Marino Niola, il Venerdì 17/5/2013, 17 maggio 2013
QUELL’AMERICA CHE PROIBISCE I VIBRATORI E NON LE ARMI
È uno dei paradossi di un grande Paese come gli Stati Uniti. Ancora scosso dalla tragedia di Buskerville, la cittadina del Kentucky dove il primo maggio un bambino di cinque anni, Kristian Starks, ha ucciso per sbaglio la sorellina Caroline di due con un fucile baby. Era il suo regalo di compleanno. Il dolore per l’accaduto non ha scalfito quella cultura delle armi che ha radici antichissime nell’America profonda. Dove i piccoli come Kristian hanno i loro poligoni di tiro per esercitarsi sotto lo sguardo compiaciuto dei genitori. E dove nel 2009, secondo le cifre fornite dall’U.S. Center for Disease Control and Prevention, i minori uccisi da pallottole sparate per errore sono stati centoquattordici, spesso per mano di coetanei.
Sono dati sconvolgenti. Ma non per gli abitanti di Buskerville. Almeno stando alle dichiarazioni della nonna di Caroline: «So che la mia piccola è in paradiso ed è già nelle mani del Signore. Era arrivato il suo tempo ed è andata via».
Si dirà che le armi negli Usa sono uno stile di vita, che si tramandano di padre in figlio. E che di giocattoli da fuoco se ne vendono sessantamila all’anno. Business is business, niente da dire. Se non fosse che, nello stesso Paese che arma i ragazzini in età prescolare, molti Stati vietano la vendita dei vibratori, perché li considerano contrari alla morale. Con un cortocircuito tra liberismo sfrenato e proibizionismo bigotto. Che sembra considerare il piacere una colpa e la violenza una forma di educazione. Alla Full Metal Jacket.