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 2013  maggio 17 Venerdì calendario

IN AMERICA CI CREDONO: MARCHIONNE LASCERÀ TORINO

Arriva lo Zio d’America. Piazza Affari scommette sulla fusione Fiat-Chrysler. La nuova società sarebbe quotata a Wall Street e avrebbe quartier generale a Detroit. In Borsa il Lingotto conferma un rialzo dello 0,3% perfettamente in linea con l’indice generale. Un sostanziale consolidamento all’indomani di un balzo del 7,6%. Il motore a stelle e strisce, che ha ingranato la quinta nelle vendite mentre in Europa c’era la retromarcia, ha spinto il titolo in rialzo del 60% in un anno. Con tanto di importanti soglie psicologiche rotte: il titolo quota intorno a 5,40 che non si vedeva dall’agosto 2011. A mettere le ali sono le aspettative di un’accelerazione della fusione tra la l’azienda italiana e Chrysler. L’unione, secondo indiscrezioni rilanciate ieri l’agenzia Bloomberg, potrebbe portare anche al trasferimento della sede da Torino a Detroit. Ipotesi più volte ventilata che resiste a tutte le smentite (compresa quella arrivata puntualmente ieri). Tuttavia soluzione sempre più ragionevole a fronte del crescente peso del Nord America sul giro d’affari del gruppo. Per capire basta un dato: nel 2004 l’Europa pesava per il 90%. Oggi è ferma al 24%. Per quanto riguarda gli utili la proporzione è ancora più sfavorevole visto che l’Italia è in perdita e il resto delle vendite nella Ue forniscono margini risicati. I guadagni arrivano tutto dallo Zio d’America: Stati Uniti ma anche Brasile. Né ci sono segno di inversione. Ieri sono stati diffusi i dati preliminari di aprile nel Vecchio Continente: a fronte della crescita del mercato dell’1,6% la Fiat arretra del 12,7%. Lo share scende dal 7,6 al 6,5%.
Il trasferimento a Detroit, tra l’altro avrebbe anche un senso finanziario per la maggiore facilità d’accesso al mercato dei capitali Usa. L’ipotesi circola da tempo ma, secondo Bloomberg, sarebbe stata confermata da «persone vicine al dossier».
Il Detroit Free Press riporta, citando fonti aziendali, che «la decisione sulla sede della futura Fiat- Chrysler sarà ritardata almeno fino a quando non sarà stabilito l’esatto importo da pagare alla Veba per il restante 41,5% della Chrysler».
A inceppare i piani di fusione infatti c’è la controversia con il fondo pensione dei metalmeccanici sul prezzo. La parola spetta al tribunale del Delaware che dovrà decidere qual è il valore del 41,5% delle azioni in mano al fondo dei dipendenti di Chrysler. Nel frattempo non è escluso che le diplomazie possano trovare un accordo prima. Anzi, in queste settimane i contatti si sarebbero intensificati. I gestori del fondo puntano a ottenere il prezzo più alto possibile ma non hanno interesse a irritare Marchionne. Sul tavolo del negoziato ovviamente c’è spazio anche per altre questioni. Per esempio la distribuzione geografica delle funzioni e la sede. In ogni caso, rassicura Marchionne, la localizzazione del quartier generale è irrilevante: sedi regionali sono necessarie sia in Nord America sia in Europa, sia in America Latina e Asia. «La sua sede principale è un aereo» chiude la questione il portavoce di Chrysler.

NON C’È SOLO FIAT UN’AZIENDA SU DUE VUOLE EMIGRARE –
L’Italia non è più un paese per giovani e nemmeno per imprenditori. Parola di Claudia de Braud che, per mestiere, si confronta giornalmente con questi due mondi: sia l’universo dei ragazzi, sia quello delle imprese. E’ in - fatti docente di Strategia e Politica Aziendale alla Cattolica e segretario generale dell’Aicib (Associazione di Corporate & Investment Banking). Un organismo creato dall’Università e da Pricewatrehouse che raggruppa una trentina fra banche e industrie. L’obiettivo è quello di capire come poter dialogare fra di loro e poi con il territorio. L’Osservatorio su “Fare impresa in Italia” è il fiore all’occhiello della sua attività. Un fiore che, purtroppo, cresce su un terreno sempre più arido: «Dal nostro lavoro, aggiornato al mese di maggio emerge che almeno la metà degli imprenditori non ha più voglia di proseguire l’attività in Italia». Un dato allarmante: «Ma tre mesi fa -sorride- eravamo al 75%. Con l’arrivo del governo Letta un po’ più di fiducia si è sentita». Ma la preoccupazione è ancora grande.
Perchè è evidente che a parlare, in questo sondaggio, è soprattutto la pancia dell’imprenditore. E che una cosa sono le cose che si dicono e tutt’altra quelle che si fanno. Trasferirsi non è sempre facilissimo. Ma non bisogna dimenticare il canone inverso. Per esempio le affermazioni di John Elkann e Sergio Marchionne che pubblicamente dichiarano fedeltà agli investimenti in Italia. Poi, però, lavorano per spostare il baricentro negli Stati Uniti. E come dar loro torto? Perchè non ci sono solo le variabili della domanda aggregata che contano. Il contesto è più rilevante. I maggiori problemi che ostacolano le imprese? «Prima di tutto il fisco -aggiunge la professoressa- Per il 79% delle imprese è l’ostacolo più alto». Ma gli altri non sono lontani. Per esempio l’invadenza del sindacato (75%), è considerato più invalidante rispetto alle pessime condizioni del mercato (67%). Come dire che a complicare la vita è soprattutto la difficoltà nel manovrare le leve dell’impresa. Più ancora di un mercato che in questo momento non offre grandi opportunità. E’ il fenomeno che Giuseppe De Rita, con l’immaginazione che lo distingue, definisce il “rattrappimento” dell’Italia. L’Osservatorio curato dall’Università Cattolica fornisce le cifre: solo il 22% degli imprenditori italiani vede la possibilità di far crescere la propria impresa. Nè il nuovo governo, seppure guardato con una complessiva simpatia, sarà in grado di cambiare in maniera decisiva la situazione. Restano i problemi con il credito che non arriva e con la burocrazia fin troppo invadente.
Analisi non certo inedite. Ma proprio perchè ampiamente maturate meriterebbero un accordo di sistema. «E invece sulle soluzioni non si riesce mai a trovare una strada condivisa» dice Claudia de Braud. E così l’economia rallenta, la disoccupazione sale e chi può va all’estero. Molti degli altri sperano, un giorno, di poter fare altrettanto.