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 2013  maggio 17 Venerdì calendario

«IO, CONCUBINO PER ANNI NELL’ORRORE DEL FORTETO»

M.M. è un ragazzone che sprizza vitalità. Fu affidato al Forteto a 14 anni per raggiungere la sorella. Oggi è adulto, ha moglie, fi­gli e una storia che si stenta a cre­dere. Ha consegnato il suo racca­pr­icciante passato alla commis­sione d’inchiesta della regione Toscana e ai magistrati di Firen­ze che hanno rinviato a giudizio il vertice della cooperativa degli orrori nel Mugello, a partire dal fondatore Rodolfo Fiesoli.
«Quando uno arriva - dice M.M.- la villa, il giardino, il lago per fare il bagno, le persone sorridenti, il negozio dove puoi pren­dere il gelato gratis, i giochi, ci ri­manevi affascinato. Fiesoli, l’af­fidatario di mia sorella, si presen­ta co­me quello che ha già indivi­duato i tuoi problemi e ti aiuta, ti racconta le cose come se avesse la lucidità della vita. Frequentandolo, Ro­dolfo inizia a farti i di­scorsi: “Vedi? Tua so­rella ha affrontato il discorso della tua famiglia, la tua mam­ma non ti voleva be­ne sennò decideva di stare con voi, inve­ce ha scelto di stare con il tuo babbo che era un violento...”». M.M., che viveva in una comunità di Lucca, si trovò affida­to al Forteto senza aver prima parlato con un magistrato né con i servizi socia­li: «Loro mi chiesero “vuoi venire qui”, io dissi di sì e dalla Ca­sa del Fanciullo pas­sai al Forteto. Fiesoli disse: “Ci si pensa noi”. A 15 anni, fatta la carta d’identità, ero nello stato di famiglia del Fiesoli in­sieme a mia sorella, però real­mente il Fiesoli mi fece conosce­re altre due persone, quelle che sarebbero state i miei genitori finché non sono venuto via». È abitudine al Forteto violare le re­gole dell’affidamento: formal­mente Fiesoli è responsabile dei minori ma in realtà li assegna a una «coppia funzionale», due adulti della comunità magari nemmeno sposati. «I miei due, L.S. e F.T., non sono neanche fi­danzati, non sono una coppia né di fatto né di nulla».
Cominciò il lavaggio del cer­vello: «Iniziarono a dirmi di que­sti chiarimenti, tipo “tu sei di fòri” oppure “tu ti fai le fantasie, tu fai gli acchiti”, ma non sapevo cosa fossero.Oppure “tu hai paura, ti senti bischero”. Le fanta­sie erano un discorso omoses­suale, andavi a ricascare lì, ma in tanti momenti non capivo dove volevano arrivare e poi si stava per ore e ore a parlare. Mano a mano che si andava avanti le co­se erano molto più rigide, cioè venivi fermato e picchiato, o me­stolo o zoccolo, se non risponde­vi a quello che volevano loro c’erano le punizioni. C’avevo bozzoli così».
E poi i primi approcci, «gli ac­chiti del Fiesoli tipo il solletichi­no, mi metteva le mani sulla coscia. Una sera mi disse “ti accom­pagno io a dormire”, lì mentre mi ero spogliato iniziò a palpar­mi però non ebbi il coraggio di dirlo a nessuno. Il Fiesoli aveva attenzioni particolari nei miei confronti, riusciva a farti sentire l’unico al mondo, diceva “sono il tuo babbo spirituale”.Il primo rapporto l’ho avuto con lui a 15 anni. Quando ero a tingere le ca­mere c’era anche questa F.T. (la «madre» affidataria di fatto, ndr), lui veniva nella camera lì e si andava nel bagno della came­ra, però io ci stavo mezz’ora in bagno e quando uscivo questa diceva “ciao”al Fiesoli come nul­la fosse. Per anni sono stato il concubino di Rodolfo, finché non mi sono accorto che anda­va anche con gli altri ragazzi e quel giorno tutti i grandi, tutti, dissero che era la terapia e che anche loro l’avevano affronta­ta». «Anche L.S. (il «padre» affi­datario, ndr) ci ha provato ma non ho fatto niente. Poi ho avuto un rapporto con Luigi Goffredi, si è proposto lui. Finché ti facevi abbracciare e baciare eri bravo. Lì tutti o la maggior parte hanno avuto la stessa terapia. Mi han­no sempre raccontato tutti che il Fiesoli non è stato condannato nell’85, finché non ho letto un ar­ticolo di giornale non lo sapevo. Un’altra cosa brutta è che io e mia sorella (io ero andato lì ap­posta per mia sorella) non ci si potesse vedere e nemmeno par­lare. È stata creata competizione, rottura, c’ho anche fatto a botte con lei». E i con­trolli dei servizi sociali? «La mia assistente l’ho vista appena en­trato e poi a 18 an­ni, quando è venu­ta a salutarmi per dir­mi “ciao, sei maggioren­ne”, ed è finita lì».
M.M. ha sposato una ragazza del Forteto. A Fiesoli lo rivelò due giorni prima delle nozze: ne era succube al punto da chieder­gli un parere prima di fare l’amo­re con lei e quando arrivò il se­condo figlio dissero che era sta­to un «incidente». Ebbero an­ch’essi un bimbo in affido. Fieso­li chiedeva alla donna di man­darglielo in camera per risolve­re i suoi problemi, ma M.M. lo impediva e per questo fu isolato nella comunità. La moglie non conosceva il passato del marito finché il giovane l’ha confessato durante una seduta dalla psico­loga. Racconta il giovane: «A quel punto, quando lei seppe la verità, perché era la verità, ci fu un momento in cui disse “no, no, andiamo via, io qui non ci vo­glio stare più”». L’affetto per il bimbo ha sconfitto l’orrore del Forteto.