Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  maggio 17 Venerdì calendario

I TRE SCANDALI CHE PESANO SU OBAMA

NEW YORK. Dal nostro corrispondente
Da oggi, con le audizioni alla Camera sugli scandali fiscali, sapremo fino a che punto i repubblicani vogliono attaccare direttamente il cuore del potere democratico, cioè Barack Obama. Negli ultimi giorni il presidente e la sua amministrazione hanno passato le giornate forse più difficili dell’intera presidenza per la convergenza di vari scandali che hanno portato una nuvola di sospetti, dubbi e lacerazioni politiche. Tutto giustificato: quando un Governo consente che sotto il suo ombrello il fisco sia strumentalizzato con obiettivi politici, quando il dipartimento per la Giustizia autorizza la ricerca di prove e materiali su 20 linee telefoniche di un’agenzia di stampa come la Ap, quando su Bengasi emergono nuove email che mettono in luce ordini contraddittori con quanto stabilito e studiato dalla base e quando un diplomatico/spia si muove in modo goffo anche perché gli vengono affidate responsabilità più grandi di lui ad appena 29 anni, c’è da chiedersi seriamente in quali condizioni stia operando questa amministrazione.
E dunque per i repubblicani, che fino a ieri erano in difficoltà davanti a un presidente propositivo che aveva vinto le elezioni e aveva capitale politico da spendere, si ritrovano pronti al contrattacco. Quando l’altra sera ha dato l’annuncio delle dimissioni di Steve Miller, capo ad interim dell’Irs, il Fisco americano, Obama era indignato, voce ferma, dura: «Gli americani sono furiosi e io sono furioso. Quello che è successo non ha scuse. Non tollero che cose di questo genere succedano in nessuna agenzia federale americana, tanto meno all’Irs».
Miller è stato il primo a pagare per le ispezioni durissime e “politiche” condotte dall’agenzia per le entrate americana su esponenti del partito repubblicano e del Tea Party. Altri due funzionari dell’ufficio di Cincinnati che ha condotto le operazioni sono stati disciplinati. Intanto Obama l’ha già sostituito con Daniel Werfel, un economista che arriva dall’ufficio del Bilancio.
Decisioni rapida per dimostrare efficienza. Ma nelle orecchie continua a risuonare la voce del presidente di mercoledì, persino eccessiva nel tono di sorpresa e rabbia. Un segnale che forse questa situazione sta bruciando i nervi del presidente e dei suoi. Troppe piste infatti portano all’Ufficio Ovale, troppe “micce” sono a disposizione dei repubblicani perché siano accese: possibile che Obama non sapesse?
Dopo due anni di lamentele? Possibile che non si sia data l’impressione che alcune ispezioni mirate contro i concorrenti politici potevano essere gradite? Non aveva forse chiesto Obama, con impazienza, che i responsabili delle fughe di notizie top secret alla Ap all’interno dell’amministrazione fossero identificati a qualunque costo? E non è forse vero che dalle email rilasciate mercoledì e ieri emergono posizioni diverse per spiegare le dinamiche degli incidenti a Bengasi che hanno portato alla morte di 4 americani? Non è forse vero che la prima versione della Cia, che menzionava una possibile partecipazione di cellule di al Qaeda all’attacco a Bengasi è stata poi cambiata su input della Casa Bianca, preoccupata di non dare l’impressione, nel bel mezzo delle elezioni, che al-Qaeda potesse essere ancora molto attiva?
Il pericolo insomma è quello di molte “smoking guns”. E restiamo nel pieno della “maledizione del secondo mandato”. Ha colpito Barack Obama all’improvviso, proprio quando si stava preparando agli affondi finali per chiudere alcuni grandi progetti che gli restano da portare avanti sul piano politico: una nuova legge sull’immigrazione, un progetto per limitare il porto d’armi in America e soprattutto una riforma di bilancio che possa consentire in modo bipartisan di liberarsi del “sequester”, dei deleteri tagli automatici della spesa pubblica che, solo l’altro giorno, hanno lasciato a casa temporaneamente 600mila dipendenti del Pentagono!
Per ora le micce non sono state accese. Si tratta di semplici interrogativi, ma già oggi dagli uomini che andranno a testimoniare, lo stesso Miller e l’ispettore generale dell’Irs Russell George, dovranno arrivare delle risposte. E non basteranno l’indignazione o il tono sopra le righe di Obama (ieri ha detto che non deve scuse a nessuno per la vicenda Ap) per convincere gli americani che la Casa Bianca non aveva nulla a che fare con questi disastri mediatici paralleli. Come sempre ci vorranno prove inconfutabili. Per ora nella Casa Bianca in stato d’assedio, tardano a arrivare.