Enrico Martinet, La Stampa 18/5/2013, 18 maggio 2013
CLUB ALPINO, 150 ANNI SUL SENTIERO DEI VALORI
Il domani del Club alpino italiano è segnato in uno statuto che compie 150 anni, votato alla montagna, a chi ci va per camminare e arrampicare e a chi ci abita. Non solo terre aride, di ghiaccio e roccia, ma anche piedi verdi, pascoli e villaggi. «Non è l’habitat della domenica», sentenzia il presidente Umberto Martini, dirigente d’azienda in pensione che vive a Bassano del Grappa. Un domani di formazione e di attenzione «verso un territorio che non deve essere abbandonato». Lo spopolamento della montagna, dice Martini, «non può essere solo affrontato nei convegni, ci vogliono servizi, scuole per chi abita quelle terre aspre, ne va del destino di tutti noi, uomini di montagna e di pianura».
Il Cai c’è, sottolinea con fermezza. Ma ciò che manca sono i quattrini. Finora il Club voluto e istituito dall’economista Quintino Sella nel 1863, era «vigilato» dal ministero del Turismo e ha potuto contare su 2 milioni l’anno, diventati 800 mila euro con il governo Monti. «Ora aspettiamo le volontà - dice Martini con velato ottimismo - del nuovo esecutivo. Vogliamo capire quale sarà il nostro referente».
I soldi per metà finiscono nel Soccorso alpino, il resto serve anche per la formazione. Poi ci sono gli euro degli iscritti, 315 mila 914 soci, in tutte le regioni: 498 sezioni, 310 sottosezioni. E la gestione di 404 rifugi, 228 bivacchi, 28 punti appoggio, 71 capanne sociali, 16 ricoveri, per un totale di 21 mila 331 posti letto.
È per questo che per alcuni, i cosiddetti «puristi dell’alpe», siete accusati di aver popolato oltre misura la montagna? «Se sono molti a frequentarla ne siamo orgogliosi. Li abbiamo portati in luoghi non celebrati, ma non meno importanti, affascinanti e appaganti. Abbiamo educato alla montagna. Certo è che 1000 persone educate fanno molto meno rumore di un solo maleducato».
Fa parte degli eventi celebrativi pure la spedizione delle sezioni giovanili al monte Ararat, quello dell’arca di Noè. Martini: «Sì, è la vetrina, ma per noi sono importanti tutti coloro che lavorano sui sentieri, nei rifugi. Non cerchiamo eroismi, ma quelli sono comunque i nostri eroi. Certo, abbiamo anche gli alpinisti di punta, ma non siamo cacciatori di record, anzi». Il Presidente parla di «controcultura alpinistica». Spiega: «Noi non siamo quelli dei primati e delle arrampicate in meno tempo. Quello che accade oggi, come all’Everest, è una commercializzazione con la fruizione della montagna a cottimo. Un traffico che avvilisce. Insomma, un mondo che non ci appartiene, il nostro è trasmettere conoscenza».
Il Club forma «viaggiatori coscienti» e lo fa anche attraverso un’intesa con il ministero dell’Istruzione e dell’Università. Corsi in tutta Italia, per docenti e ragazzi. «Le richieste sono molte, gli “operai” un po’ meno, ma cerchiamo di soddisfare ogni chiamata, è la nostra missione». Martini parla di un’attività meticolosa che definisce «occupazione di caselle del cervello» ora tormentate dalla fretta, da una vita frenetica. Non solo: «I giovani sono bombardati dal mondo del “no limits”, dai possibili successi, perfino da un abbigliamento al top. Sta a noi far loro conoscere altri valori. Così spieghiamo la flora e la fauna, l’arrampicata e la sicurezza».
E nei corsi si parla anche della montagna vissuta. Il presidente sottolinea come «sia facile farsi del male, trasferendo in montagna le magagne delle città». E racconta di come fin dagli albori il Cai è stato vicino alle attività economiche al confine di roccia e ghiaccio. «Occorre un’attenzione particolare alle acque e all’energia alternativa, oltre ai servizi. Noi puntiamo molto sull’equilibrio, sul buon senso. Un futuro che viene da lontano».