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 2013  maggio 19 Domenica calendario

AGENDA ROSSA, NESSUN COMPLOTTO UN VIDEO SMONTA L’ULTIMO MISTERO

Per vent’anni l’hanno cercata, tasto­ni, nei meandri occulti della borsa del giudice ammazzato in via D’Amelio il 19 luglio del 1992. E in vent’anni d’inda­gini e processi farsa, con pentiti farloc­chi e innocenti condannati, non si sono accorti –gli inquirenti a caccia di fanta­smi- che l’«agenda rossa» di Paolo Bor­sellino era proprio davanti ai loro oc­chi, sotto il loro naso, accanto alle car­casse incandescenti delle auto, immor­talata in un vecchio filmato dei vigili del fuoco girato subito dopo l’esplosione. Dal 2007 hanno linciato l’allora capita­no dei carabinieri Giovanni Arcangioli accusandolo d’aver rubato lui il diario del giudice solo perché in video e foto­grafie lo si vedeva con la borsa del magi­strato dentro cui si decise, senza uno straccio di una prova, dovesse esserci l’agenda. Che invece era dove doveva essere: in strada, accanto ai resti morta­li del magistrato, semicoperta da un car­tone, spostata con i piedi da un poliziot­to con tracolla e mocassini. Ce l’aveva in mano Borsellino quando scese dalla blindata, forse la teneva «sotto l’ascel­la» come sembrava di ricordare all’unico sopravvissuto della scorta e come ammette il procuratore Lari. E pure i fa­miliari, dalla sorella Rita alla moglie Agnese, lo dicevano incessantemente: Paolo non se ne separava mai.
Ecco. Lo scoop di Francesco Viviano, ieri su Repubblica, cancella in un solo colpo due decenni di accertamenti catastrofici basati sulla convinzione me­diatico­giudiziaria che qualcuno fece sparire la borsa con dentro «l’agenda rossa» perché all’interno vi erano cust­o­diti i nomi dei mandanti eccellenti e dei politici collusi, i segreti delle stragi e l’indicazione dei soggetti istituzionali re­sponsabili dell’indimostrata «trattati­va» Stato-mafia. Follie. Perché è impensabile che un magistrato come Borselli­no non abbia ritenuto di condividere indizi di reato con sbirri e colleghi, ar­rivando addirittura a non verbalizza­re le gravissime accuse fatte dal penti­to Mutolo. Minchiate. Quell’agenda dimenticata, più semplicemente se l’è portata via l’azienda addetta alla pulizia della strada, anche se c’è da scommetterci che da qui ai prossimi vent’anni, fioccheranno nuove inda­gini, nuovi indagati, libri, convegni, dibattiti, cortei e manifestazioni con agende rosse al cielo. E comunque, se qualcuno l’ha fatta sparire di proposi­to, resta lo scempio investigativo, il coté mediatico che ne è seguito, la sciatteria.
E invece bisognerebbe cominciare col chiedere scusa al povero carabi­niere Arcangioli che dopo due richie­ste di archiviazione, sempre respinte dal gip, si beccò un’imputazione coat­ta per furto aggravato dalla finalità di aver agevolato Cosa Nostra prima di venire prosciolto eppoi archiviato per false dichiarazioni al pm. Nono­stante la sentenza sia passata in giudi­cato e il reato sia andato prescritto, l’ex capitano, oggi colonnello, non viene mollato dai pm e da certi croni­sti che si sono recentemente eccitati per un video «inedito» e «clamoroso» (un altro, non quello dello scoop di Vi­viano) esibito al processo Borsellino quater dove Arcangioli è stato ascolta­to come testimone e dove ha ribadito di aver aperto la borsa, di non aver vi­sto nulla di rilevante («forse la vidi in­sieme al giudice Ayala») e di non ricor­dare cosa fece successivamente non avendo trovato in quella borsa nulla di investigativamente interessante. In questo clima anche l’ex pm Ayala ha ceduto al fascino della deduzione scaricando Arcangioli: «La borsa era nell’auto, io non la aprii e la diedi a un ufficiale dei carabinieri (...). Chi ha preso la borsa si è certamente allonta­nato per selezionare il contenuto». Ammettendo così che l’agenda fosse nella valigetta.
Ma torniamo all’ultimo video «ine­dito e clamoroso» mostrato in aula, di 33 minuti, rintracciabile su internet, dove si asserisce che Arcangioli –rico­noscibile da un giacchino azzurro- a un certo punto passa la borsa a uno dei tre carabinieri (Tassone, Tosci e Calabria).In realtà, ingrandendo l’im­magine, dal minuto 26.20 al 26.30, quel che sembra una borsa, non è una borsa (anche Arcangioli in aula ci ca­sca vedendo l’immagine ridotta in un tablet) poiché all’altezza del petto il collega Calabria tiene le braccia con­serte, non la borsa. E poi questa scena è anche fuori contesto: si sviluppa al­la luce del sole, e soprattutto a cose fat­te, non in via d’Amelio ma nella vicina via dell’Autonomia Siciliana parec­chio tempo dopo la strage: basta scor­rere il video, l’immagine vicina è quel­la di un carro funebre con il feretro di una delle vittime. Dentro la borsa rin­venuta successivamente nell’auto – ma questo nessuno lo dice – spuntò un’agenda marrone riconsegnata ai familiari dove Borsellino teneva nu­meri e appuntamenti. Perché, allora, in quei frangenti convulsi, rubare la rossa e non anche la marrone?
Per anni Diego Perugini e Sonia Bat­tagliese, difensori di Arcangioli, han­no chiesto una perizia comparativa sui filmati girati in via d’Amelio utiliz­zando uno speciale software in grado di scovare qualsiasi oggetto compati­bile, per forma e colore, con l’agenda rossa. Richiesta respinta, ovviamen­te. Indagini carenti. Pregiudizi. Osses­sioni sull’agenda, il sacro graal dell’antimafia militante. E poi uno si do­manda perché il presidente del Senato, Pietro Grasso, valuti di farsi interrogare a Palazzo Madama anziché in aula a Pa­lermo sulla trattativa. Sa bene, che su questa roba, c’è gogna per tutti.