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 2013  maggio 20 Lunedì calendario

IL QATAR CI METTE LA FACCIA MA HA PAURA DI PERDERLA

Pare che l’aria condizionata non basti per abbassare la temperatura. Il Qatar è pronto a investire cifre assurde per organizzare i Mondiali di calcio del 2022 (già assegnati), quelli di atletica del 2019 (in fase di candidatura), per essere la capitale di ogni evento degno di nota. Solo che il micro Stato deciso a diventare grande impero dello sport ha qualche problema di immagine.

Sembrava che fosse sufficiente esibire risorse, sorrisi e donne in primo piano. Solo due anni fa, la Coppa del Mondo garantiva apertura e fiducia invece lo stesso mondo che ha votato per dare l’organizzazione al Paese arabo ora ha un sacco di domande. E di dubbi.

Prima c’è stato il Qatargate. L’inchiesta è ancora in corso, difficile che porti a fatti concreti, a prove di corruzione certe però già adesso l’assegnazione del 2010, allora venduta come un «sano tentativo di allargare i confini del calcio», è considerata, alla meglio, un eccesso dovuto «a diverse pressioni per indirizzare il Mondiale in Medio Oriente» e le parole sono di Sepp Blatter, presidente della Fifa. Capire perché «il Supremo» che comanda il pallone abbia cambiato versione (senza ammetterlo) è facile. Allora era convinto che questo sarebbe stato il suo ultimo mandato, oggi in molti sostengono che sia pronto a ricandidarsi per opporsi a Michel Platini, attuale presidente Uefa, naturale erede, più che probabile candidato ed ex alleato. Politica virtuale, per il momento i due si ignorano e discutono a distanza. In disaccordo su tutto tranne che su un punto: nel 2022 bisognerà giocare il Mondiale in inverno, a costo di rivoluzionare il calendario.

Il Qatar resta a guardare, non che per loro sia un problema rivedere l’agenda però sono seccati della percezione. La credibilità è in caduta libera nonostante i tentativi di dimostrarsi più moderati e disposti ai compromessi. Di certo non erano preparati ai riflettori che un Mondiale si porta dietro. Il Qatargate li ha provati e segnati. Si sono proposti per la presidenza della Confederazione asiatica del calcio: bocciati. Erano certi che avrebbero avuto un posto nel ristretto esecutivo Fifa: sono rimasti fuori. Due delusioni pubbliche. Più che altro due schiaffi.

Provano il rilancio con l’atletica, già sono titolari di un meeting importante che ogni stagione apre la Diamond League, vorrebbero prendersi il Mondiale 2019 e la presidenza dell’area asiatica. Lì si muovono più cauti, con proposte mirate, atleti felici di essere testimonial e persino un campione fatto in casa come Mutaz Barshim, saltatore in alto, bronzo olimpico e leader di stagione. Il suo profilo sta sui cartelloni della Corniche, dietro lo skyline in movimento perché ogni mese si tira su un palazzo nuovo. Il complesso sportivo «Aspire» è già finito ed è all’avanguardia. Perfezione vera con impianti indoor, outdoor, palestra, un albergo a forma di torcia, tocco ironico, e un ospedale pensato per le necessità degli atleti, la cura dei traumi da infortunio e gli studi di nutrizionisti ed esperti pronti a sfoderare tabelle per il miglioramento delle prestazioni. Chiunque lo visiti ne è affascinato, il Manchester United, di passaggio durante una tournée, è rimasto stregato. Uno spot notevole, purtroppo anche la pubblicità negativa si diffonde.

Il problema più grandeè il contratto di lavoro contestato da tempo dalle associazioni per i diritti umani e oggi al centro delle polemiche per i casi sempre più frequenti di giocatori arrivati per cercare e fortuna e poi accantonati. Gli ultimi due sono il franco-algerino Zahir Belounis e il marocchino Abdeslam Ouaddou. Origini diverse e storie simili. Belounis aveva firmato per il club Al-Jaish, la squadra dell’esercito, e si è ritrovato degradato in un club satellite con lo stipendio decurtato e poi sparito nonostante lui avesse firmato fino al 2015: «21 mesi senza essere pagato sono tanti, la società dice che se firmo certe carte con cui rinuncio a ogni richiesta mi ridanno i documenti. Ho rifiutato, ora il dossier è in mano all’ambasciata francese». In Qatar c’è il sistema «Kafala», ottieni un permesso di lavoro e consegni i documenti. Alla prima discussione ti dicono che se rivuoi il passaporto devi abbandonare ogni pretesa. Belounis per ora regge, reclama i soldi e annuncia uno sciopero della fame. La lega calcio del Qatar invece studia un’azione legale e considera le accuse «diffamazione». A caso aperto arriva la testimonianza di Ouaddou, addirittura capitano della squadra dello stesso principe che possiede il Psg o meglio ex capitano. Depennato anche lui, «usano metodi barbari, ci trattano come schiavi». E stiamo parlando di calciatori, ai normali lavoratori di solito va peggio. Davanti alle incomprensioni, vere o presunte, c’è la prigione.

Dorje Gurung è stato rilasciato da pochi giorni. È un insegnante nepalese incarcerato con l’accusa di «insulto alla legge islamica». A denunciarlo sono stati tre ragazzi di 12 anni, erano abituati a sfottere il maestro per le sue origini e lui, esasperato, ha risposto: «Come la prendereste se vi bollassero con lo stereotipo terroristi?». Era una domanda piuttosto educativa in effetti ma non è stata gradita. Gurung ha passato un mese rinchiuso, ora è tornato in Nepal e il suo racconto è l’ennesimo scandalo uscito fuori dai confini.

C’è chi prova a dare effettivi segni di cambiamento, il nuovo Museo Olimpico esalta anche le donne atlete e mette le foto delle prime che hanno rappresentato il Qatar ai Giochi di Londra.Ma la prova più grande è il 30 giugno, in quella data si saprà se do po 41anni il Qatar avrà delle elezioni parlamentari. La legge è stata continuamente rivista dal 1972 a oggi per evitare il voto, stavolta si dice che l’emirato sia pronto per la svolta. Dare un segnale concreto per avere l’approvazione del mondo. Con l’aria condizionata non funziona, per quanto la alzino i riflettori non si spengono.