Antonio Polito, Corriere della Sera 20/05/2013, 20 maggio 2013
LA SCUOLA IN OSTAGGIO DI UNA SFIDA IDEOLOGICA
La prossima Opa ostile, l’offerta pubblica d’acquisto, sul Pd è prevista per domenica prossima a Bologna. Ispirato da Stefano Rodotà, lo stesso fronte che abbiamo visto sabato in piazza a Roma, composto dalla Fiom, dalla Sel di Vendola, dal Movimento 5 Stelle, e con l’aggiunta originale di Casa Pound, tenterà di assestare nelle urne un colpo forse letale alla giunta guidata dal sindaco pd Virginio Merola. Il referendum promosso da questo fronte punta ad abbattere il sistema integrato di scuola pubblica e scuola paritaria che fu avviato in Emilia più di vent’anni fa proprio da Bersani, allora presidente della Regione.
Appellandosi all’articolo 33 della Costituzione e alla famosa formula del «senza oneri per lo Stato», i promotori del referendum chiedono che si abolisca il contributo di poco più di un milione di euro che il Comune dà ogni anno alle scuole dell’infanzia cosiddette private, in gran parte di ispirazione cattolica, per destinarlo alla scuola comunale, in difficoltà per la stretta fiscale dello Stato. In realtà il Pd, il Pdl e l’Udc, la Cisl e la Conferenza episcopale, sostengono insieme che gli «oneri per lo Stato», in questo caso, ci sarebbero piuttosto se quel sistema saltasse. In cambio del milione di euro (il 2,8% dei fondi complessivi), il Comune ottiene infatti un servizio che copre il 21% dei bambini di Bologna: con gli stessi soldi potrebbe garantire il posto solo a un decimo dei 1.736 alunni che frequentano le paritarie convenzionate. Non a caso, dicono, la Costituzione esclude gli «oneri» e non i «finanziamenti», che sono due cose diverse. Ma questo argomento di buon senso non commuove gli abrogazionisti: Maurizio Matteuzzi, che pure insegna filosofia del linguaggio all’Università di Bologna, è arrivato a controbattere sul Manifesto che anche se lo Stato finanziasse la mafia ne trarrebbe un introito grazie all’incremento del traffico della droga e della prostituzione. Questo è il tono che ha assunto lo scontro.
La battaglia sembra dunque essere di principio: non un soldo dello Stato a ciò che non è gestito dallo Stato. Ma in questo modo si rischia di negare il diritto alla libertà educativa delle famiglie, anch’esso riconosciuto nella Costituzione, che va sempre letta per intero: «La legge — aggiunge infatti l’articolo 33 subito dopo il "senza oneri per lo Stato" — nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quella degli alunni di scuole non statali». Togliendo gli aiuti pubblici si restringerebbe invece quella libertà alle sole famiglie che ne abbiano i mezzi economici. I genitori dei 1.736 bambini di Bologna pagano infatti, oltre alla retta per i loro figli, anche le tasse che vanno alla scuola statale e comunale: se dovessero aggiungere altri 600 euro l’anno, molti di loro sarebbero costretti a rinunciare all’esercizio di quel diritto. C’è insomma in gioco una questione di libertà molto delicata, visto che si parla di educazione, e che Aldo Moro difese alla Costituente.
E infatti la legge, una legge varata dal centrosinistra e che porta il nome di Luigi Berlinguer, stabilisce dal 2000 che tutto il sistema nazionale di istruzione, che sia gestito dallo Stato, dai Comuni o dai privati, è «pubblico», perché svolge un servizio pubblico e si assoggetta a norme fissate dal potere pubblico, a partire dall’obbligo di essere aperto a tutti. Questo principio era parte integrante del manifesto con cui Prodi vinse le elezioni nel ’96: non tutto ciò che per la sua finalità è pubblico deve per forza essere gestito dallo Stato. E fu sempre l’Ulivo, nel 2001, a introdurre nella Costituzione il principio della sussidiarietà: «Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale».
Sono queste le ragioni che hanno spinto il sindaco a bollare con parole di fuoco il referendum di domenica prossima: «Una inutile guerra ideologica, il tentativo di fare di Bologna il laboratorio di sperimentazione della nuova sinistra di Vendola»; il quale fra l’altro — ha ritorto Merola — in Puglia dà contributi alla scuola privata. Nelle urne bolognesi si fronteggiano per la prima volta gli inediti schieramenti che si sono creati in parlamento, Pd e Pdl insieme da un lato, Sel e Movimento 5 Stelle dall’altro. Quello strano connubio tra statalismo e retorica dei diritti, tra post-comunisti e post-giacobini, che ha già terremotato il Pd in Parlamento, tenta ora di conquistarne il popolo nella città simbolo del riformismo. Qualcosa di molto più grande di una consultazione locale.
P.s.: chi scrive ha aderito all’appello dei bolognesi per l’opzione B, che lascia il sistema così com’è.
Antonio Polito