Morya Longo, Il Sole 24 Ore 19/5/2013, 19 maggio 2013
IL MERCATO SCOMMETTE SU NUOVE PRIVATIZZAZIONI
Da una parte c’è lo Stato, con il suo disperato bisogno di raccogliere fondi per favorire la crescita, per finanziare la cassa integrazione, per abolire l’Imu e per le mille altre priorità da affrontare. Dall’altra c’è un mercato finanziario letteralmente inondato di denaro dalle banche centrali, con gli investitori di tutto il mondo disposti a comprare qualunque cosa (persino bond greci) pur di avere rendimenti. Basterebbe guardare queste due realtà contrapposte, per convincersi che il momento sia perfetto per riaprire il dossier delle privatizzazioni: lo Stato ha bisogno di soldi, mentre gli investitori internazionali ne hanno così tanti che non sanno più dove metterli. Lo slogan è scontato: «Se non ora, quando?»
«Il Sole 24 Ore» ha interpellato vari investitori, italiani e internazionali, e tutti ne sono convinti: il momento è ottimo per raccogliere fondi con cessioni di patrimonio pubblico. «Ora come ora, lo Stato potrebbe vendere di tutto», commenta un investitore. «Il mercato è molto ricettivo», aggiunge un altro. «Per gli asset di qualità – afferma un investitore internazionale un po’ più prudente – la domanda c’è». Resta però da capire se questa sia la strada giusta da percorrere. Se sia la più efficiente. E, soprattutto, resta da capire cosa sarebbe meglio valorizzare dell’immenso patrimonio pubblico. L’abbiamo chiesto a loro: agli investitori che questo patrimonio potrebbero comprarlo.
I gioielli di Stato
Alcuni ritengono che lo Stato dovrebbe limare le partecipazioni nelle società già quotate in Borsa: Eni, Enel, Finmeccanica, Snam e Terna. Sono quote facili da vendere e darebbero un’immediata "gratifica" alle casse pubbliche. Se lo Stato o la Cassa Depositi e Prestiti (Cdp) riducessero del 10% le loro quote, l’incasso sarebbe superiore ai 10 miliardi di euro. Solo il 10% dell’Eni vale quasi 7 miliardi. «Che senso ha per il Tesoro e la Cdp detenere circa il 30% dell’Eni, quando lo Stato ha la golden share e lo statuto prevede comunque un limite di voto al 3%?», si domanda il rappresentante italiano di un fondo internazionale che preferisce restare anonimo. «Lo Stato potrebbe facilmente vendere una quota, mantenendo comunque la presa sulla società». E anche altri investitori concordano con questa opinione. Anche perché all’ultima assemblea, per la prima volta nella storia, gli investitori privati si sono trovati in maggioranza rispetto allo Stato: eppure non c’è stato nessun colpo di scena.
Ma altri non concordano. C’è chi non vede con favore la cessione di queste società. Per esempio Davide Serra, fondatore e Ceo di Algebris Investments: «Queste aziende garantiscono allo Stato un ritorno sull’investimento del 7-8-9% l’anno, per cui non ha senso vendere adesso. In questa fase, per di più, lo "sconto Italia" è particolarmente elevato». L’Eni, per esempio, nel 2012 ha versato 1,15 miliardi di euro di dividendi a Tesoro e Cdp: cederne una quota significa dunque incassare subito, ma perdere introiti in futuro. C’è poi chi punta su un altro tema: «Ormai la golden share è difficile da difendere in Europa – osserva un gestore di uno dei maggiori fondi del mondo –, per cui io starei attento a ridurre la quota in queste aziende confidando di mantenere la presa grazie alla golden share».
Immobili da smobilizzare
Se la cessione dei gioielli di Stato è controversa, maggiori consensi si trovano invece sulla possibilità di vendere immobili pubblici. «Il Governo dovrebbe fare uno screening su tutto il suo patrimonio immobiliare per capire cosa può essere velocemente liquidato – osserva Davide Serra –. Di investitori disposti a comprare immobili di pregio ce ne sono molti: sono convinto che in breve tempo lo Stato potrebbe raccogliere 15-20 miliardi da questo settore». «Avrebbe molto senso vendere immobili e tutto ciò che rende poco e ha alti costi di manutenzione – aggiunge Luca Barillaro, trader indipendente –. Credo però che per velocizzare i tempi bisognerebbe usare qualche tecnica finanziaria, come la cartolarizzazione».
Favorevole, ma freddo sull’effettivo beneficio per le casse pubbliche, un investitore internazionale: «Il patrimonio dello Stato vale centinaia di miliardi di euro, ma quello effettivamente vendibile in tempi ragionevoli non supera i 40 miliardi – osserva –. Tanti di questi immobili, per di più, sono utilizzati da enti pubblici: vendendoli a terzi e riprendendoli in affitto, quindi, si avrebbe un impatto sul deficit. Il beneficio per lo Stato ci sarebbe, ma a mio avviso non così consistente come si potrebbe sperare».
Certo è che il momento sul mercato è ottimale. Negli ultimi 6 anni le banche centrali di tutto il mondo hanno aumentato la quantità di moneta in circolazione (M2) di 22mila miliardi di dollari. Solo nel 2013 la Fed Usa e la Banca del Giappone "stamperanno" altri 2mila miliardi di dollari. Questi soldi sono in mano agli investitori di tutto il mondo, che sono alla ricerca di qualunque cosa garantisca un rendimento appetibile o possibilità di performance future. Le azioni italiane (ora sottovalutate) o gli immobili di pregio potrebbero essere per loro appetibili. Basta volerli vendere.