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 2013  maggio 19 Domenica calendario

TORNA QUELL’ESIBIZIONISTA DI GIUSEPPE BERTO

Un testo scritto da un autore eretico, sul peggiore dei peccati umani, pri­ma «censurato», poi casualmente perduto, rimasto di fatto inedito per quasi cinquant’anni, e ora pubblicato, ma non ancora distribuito, da un editore a lungo ideologicamente snobbato, che qui a Tori­no non ha neppure uno stand, e che però or­ganizza un presentazione-provocazione che ha come testimonial il peggior intellettuale non-conformista italiano...Ce n’è ab­bastanza per farne un libro-evento, e il me­no adatto in assoluto al Salone. Quindi, im­perdibile. In un grande festival delle Vanità, dove tutti impazziscono per avere il pro­prio nome sulla copertina di un libro, leggersi sulle pagine dei giornali, apparire in tv e avere migliaia di follower, ecco un pamphlet d’autore che fa ironi­camente a pezzi Presunzione, Egocentrismo e Gloria Effimera...
È un meraviglioso Elogio della vanità (sottotitolo: Ovvero vediamo un po’ come siamo combinati malamente), scritto da Giuseppe Berto nella primavera del ’65 per quella che avrebbe dovuto essere la Stren­na natalizia della Rizzoli. Berto pochi mesi prima aveva pubblicato Il male oscuro, romanzo di cui stava - va­nitosamente - assaporando le fortune mediatiche. Insom­ma, ne sapeva abbastanza per buttar giù una quarantina di paginette parodistiche e impietose per un piccolo «studio psico­logico sul successo da esibizionismo».
Vanitas vanitatum et omnia vanitas.
L’ Elogio di Berto era (ed è), a detta di chi glielo commissionò, «bellissimo» ed «ec­cellente», ma -come scrisse all’autore il di­rettore letterario della Rizzoli- «i nomi e i fatti contemporanei che tu citi qualche vol­ta (pochi, per fortuna) stonano un tantino in un discorso tanto acuto e “universale”». E, guarda caso, il dattiloscritto andò perduto... Fino al 2006, quando una copia fu tro­vata fra le carte di Giancarlo Vigorelli, il qua­le avrebbe dovuto scriverne la prefazione. Uscito in un’edizione fuori commercio vo­luta dalla vedova di Berto, Emanuela (che non ha mai creduto allo «smarrimen­to»...), di cui un breve estratto apparve sul Corriere della sera nel 2007, ora il testo vie­ne pubblicato integralmente dalle Edizio­ni Settecolori di Manuel Grillo, figlio di Pi­no, storico editore «ai margini dei confini del lecito consorzio perbenista» (natural­mente democratico), ed è stato presentato ieri al Salone del Libro - in attesa che sia di­stribuito nei prossimi mesi in libreria - da Pietrangelo Buttafuoco, un perfetto Giu­seppe Berto dei nostri tempi, e Cesare De Michelis, un critico sufficientemente dan­dy per capire tutti i pericoli della vanità.
Eccolo il libro più bello (che ancora non c’è) del Salone (che ne ha troppi): ironico, graffiante, in-attuale, irregolare, scorretto (quella «specie di cialtrone di genio» di Pa­solini, quella«incredibile cravatta d’ango­ra viola di Carlo Levi»...) buttato lì per rab­bia e per scherzo da uno che scriveva non per avere successo, ma per cercare la grazia di sopravvivere alla propria vita. Questa pubblicazione, cinquant’anni dopo, dimo­stra che la trovò.