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 2013  maggio 17 Venerdì calendario

INDIA, LA FARMACIA LOW COST DEI POVERI DEL MONDO

Il futuro è una malattia. Tante malattie. E il mercato la medicina per curarle. Fino a qualche anno fa in India approdava un esercito di anime spiritualmente assetate. Ora invece ecco un’orda di corpi ammalati alla ricerca non del Nirvana esoterico, ma di medicine a prezzi onesti e abbordabili.
Welcome to India, farmacia low cost del globo. Qui si trovano i farmaci generici per curare leucemia, cancro e Aids a prezzi umani che non costringono chi è ammalato e le loro famiglie a impoverirsi nel tentativo di ritardare la morte. Negli ultimi mesi, l’India ha di nuovo affermato il proprio diritto a produrre e distribuire farmaci a basso costo non solo nel proprio Paese, ma anche in tutto il mondo, consentendo così a economie più in difficoltà di quella indiana di fornire cure vere ai propri malati. Ma questo potrebbe non durare molto se l’Unione europea riuscirà a firmare un accordo commerciale con l’India, che potrebbe chiudere i confini indiani alle esportazioni di medicinali generici. “Milioni di persone moriranno se l’India non potrà più produrre ed esportare le nuove medicine contro l’Hiv/Aids in futuro. È una questione di vita o di morte”, ha dichiarato Michel Sidibe, direttore esecutivo di Unaids.
MULTINAZIONALI OCCIDENTALI ALL’ASSALTO DELLE INDUSTRIE DI NEW DELHI
E dopo la mossa politico-commerciale, potrebbe arrivare la conquista economica. Già 6 delle grandi ditte farmaceutiche generiche indiane sono state acquistate da società straniere. Se continuerà la tendenza, il mercato farmaceutico indiano potrebbe trovarsi dominato dalle multinazionali.
Ma l’allarme si è esteso anche all’Occidente. Cento oncologi di tutto il mondo hanno appena firmato un documento congiunto accusando le case farmaceutiche di condannare a morte i malati di cancro con i costi troppo alti per le cure. L’associazione di specialisti delle malattie del sangue, in un articolo sulla rivista Blood, ha accusato l’industria dei farmaci di “sciacallaggio” perché trae profitti da metodi non etici paragonabili, hanno scritto, “ad aumentare il costo del grano dopo un disastro naturale”. Anche i medici in Occidente danno ragione all’India.
Affrontando la legislazione sui brevetti e i copyright nel 1970, il governo indiano approvò il Patent Act, una legge sui brevetti che non concedeva la brevettabilità ai farmaceutici: le ditte indiane potevano quindi applicare un procedimento diverso per produrre la stessa medicina. Più concorrenza e prezzi più bassi fu il risultato del mercato emerso negli anni successivi. Ma nel 1995, anche l’India entrò a far parte del Wto, l’Organizzazione Mondiale per il Commercio, e quindi dovette sottoscrivere il Trips, l’accordo sugli aspetti commerciali della proprietà intellettuale. Cosa significa? Che avrebbe dovuto rispettare la legge internazionale sui brevetti e non produrre più le proprie medicine con formule protette da brevetto internazionale (quindi a favore delle multinazionali). Approfittando di un periodo di integrazione al Wto, gli indiani riuscirono a temporeggiare fino al 2005. Poi non fu più possibile procrastinare.
Allora l’India approfittò della natura flessibile dell’accordo Trips incorporando delle linee-guida chiave nelle proprie leggi nazionali: lasciando spazio legalmente alla produzione di farmaci generici anche dopo l’entrata in vigore dell’accordo. Questo lasciava alla Corte Suprema indiana il potere di decidere se i rinnovi di quei brevetti internazionali avessero solide basi per essere accettati o se non fossero da considerare (come nella decisione recente sul Glivec) solo delle “variazioni sul tema” per rendere la stessa medicina un “sempreverde” o del brevetto. Negli ultimi mesi, le case farmaceutiche straniere hanno assaggiato l’amarezza di questa discrezionalità. A settembre la Corte ha respinto la richiesta di brevetto della Roche per il Tarceva anti-cancro, a novembre sempre la Roche si è vista revocare un brevetto per curare l’epatite C, a marzo la Bayer ha perso un ricorso contro la versione low cost di un altro farmaco anti-cancro, prodotto invece dall’indiana Natco Pharma con il nome Nexavar perché “altrimenti non era accessibile alla maggior parte dei malati”. E a marzo la Novartis ha perso la brevettabilità del Glivec. Questo vuol dire che l’equivalente generico ha continuato a essere prodotto sul mercato indiano a prezzi molto più convenienti per il malato. Differenze tra le migliaia e le decine di euro per il paziente.
