Antonio Quaglio, Il Sole 24 Ore 19/5/2013, 19 maggio 2013
«AGNELLI E DE BENEDETTI VOGLIONO LA RIZZOLI»
Maggio 1983, Carlo Azeglio Ciampi è a cena a casa di Eugenio Scalfari: ci sono anche Francesco Cingano, allora amministratore delegato della Comit; e Carlo De Benedetti, l’editore di Repubblica, reduce due anni prima da una precipitoso blitz nel Banco Ambrosiano. La torrida estate dell’82 - con la tragica fine di Roberto Calvi e il drammatico salvataggio del Banco - è ancora quasi cronaca. Il governatore della Banca d’Italia annota nel suo diario: «Ore 21.15, faccio alcune precisazioni: 1) I motivi per decisione di Centrale e Nuovo Banco Ambrosiano; 2) Comit era stata invitata fin dall’inizio al Nuovo Banco».
Ciampi stesso è al vertice di Bankitalia da meno di tre anni, dopo le torbide manovre della Michele Sindona e della P2 contro Paolo Baffi. Anche per questo le decisioni del governatore e del ministro Nino Andreatta hanno fatto rumore. Il Banco è stato sì azzerato e messo in liquidazione, ma subito fatto rinascere: con il fine primo di evitare traumi al credito. E per non chiedere neppure una lira all’erario, la moral suasion di Tesoro e Bankitalia ha indotto sette banche a garantire un’ingente ricapitalizzazione. Il Nuovo Banco è stato mantenuto privato e alla presidenza Andreatta e Ciampi hanno chiamato Giovanni Bazoli, un 49enne giurista della Cattolica, quasi sconosciuto all’establishment. E’ stato proprio il governatore a vincere le ultime esitazioni del professore: «Io sono laureato in lettere e faccio il banchiere centrale, lei insegna diritto, ce la farà benissimo». Gli affida, non da ultimo, il gruppo ancora integro, anche se con il mandato di sciogliere via via tutti i nodi lasciati da Calvi nella Centrale: dalla Rizzoli in crisi al futuro di Toro, Cattolica del Veneto e Credito Varesino.
Non stupisce, comunque, che il capo della Comit (fedelissimo di Enrico Cuccia, che poi affiancherà come presidente di Mediobanca), in quella sera ormai lontana appaia contrariato nel controluce implicito della nota ciampiana. L’attendismo tattico delle Bin dell’Iri e di Via Filodrammatici mirava allo spezzatino del Vecchio Banco, per eliminare concorrenza bancaria in Italia, ma anche per punire la “finanza bianca” inquinata da Sindona e Calvi: non è andata così. Ma a bocca asciutta sono rimasti - almeno nell’immediato - anche i big di un capitalismo privato, già proiettati nell’editoria. Sia De Benedetti che Gianni Agnelli contavano di raccogliere il Corriere della Sera subito e a poco prezzo (Ciampi se lo appunta già l’1 luglio ’82: assieme al successivo pressing di Bruno Visentini, eminenza grigia sia De Benedetti che del premier repubblicano Giovanni Spadolini). Sullo spinoso "dossier Banco" vigilano anche il democristiano Guido Carli, con il prestigio del governatore emerito; e - più ruvidamente – il Psi dell’emergente Bettino Craxi. Ci vorranno più di due anni perchè il Corriere azzoppato dalla P2 trovi l’assetto e la via del rilancio, ma saranno quelli che Ciampi e Bazoli si erano prefissi: basati su un progetto imprenditoriale e su investimenti adeguati.
Tanto è avvenuto e molto altro avverrà poi, ma quella svolta dell’82 imprimerà una cifra forte, non solo per la storia bancaria. Un quarto di secolo dopo il Nuovo Banco Ambrosiano diventa definitivamente un champion nazionale e Intesa Sanpaolo riesce a superare quasi incolume un’ondata devastante di fallimenti bancari globali. Ma la «storia italiana» scritta da Carlo Bellavite Pellegrini - aziendalista della Cattolica con il gusto già sperimentato della corporate history - non è solo un grande success case dell’Azienda-Italia contemporanea. Più ancora che in «Storia del Banco Ambrosiano» (Laterza, 2011), Bellavite Pellegrini esamina ed elabora con rigore migliaia e migliaia di pagine di bilanci, verbali di consigli, documenti di vigilanza, articoli di stampa. Il vero valore aggiunto rimane in ogni caso la disponibilità dei diari inediti di Ciampi e le testimonianze di prima mano dello stessi Bazoli e di altri protagonisti della "saga". E in quest’ultima emerge la nitida "amicizia civile" fra questi due italiani orgogliosi. Le idee-forza? Non perdere mai di vista l’interesse del Paese; cercare rapporti di stile europeo fra capitalismo, istituzioni e politica; tenere l’impresa come bussola all’interno dell’economia sociale di mercato e non dimenticare che una democrazia viva è sempre confronto serio fra le culture forti di un Paese.
E’ il modello «Ciampi-Bazoli» a trasformare un crack in un laboratorio per la riforma creditizia che bussa alle porte con l’euro. Cerca nuova competitività nelle grandi aggregazioni strategiche e miscela stabilità e finanza di mercato in una governance dinamica. Nei "patti" si alternano via via i banchieri pubblici della Prima Repubblica, i nuovi banchieri delle Casse e delle Popolari del Nordest, il salotto buono di Gemina - longa manus di Enrico Cuccia (vedi altro articolo), le Generali (soprattutto quelle di un terzo "amico civile": Alfonso Desiata).
Dal 1990 un nuovo gigante europeo come il Credit Agricole: gustosissima (tra cento pennellate inedite sparse per oltre 500 pagine) la comparsa nel libro - in abiti casual - del potentissimo tecnocrate francese Philippe Jaffré, "cavaliere bianco" di Bazoli nel primo assalto di Mediobanca-Comit. Non meno evocativi sono però episodi di poco precedenti: Bazoli intuisce che Via Filodrammatici è davvero all’opera quando, a un grande ricevimento estivo della Fiat a Venezia, si ritrova invitato a sorpresa al tavolo di Gianni Agnelli assieme a Piero Barucci, presidente dell’Abi. Ma le carte in tavola vengono messe in settembre nell’esclusiva residenze newyorkese dell’Avvocato, presente Romiti: Bazoli dice che non ha nulla in contrario all’ingresso delle Generali a fianco di Gemina nel Ambroveneto, ma senza forzature sull’autonomia. Il tentativo di mediazione di Agnelli non riesce, ma il rapporto personale si cementa.
Ciampi è sempre tacitamente a fianco dell’esperimento Ambroveneto, che non cessa di dar frutti. Sarà un supporter importantissimo anche negli anni successivi: da premier tecnico e da superministro del Tesoro. Mentre Ciampi sta cesellando la legge definitiva sulle Fondazioni, la Cariplo di Giuseppe Guzzetti sceglie proprio l’Ambroveneto per creare Intesa, banca-Paese a cui nel ’99 si aggancerà proprio Piazza della Scala, insidiata dall’Opa ostile di UniCredit. La "prima volta" di Intesa (un patto esteso a una Fondazione) diventa essa pure modello per UniCredit e per Sanpaolo-Imi, fino a quando - Ciampi è agli sgoccioli del suo mandato al Quirinale - la banca milanese e il colosso torinese decidono di fondersi alla pari: su impulso di Enrico Salza, altro partner a pieno titolo di quell’amicizia civile nata nell’82. E mai sciolta.