 360 del “cedolone”, e anzi sarà già molto chiudere la gestione ordinaria in pareggio. Natixis ha stimato 153 milioni di perdita 2013, Kbw ne prevede -357, Deutsche Bank -579. Gran parte dei broker ritiene che la prima fonte di perdite saranno i crediti: le rettifiche a fine marzo, dimezzate a 484 milioni rispetto al quarto trimestre 2012, sono in aumento del 12,5% da un anno prima, e i crediti non performing crescono del 5% rispetto a dicembre, con grado di copertura stabile al 58%. Viola ha stimato un costo del credito - 138 punti base a marzo, da 188 di dicembre - sui 100 punti a fine anno, ma anche questo assunto potrebbe rivelarsi ottimistico nella recessione. Non restano che le poste extra, per scongiurare in tutto o in parte lo Stato azionista già tra un anno. Gli addetti ai lavori vedono il management puntare su tre ambiti: dismissioni di rami aziendali - come leasing e credito al consumo - riacquisto a sconto di bond propri (prassi diffusa per arrotondare gli utili bancari), transazioni “stile Parmalat” con controparti della gestione guidata da Giuseppe Mussari e Antonio Vigni. A marzo l’istanza civile è partita con una richiesta danni a Nomura (700 milioni) e Deutsche Bank (500 milioni), per la gestione dei derivati tossici Alexandria e Santorini. I due dossier sono differenziati. I giapponesi sono finiti perfino nel procedimento penale della Procura di Siena, che indaga due loro esponenti per truffa e ha richiesto un clamoroso sequestro di 1,8 miliardi cash che Mps ancora versa per integrare il deprezzamento di 3 miliardi in Btp collateralizzati. Il caso Alexandria, stigmatizzato anche da Bankitalia e Consob, consta di occultamenti contrattuali (per non collegare operazioni parallele ma con saldo unico), intermediari sospetti - come Roberto Villa, l’ex patron di Richard Ginori amico di Gianluca Baldassarri e da poco compreso tra gli indagati nel faldone Mps, per riciclaggio - e reati di ostacolo alla vigilanza. Per ora Nomura appare ferma sulle sue posizioni, forte dei contratti e della famigerata telefonata (registrata) tra Mussari e l’ex presidente Sadeq Sayeed. I tedeschi, partner storici del Monte, hanno una posizione più lieve, perché l’equity collar Santorini creato 11 anni fa non ha dato luogo a significativi rilievi della vigilanza, piuttosto a un’opinabile contabilizzazione da parte senese, che ha preferito una rappresentazione formale (tra i derivati) a quella di sostanza (un finanziamento di lungo termine per occultare perdite nel 2008). Stanti le differenze, anche di approccio -Deutsche Bank è sempre apparsa più collaborativa - il recente dispositivo del gip di Siena, che ha smontato pezzo su pezzo l’impianto accusatorio su cui si basava il maxi sequestro a Nomura, rischia di pesare sull’aggressivo recupero crediti intentato dai banchieri senesi, per mano dello studio legale Lombardi Molinari. Rifondazione azionaria Tanto è movimentato il coté senese che ancora non si vede l’equity story che Profumo & Viola andranno a raccontare agli investitori chiamati a comprare un miliardo in titoli Mps l’anno prossimo, in una ricapitalizzazione riservata che è parte centrale del rimborso del Monti bond. Per ora non risulta che siano stati avviati colloqui nemmeno preliminari con i sottoscrittori, sperabilmente fondi esteri. Ma serviranno almeno due trimestri di “luce” contabile e un ok senza gravami da parte dell’Ue prima di poter aprire il tavolo negoziale. A latere scruta lo scenario la fondazione Mps, cui è rimasto un 33,5% ma che prevede, nei prossimi mesi, di cedere circa il 15% di Mps per rimborsare i 350 milioni di debito residuo con le banche. L’ente si diluirà ulteriormente, attestandosi tra il 10 e il 15% dopo l’aumento di capitale. Come ha detto il suo presidente (in scadenza) Gabriello Mancini nell’ultima assemblea bancaria, la fondazione ha il più grande interesse a sorvegliare e a condividere la scelta del prossimo azionista forte. E magari ad allearvisi per blindare il Monte di domani.