Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  maggio 19 Domenica calendario

HO SBAGLIATO, E’ UNA PAROLA CHE FA PAURA"

Quando ho utilizzato per la prima volta la parola «rottamazione» non immaginavo che avrebbe suscitato così tanta eco. Che ci sarebbero state tesi di laurea su questo modo di usare il linguaggio. E che insigni commentatori avrebbero dettagliatamente illustrato la presunta strategia di elaborazione che stava alla base di questa uscita. Io vedevo semplicemente l’esigenza di riportare il ceto politico alla vita di tutti i giorni. Ho fatto bene? Ho esagerato? Difficile dirlo. Avessimo utilizzato un’altra espressione, probabilmente non avremmo avuto la visibilità ottenuta con «rottamazione».

Quando una parola entra così fortemente nella vita quotidiana, significa che funziona. Ma è anche vero che in una comunità come quella italiana, dove il 70 per cento della popolazione è over 40, forse l’impatto è stato eccessivo. Ho impaurito. Dunque ho sbagliato. Qualche mese dopo le elezioni mi viene a trovare un manager che si occupa di comunicazione in un’importante multinazionale. Si chiama Giuseppe, ha 46 anni, è brillante, competente. Viene da una regione rossa ma non è mai stato iscritto al «partitone», come lo chiamano da queste parti. Anzi. Culturalmente è un liberale. E detesta un certo conservatorismo del gruppo dirigente del Pd. Ha tutte le caratteristiche per essere il mio elettore ideale alle primarie. «Eppure non ti ho votato, Matteo. Sei riuscito a respingermi, e non era facile! Mi hai fatto paura, tu e la tua rottamazione.»

Mi spiega, con pazienza, che non vinceremo mai giocando un messaggio negativo. L’elettore, come il consumatore di biscotti o di qualsiasi altro prodotto alimentare, ha bisogno di sentirsi rassicurato da un lato e chiamato alla speranza dall’altro. [...] Spiega perché la rottamazione ha impaurito la casalinga di Chieti e il nonno di Cagliari. Ovviamente si potrebbe replicare punto per punto [...] Ripenso agli sforzi che ho fatto per depurare la parola «rottamazione » dagli aspetti più negativi. Penso alla copertina di «Oggi» con le mie nonne. Già, perché pur di non sembrare contro gli anziani ho reclutato anche le mie nonne, centosettantaquattro anni in due, nella campagna per le primarie. Alla copertina di «Chi», dove discuto in modo animato con mio padre nato quindici giorni precisi dopo Bersani nello stesso anno, nel 1951. Ma mentre ammirato rifletto prendendo appunti sulle cose, interessanti, che dice, mi rendo conto che non è questo ciò che mi fa male della rottamazione. Mi spiace [...] il fatto che il termine «rottamazione» sia sembrato un’espressione troppo dura, troppo forte, troppo volgare. C’è una parola, infatti, che vorrei stesse alla base della mia esperienza politica. E la parola non è «rottamazione», ma «gentilezza».

Temo che la grande rilevanza data alla rottamazione abbia molto messo in ombra il resto. Il pensiero va alle parole di una straordinaria donna, Aung San Suu Kyi, nel momento in cui si reca a Oslo per ricevere fisicamente il premio Nobel per la pace che le era stato assegnato anni prima ma che non aveva potuto ritirare personalmente perché ancora incarcerata dal regime birmano.

Sono parole incentrate proprio sul concetto di gentilezza. Aung San Suu Kyi: «Ho usato il termine “gentilezza” dopo un’attenta riflessione, potrei dire un’attenta riflessione di molti anni. Tra le cose belle dei periodi di avversità, e lasciatemi dire che queste non sono state numerose, ho trovato che la più dolce, la più preziosa di tutte è la lezione che mi ha insegnato il valore della gentilezza. Ogni attenzione che ho ricevuto, piccola o grande, mi ha convinto che non potrà mai essercene abbastanza nel nostro mondo. Essere gentili significa rispondere con sensibilità e calore umano alle speranze e alle esigenze degli altri. Anche il più breve tratto di gentilezza può alleggerire un clima pesante. La gentilezza può cambiare la vita delle persone».