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 2013  maggio 18 Sabato calendario

LA CARTA D’IDENTITÀ DELLA CHIESA

Come sempre, all’arrivo della nuova edizione dell’Annuario Pontificio gli specialisti di cose d’Oltretevere si dilettano a compulsare le modifiche apportate. È un po’ come i cremlinologi a ogni parata commemorativa della Rivoluzione d’Ottobre: analizzavano le fotografie dei gerarchi, per rilevare ascese, emarginazioni e scomparse.

Quest’anno il nuovo volumone rosso-oro (sfiora le 2.500 pagine) era atteso per vedere come si sarebbe graficamente tradotta la novità dei due papi.

L’Annuario 2012 recava in una sola pagina il nome del papa, seguito dal titolo di «Vescovo di Roma», poi (caratteri maggiori) da «Vicario di Gesù Cristo» e (caratteri normali) dagli altri titoli («Successore del Principe degli Apostoli», «Sommo Pontefice della Chiesa universale», «Primate d’Italia», «Arcivescovo e Metropolita della Provincia Romana», «Sovrano dello Stato della Città del Vaticano»).

L’edizione bergogliana divide in due i titoli. Nella prima pagina, destra, colloca «Francesco» e sotto «Vescovo di Roma»; nella seconda, pagina sinistra, sono riportati egualmente tutti i titoli del predecessore. Dunque, è messa in rilievo la funzione di vescovo dell’Urbe.

Proprio nella pagina dedicata alla diocesi romana si trova, collocato sotto Francesco (nome in grassetto), Benedetto XVI (nome in chiaro), del quale si specifica, a conclusione: «eletto Vescovo di Roma e Sommo Pontefice della Chiesa universale il 19 aprile 2005, _, rinuncia il 28 febbraio 2013». Importante: se sotto il nome di Francesco è scritto «Vescovo di Roma», sotto quello del predecessore compare «Sommo Pontefice Emerito». Dunque, non «Vescovo emerito di Roma», bensì «Sommo Pontefice Emerito».

Nell’elenco iniziale di tutti i papi da Pietro a Francesco, a Benedetto XVI viene apposta una nota a piè di pagina, che segna «Data della rinuncia» al 28 febbraio 2013. Simile è l’annotazione a Gregorio XII, sempre a piè di pagina: «Data della rinuncia: morì il 18.X.1417». Per Celestino V, invece, figurano (senza note) le date di rinuncia e di morte, quest’ultima preceduta da una croce. Ovviamente, solo dopo la scomparsa del pontefice emerito si vedrà se l’Annuario seguirà lo stile usato per Celestino V o confermerà quello utilizzato per Gregorio XII.

Fra le altre modifiche, colpisce il declassamento dei patriarcati latini (sono cinque, fra i quali Gerusalemme, Lisbona e Venezia). Sono stati tolti dalle «Chiese patriar-cali», ove sono rimasti solo i patriarcati orientali. Dopo le «Chiese patriarcali» sono inserite le «Chiese arcivescovili maggiori», sempre di riti orientali, e poi le «Chiese metropolitane sui iuris», anch’esse di riti orientali (fino all’anno scorso non avevano un proprio settore). Solo a questo punto arriva il nuovo capitolo dei «Patriarcati latini», discesi dunque di livello gerarchico-tipografico.

La lettura del nuovo Annuario consente di verificare lo stato di taluni presuli in condizioni anomale. Continua a figurare il vescovo di Pyongyang, Francis Hong Yong-ho, nato nel 1906, con la tragica indicazione di «disperso». È tradizione della Chiesa serbare il nome di vescovi perseguitati («in carcere per la fede», «impedito») fin quando non giunga notizia certa della morte, che senz’altro ha da molti anni raggiunto questo presule perseguitato dai comunisti nordcoreani.

Diverso, invece, il caso di vescovi puniti, tolti dall’Annuario, a volte dopo anni. L’argentino Jeronimo Podestà si accorse soltanto dalla lettura di un Annuario che Paolo VI l’aveva privato della sede titolare che gli era stata assegnata (si era sposato). Sono rimasti (Sandro Magister, vaticanista insigne, si chiedeva se sarebbero stati cassati) alcuni discussi monsignori: l’ausiliare di Los Angeles, Gabino Zavala, dimessosi perché padre di due figli, e l’ex vescovo di Antigonish (in Canada), Raymond Lahey, condannato per possesso di materiale pedopornografico.

Un particolare. Per la prima volta la firma del papa sotto la fotografia è in italiano, da vescovo di Roma: «Francesco». Finora era in latino, lingua ufficiale della Chiesa universale: «Benedictus pp. XVI». Non è proprio detto che si tratti di un miglioramento.