Il mercato del farmaco indiano varrà 50 miliardi di dollari entro il 2020. Nel 2012 la disponibilità dei generici è salita del 15% con un aumento di 31 miliardi di dollari. I prodotti specialistici sono scesi del 4% con perdite di 174,2 miliardi. Negli ultimi mesi l’Ufficio Licenze e Brevetti indiano ha di nuovo sottolineato un dato importante a favore della concorrenza dei farmaci generici, spiegando che se una medicina brevettata nel mercato indiano non è resa largamente disponibile a un prezzo ragionevole, allora le ditte produttrici di farmaci generici sono autorizzate a vendere la loro versione della medicina pagando le royalties al proprietario del brevetto. Ranga Iyer, ex presidente dell’Organizzazione di Produttori Farmaceutici indiani è contrario a questa politica: “Se l’innovazione non è protetta, le aziende non innovano”. Ma anche i produttori di farmaci generici fanno ricerca. A esempio in India hanno sviluppato medicine pediatriche contro l’Hiv per soddisfare un segmento del mercato nei Paesi in via di sviluppo che i grandi produttori di medicine snobbavano perché poco interessante commercialmente. I bambini non possono pagare un prezzo alto e quindi meritano di morire? E poi, sottolinea Yusuf Hamied, amministratore delegato della Cipla, società di farmaci generici che ha vinto molte cause contro la Big Pharma, le innovazioni arrivano anche dai laboratori dello Stato riducendo così i costi di ricerca e sviluppo dei privati. “Inoltre - argomenta Hamied - se osserviamo le 50 medicine più vendute al mondo oggi, vediamo che sono distribuite e vendute da ditte che non le hanno inventate. Quindi cosa ci raccontano? Io rispetto i brevetti. Pagherò le royalties. Ma non mi dev’essere proibito il diritto di produrre medicine per i poveri a prezzi ragionevoli”.
L’80% DELLE CURE ANTI-AIDS GARANTITE DALLE ONG NEL TERZO MONDO VIENE DA QUI
Il problema è più ampio poiché l’India vende i suoi farmaci low cost al resto del mondo dei poveri. Nel 2010 uno studio ha dimostrato che l’80% delle medicine anti-Aids usate dai programmi finanziati da donazioni vengono dall’India. Tutti quelli che contribuiscono e aiutano, in Italia, a lottare contro l’Aids e altre malattie nei Paesi cosiddetti “in via di sviluppo”, lo fanno con più efficacia grazie alle medicine low cost dell’India. Secondo i dati Unicef del 2009, l’India è il più grande fornitore di vaccini, medicine per bambini e farmaci che aiutano i più piccoli e i più poveri. E solo grazie ai generici. Ma ciò potrebbe presto finire: l’Ue sta cercando di siglare un accordo di Libero Commercio con l’India (Fta) che in pratica dovrebbe bloccare l’esportazione di tali medicine, lasciando che l’India continui a produrre per i propri poveri, ma tagliando le esportazioni ai poveri del resto del mondo. L’accordo prevede di togliere autorità ai tribunali e alle leggi indiane trasferendo le dispute sulla proprietà intellettuale ai tribunali internazionali. E anche Usa, Canada, Messico, Vietnam e Malesia stanno negoziando un simile accordo commerciale (Pacific Free Trade agreement). Oggi la Cipla produce una cura di farmaci anti-Aids che costa 80 dollari l’anno, cura che fino a pochi anni prima riusciva a vendere a 300 dollari l’anno, farmaci che in Occidente costano 10 mila dollari l’anno. Facile capire che se in Africa e Asia si tornasse a queste cifre, le profezie catastrofiche di Sibide, direttore di Unaids, sui milioni di morti diverrebbero certezze.