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 2013  maggio 18 Sabato calendario

DALLA BANCA D’ITALIA ARRIVA FRANCO SVOLTA ALLA RAGIONERIA

In 143 anni, è appena la seconda volta che a dirigere la Ragioneria generale dello Stato arriva un esterno. Ma, a differenza di Vittorio Grilli nel 2002, si tratta di uno che la contabilità pubblica la conosce già a fondo. Daniele Franco, sessant’anni tra poco, dal 2011 direttore centrale della Banca d’Italia per la ricerca economica, ha dedicato a questa materia una buona parte della sua vita professionale.

Non a caso, il suo nome era già circolato in passato per la stessa poltrona. Franco viene considerato uno dei pochi in Italia capaci di penetrare l’oscurità dei numeri dietro cui questa potentissima branca della burocrazia italiana si protegge.

A parlar male della Ragioneria sono spesso i politici per primi. Lo fanno perché gli è stata negata la copertura finanziaria a questa o quella spesa. Però poi incidere su quel potere è risultato sempre difficile; perfino a quei governi che avevano buoni motivi per sospettare di esserne stati trattati peggio di altri.

Fino a una ventina d’anni fa il Ragionieregenerale era, insieme con il capo della Polizia, il funzionario più alto in rango di tutta l’amministrazione. Ora non è più così; anzi come gli altri capi-dipartimento può essere cambiato da ogni nuovo governo. Sta di fatto che una destituzione non è mai avvenuta. Anche questa volta il ragioniere generale uscente, Mario Canzio, lascia perché è in età di pensione.

Cinquemila dipendenti con un forte spirito di corpo, e con qualche privilegio in più rispetto al resto del Tesoro, la Ragioneria è molto attaccata alle sue tradizioni. Negli uffici campeggiano ritratti ad olio degli ex ragionieri generali, e fino all’arrivo di Grilli l’uso delle e-mail non si era ancora diffuso. Tra i segni invece di modernità, tre dei nove dirigenti generali oggi sono donne.

Resta una grande concentrazione di potere. In molti altri Paesi, stilare il bilancio dello Stato e controllare come gli enti pubblici spendono sono compiti distinti, affidati a organi diversi. In Italia la Ragioneria generale li svolge entrambi. Manca invece quello che nelle grandi aziende si chiama «controllo di gestione»: ovvero, verificare se le azioni compiute hanno raggiunto gli obiettivi stabiliti e se i costi sono adeguati.

Oltretutto, i compiti di verifica sarebbe meglio affidarli a un organo indipendente, con vertici al riparo dalle vendette politiche. Mentre per organizzare le spese è legittimo che ogni governo possa disporre come gli aggrada.

Una parziale innovazione, prevista da una legge del governo Monti, non è ancora attuata: un «Ufficio parlamentare di bilancio» diretto da tre commissari indipendenti dovrà se non altro analizzare dall’esterno le grandi cifre della finanza pubblica.

Anche per quel ruolo sarebbe stato facile pensare a Daniele Franco. Negli anni, gli studi della Banca d’Italia hanno fornito il principale contraltare alle cifre della Ragioneria.

Al parere della Banca d’Italia, nella persona di Franco e dei suoi collaboratori, si è fatto ricorso nei due casi in cui una alternanza al potere ha fatto emergere dubbi sui conti del governo precedente (nel 2001 quando all’Economia si insediò Giulio Tremonti, nel 2006 con Tommaso Padoa-Schioppa).

L’ultima grave pecca imputata alla Ragioneria è che non esiste un computo preciso dei debiti delle amministrazioni pubbliche verso i fornitori. I recenti provvedimenti per cominciare a pagarli si reggono su stime elaborate, appunto, dalla Banca d’Italia.