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 2013  maggio 18 Sabato calendario

“Non si comprano più case” è l’affermazione che campeggiava sui giornali di mercoledì. Dipende dai punti di vista

“Non si comprano più case” è l’affermazione che campeggiava sui giornali di mercoledì. Dipende dai punti di vista. I proprietari che intendono cedere diranno che “non si vendono più case”. A metà tra queste due affermazioni stanno i prezzi. Se questi scendessero, per esempio, prima o poi i venditori troverebbero qualche acquirente disposto a comprare. La questione del crollo del numero di compravendite degli immobili in Italia (-25,7% in un anno, ai minimi dal 1985) sta tutta qui. Poiché per vari motivi – in buona parte strutturali - è assai difficile che chi è interessato a comprare possa aumentare il prezzo “denaro”, la ripresa delle transazioni non può prescindere dalla riduzione del prezzo “lettera”. C’è molta materia comportamentale in questo crollo degli scambi. I proprietari al momento fanno fatica a ridurre le loro pretese, pur tenendo conto della difficoltà di avere misurazioni non distorte e aggiornate del fenomeno. Sul sito di annunci idealista.it, si vede che a Milano appena il 3,7% dei venditori ha rivisto al ribasso il prezzo inizialmente proposto. A Roma il 5,6%, a Palermo il 4%, a Bologna il 4,8%, a Padova il 3,2%. La gran parte delle (poche) riduzioni è inferiore al 10%. I venditori dicono di non avere fretta, e in questo sono aiutati dal fatto di non essere quasi mai indebitati (a differenza di quanto accade negli Stati Uniti, dove guarda caso gli aggiustamenti dei prezzi sono molto più rapidi). Nella loro testa hanno dei prezzi di vendita che sono superiori a quelli di carico, aggiustati per l’inflazione. Ma non sono tanto i prezzi di carico la determinante del prezzo di uscita, e tanto meno l’inflazione. A volte non se li ricordano neppure, risalenti come sono ad acquisti di generazioni precedenti. Frequentemente il riferimento è quello dei prezzi massimi del 2006/2007, con un minimo di sconto tanto per prendere atto che i tempi sono cambiati. Ma la percezione di “quanto” siano cambiati è ancora insufficiente. Qui occorre aggrapparsi all’aneddotica . A me ad esempio, alcuni promotori finanziari raccontano che clienti benestanti, contrariati dalla dilatazione dei tempi di vendita, chiedono loro di fare azione promozionale (“ma riservatamente, mi raccomando!”) presso altri clienti. Magari perché trovano imbarazzante proporre personalmente agli stessi interlocutori delle richieste più miti rispetto a quelle iniziali, sulle quali avevano dimostrato assoluta indisponibilità a trattare. Se per i venditori privati i limiti alla riduzione dei prezzi sono psicologici, per gli istituzionali (pensiamo agli enti di previdenza o pubblici che hanno faticosamente avviato processi di dismissione) ci sono anche vincoli regolamentari da rispettare. I prezzi proposti non possono scendere se non dopo processi di revisione tutt’altro che agevoli. Dal punto di vista sistemico, più velocemente i prezzi delle case si aggiustano al minore potere d’acquisto degli acquirenti (e alla contrazione del credito immobiliare da parte delle banche), e meglio è. Soprattutto per i venditori. E’ più saggio incassare oggi il 20-30% in meno di quanto hanno in testa (e comunque senza subìre una perdita rispetto al prezzo di carico) che non rischiare una svalutazione ben peggiore tra due-tre anni. E evitare nel frattempo di pagare una Imu che rispetto all’Ici, sulle case diverse dalla prima, ha comportato un rincaro fino al 240% in due anni (come calcolato sul Sole-24 Ore del 10 maggio). I controvalori incassati possono essere opportunamente reinvestiti in attività finanziarie meno rischiose e più liquide. I nuovi proprietari possono ristrutturare quanto acquistato, dando ossigeno alle sofferenti imprese edili. In subordine, sulle case in affitto che i proprietari per qualche motivo non vogliono vendere (nonostante l’inefficiente profilo rischio-rendimento mediamente ottenibile), sarebbe opportuno ridurre i canoni richiesti o applicati (su richiesta del conduttore) come, secondo una inchiesta di Confabitare, hanno già fatto il 34,5% dei padroni di casa a Bologna e il 15% a Napoli. E gli uffici e i negozi in vendita? Sono meno esposti a distorsioni comportamentali: qui il prezzo lo fanno il canone di locazione, e la qualità del conduttore. Se ne esiste uno, ovviamente. Share on google Share on facebook Share on favorites Share on twitter More Sharing Services Ultimi Approfondimenti Il mercato della casa? Si riprende se i venditori riducono le loro pretese Cosa cambia per le Borse con il trading automatizzato L’iniquo attacco globale degli Stati indebitati ai patrimoni privati Dejà-vu/13: tra crescita e debito l’Italia rischia un danno irreparabile Assicurarsi contro l’inflazione ora costa poco. E tra qualche anno? Archivio completo