Francesca Cerati, Il Sole 24 Ore 19/5/2013, 19 maggio 2013
L’ORO NERO DEL «FARMA-TRAFFICO»
Non lontano da Shanghai, nella provincia di Zhejiang, le autorità hanno scoperto che gli operatori ospedalieri conservavano le scatole dei farmaci, tra cui quelli di fascia alta, per rivenderle ai contraffattori. All’Ospedale di Bamako, in Mali, dove circolano sempre più medicinali contenenti impurità, sono aumentati i pazienti che hanno bisogno di dialisi, con conseguenze terribili viste le scarsissime risorse a disposizione. Sono due facce dello stesso problema, quello della contraffazione dei farmaci, che, dati Oms, uccide da 500mila a un milione di persone all’anno. E se pensiamo che il fenomeno interessi soprattutto i Paesi in via sviluppo, con internet nessuno è al sicuro: oltre il 50% dei farmaci venduti in rete risulta contraffatto e, l’anno scorso, sono stati sequestrati 3,75 milioni di farmaci pericolosi per un valore complessivo di 10,5 milioni di dollari. E a differenza di qualche anno fa, quando la contraffazione si concentrava su medicinali "lifestyle", come le pillole dimagranti, gli steroidi o il Viagra, ora comprendono anche i salvavita: antitumorali, antipertensivi, antibiotici, anche in forma iniettabile.
Del resto il mercato dei farmaci "fake" garantisce profitti elevatissimi – superiori addirittura ai proventi del narcotraffico – a fronte di un minimo rischio, cioè quello di violare le norme sulla proprietà intellettuale. Il calcolo è presto fatto: il criminale che investe mille dollari in eroina ne guadagna 20mila, se lo investe nei farmaci contraffatti, l’introito è di 400mila dollari. La Fda statunitense ha valutato che la contraffazione di farmaci rappresenta più del 10% del mercato farmaceutico mondiale (che è stato nel 2012 pari a 963 miliardi di dollari, dato Ims, maggio 2013).
Per arginare il fenomeno, ormai fuori controllo, serve inasprire le pene o applicare strumenti giuridici che in parte già esistono. Ma al momento chi produce un farmaco falso incorre in una truffa al pari di chi tarocca una borsa. E nonostante l’Oms snoccioli dati allarmanti, sta ancora disquisendo sulla differenza tra farmaci non in regola e falsificati, definizione che sta rallentando la lotta a questo mercato illegale. Che quindi prospera e si specializza. Finora soltanto il Consiglio d’Europa ha adottato nel 2011 una convenzione per combattere il farmatraffico, con Medcrime, il testo non vincolante è stato firmato da 22 paesi, tra cui l’Italia.
Quello che invece sta avendo un impatto significativo nella lotta ai fake drugs è la tecnologia messa in campo dai centri di ricerca e dalle aziende farmaceutiche che, per responsabilità sociale, si sono attivati fornendo strumenti per identificare i falsi. La Fda, per esempio, sta testando un dispositivo portatile per la rilevazione dei farmaci contraffatti in Ghana, per poi allargarlo al resto dell’Africa e nel Sudest asiatico. Tra le Big Pharma, in prima linea c’è il Gruppo Sanofi, che ha anche istituito la Prima giornata mondiale anti-contraffazione, che si ripete quest’anno il 27 giugno per sensibilizzare sul tema. Ma la multinazionale francese è stata anche la prima ad aprire un laboratorio ad hoc cinque anni fa, che a oggi ha analizzato 20mila prodotti, ed è diventato punto di riferimento per i funzionari della sanità, della polizia e delle dogane. «Che il mercato della farma-contraffazione si sia intensificato in poco tempo, lo verifichiamo costantemente nel nostro laboratorio – racconta Caroline Atlani, che ne è direttore –. In 5 anni abbiamo più che raddoppiato il numero dei dipendenti ed elevato il livello di protezione dei nostri prodotti. In più, abbiamo creato un team di coordinamento centralizzato composto da esperti di varie aree, compresi specialisti di cyber-crimini, in network con tutti i nostri siti nel mondo».
Il laboratorio francese di 400 mq si trova nel sito produttivo Sanofi di Tours ed è dotato di tecnologia all’avanguardia, come il visioscan, che ha uno schermo capace di evidenziare anche il più piccolo dettaglio. Ma senza la competenza l’impresa è ardua. L’addetto ci mostra infatti come la scritta sulla confezione sia praticamente identica all’originale, a smascherare il falso è solo un impercettibile distacco tra una lettera e l’altra. Impossibile notarla. «Anche la produzione di medicinali falsi deve avere conoscenze di chimica e dotarsi di tecnologia, al pari dei falsari di banconote» fa notare Atlani –. Ora però abbiamo sviluppato una specifica etichetta, nota come Sasl, che contiene elementi visibili e invisibili (noti solo a noi) a garanzia dell’autenticità del farmaco». L’analisi analitica dei principi attivi viene gestita dalla spettrometria, in grado di scovare le minime tracce di sostanze. Il Gruppo ha poi dotato i farmaci di un sistema di identificazione Data Matrix, un codice a barre bidimensionale stampato su ogni confezione che consente la tracciabilità e permette l’individuazione automatica dei falsi. «In tutte le nostre sedi – spiega Bernard Frahi, vice-presidente Corporate economic security – un network di coordinatori condivide le informazioni e in caso di sospetta contraffazione si invia un report al team centrale e un campione al laboratorio. Una volta avuta la conferma che si tratta di un falso vengono informati tutti i servizi coinvolti e si avvia un’azione investigativa e legale, ma soprattutto di tutela della salute pubblica».
Un impegno quello di Sanofi che andrebbe esteso e condiviso, perché a essere a rischio è la salute di tutti i pazienti nel mondo.