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 2013  maggio 19 Domenica calendario

PALESTINESI AL VOTO (MA SOLO IN TV)

Ogni settimana i pa­le­stinesi votano il loro presiden­te. Lo fanno via sms, nell’ovatta­to mondo televisivo, per finta. In realtà, non vanno alle urne per cambiare il loro leader dal 2005.
Al Rais, il presidente, è il reali­ty show che appassiona il pub­blico palestinese ricostruendo una politica in stallo. Un grup­po di giudici - politici, accade­mici, uomini d’affari - assieme agli spettatori a casa decide chi, tra i giovani concorrenti, è qua­lificato per diventare raìs. «Che sistema economico sviluppere­sti in un futuro Stato palestine­se?»; «Come salveresti una compagnia in crisi economi­ca?», hanno chiesto nell’ulti­ma punta­ta i giudici, tra i quali un deputato ara­bo al Parla­mento israelia­no, Ahmed Ti­bi, e politici dell’ Autorità naziona­le palestinese, co­me Khoulod Dei­bes. Il reality show è in­ziato a marzo. «La no­stra storia è la storia di una leadership fallita», ha detto nello stesso periodo il premier dimissionario Salam Fayyad al New York Times, per poi negare di aver pronunciato quelle pa­role. Con una leadership divisa politicamente e geograficamente- gli islamisti di Hamas a Gaza e l’Autorità nazionale di Abu Mazen in Cigiordania- sen­za una data fissata per elezioni, la crisi dei vertici politici palesti­nesi è pro­fonda.
Seduto nell’atrio del mo­derno Centro conferenze di Betlemme, in Cisgiordania, dove è girata parte del reality, Raed Othman racconta come è nata l’idea di Al Rais. È il manager di Ma’an, agenzia di stampa e ca­nale tv indipendente palestine­se che produce la serie assieme all’organizzazione non profit «Search for Common Ground». «È semplice: non vo­tiamo per un presidente da otto anni», spiega mentre alle sue spalle i dieci candidati rimasti in gara- nove uomini e una don­na - si preparano a entrare in scena. In 1.200 palestinesi- tra i 25 e 35 anni- hanno sfidato le te­lecamere per diventare raìs.
Ogni sabato, i giovani, seguiti dagli operatori tv, affrontano una sfida diversa, di cui poi discutono davan­ti ai giudici nella puntata successiva. La set­timana scorsa, i candidati han­no lavorato per un giorno sedu­ti su una poltrona importante: c’è chi è stato sindaco di Na­blus, chi governatore di He­bron, chi amministratore dele­gato della società di teleco­municazioni, come Baha’a Al Khatib, 26 anni, nella vita ve­ra program manager in una compagnia che distribuisce sof­tware didattici online. Baha’a vorrebbe diventare veramente presidente per «portare avanti un cambiamento reale» che si focalizzi «sul rafforzamento delle istituzioni, dell’educazione, dei servizi, della sanità» per co­struire uno Stato. Un accordo di pace con Israele? «Certo che lo firmerei se fossero ricono­sciuti i diritti dei palestinesi e dei rifugiati: nessuno vuole uc­cidere e vedere sangue», dice al Giornale il candidato che parla già un po’ da presidente: «Io so­no un uomo di pace».
La notizia del reality è arriva­ta sui quotidiani israeliani, che hanno notato come alcuni partecipanti abbiano preso posizioni ­contro la violenza nel con­flitto con Israele e abbiano piut­tosto parlato, come Baha’a, di «resistenza civile». Secondo il manager di Ma’an, Raed Oth­man, la leadership palestinese guarda con attenzione lo show «e prende appunti». Il messag­gio che Raed vorrebbe mandare ­ai vertici è riassunto dall’aspi­rante presidente Baha’a: «C’è una giovane ge­nerazio­ne pale­stinese che vuole e può portare il cambiamento’. Chi potrà parlare come ’amba­sciatore’ di que­sta nuova guar­dia televisiva lo deciderà per il 25% il pubblico, via sms, e per il 75% i giudici. La finale sarà a giugno. Intanto, forse suggestionati dalla re­altà del piccolo scher­mo, i vertici di Hamas e quelli di Fatah, partito del presidente, hanno dichiarato mercoledì che la data per nuove elezioni potrebbe essere annunciata en­tro tre mesi.