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 2013  maggio 17 Venerdì calendario

LUGLIO 2013, FUGA DA EQUITALIA. MA SIAMO SICURI CHE SIA UN AFFARE?

Il più rapido è stato il sindaco Gianni Alemanno: «Dal primo luglio facciamo uscire Roma da Equitalia». Gli hanno risposto da tante parti d’Italia, a cominciare da Udine: «Se vincerò le elezioni» ha annunciato il candidato sindaco del centrodestra, Adriano Ioan, che poi ha perso malamente, «affiderò agli uffici comunali, e non a Equitalia, la riscossione del credito».
Peccato non sia vero niente. Dato che la prossima proroga, la quarta in tre anni, scade inesorabilmente il 30 giugno, dal primo luglio per legge dovranno essere i Comuni a occuparsi della riscossione dei propri crediti. Roma e Udine comprese. Così, a dire addio ad Equitalia non sarà solo Alemanno (o Marino) ma 6.300 degli ottomila maggiori Comuni italiani (la Sicilia fa storia a parte).
La demagogia regna sovrana, quando si parla di tasse: meglio scaricare le colpe sull’odioso (e odiato) gabelliere, sullo sceriffo di Nottingham, che riordinare la normativa. «I Comuni non devono disdire alcun contratto con Equitalia perché è la legge a prevedere che, da luglio, devono gestire le attività da soli» spiega il responsabile della Divisione riscossione di Equitalia, Giancarlo Rossi. «I nostri metodi, tanto contestati, sono regolati dalla legge, così come tutte le fasi dell’attività di riscossione. A quelle stesse disposizioni, adesso, dovranno attenersi anche i Comuni».
Nel frattempo Equitalia ha deciso di allentare la presa annunciando nuove agevolazioni per i contribuenti: la soglia per chiedere la rateizzazione è salita da 20 a 50 mila euro. Pagabili in sei anni.
Il tempo stringe e all’Associazione dei Comuni, danno per probabile una nuova proroga, magari di appena sei mesi. Il «fortino riscossione» – nel giro di poche settimane – verrà cannoneggiato da almeno tre fronti diversi: non c’è solo il tema dello «strapotere di Equitalia», occorre mettere chiarezza sulla «legittimità dell’aggio» (per il 22 maggio è attesa una sentenza della Corte Costituzionale) e bisogna capire come (e quando) verrà sancito il divorzio tra Comuni e il concessionario pubblico (per esempio: dove finiscono gli arretrati? Chi si occuperà di incassare ciò che è già stato richiesto al contribuente, ma non ancora riscosso?).
Parola di governo. La prima decisione sta al governo. Lo scenario attuale vede una serie di regole: Equitalia ha deciso (a fine aprile) di bloccare i pignoramenti di stipendi e pensioni e (dall’inizio dell’anno) deve sospendere ogni attività di riscossione se il debitore dimostra di non poter pagare. In arrivo dovrebbero esserci un provvedimento che lima ulteriormente i compensi per la riscossione (è sceso all’8 per cento, ma i giudici di Roma e Torino hanno chiesto l’intervento della Corte Costituzionale) e la ridiscussione dei rimborsi cui ha diritto l’esattore (nel decreto Salva-Italia c’è scritto che verrà messa chiarezza sul tema entro la fine dell’anno).
L’aggio di maggio. La seconda partita aperta è quella dell’aggio: la Corte Costituzionale è chiamata a risolverla il 22 di questo mese. La Commissione Tributaria di Roma ha posto una domanda delicata: se il contribuente debitore del Fisco paga subito (cioè nei sessanta giorni dalla notifica, previsti dalla legge) perché mai deve versare anche l’aggio in «quota fissa»? E se la Costituzione dice che ognuno deve pagare «in ragione della propria capacità contributiva», ha senso che le «quote fisse» siano sempre uguali? La Commissione Tributaria di Torino, poi, ha aggiunto un altro bel tema: il «meccanismo per calcolare l’aggio è irragionevole e per giunta non è ancorato al costo servizio». In una parola: incostituzionale.
I soldi dei Comuni.
Equitalia (51 per cento agenzia delle Entrate, 49 per cento Inps) lavora per oltre la metà del proprio fatturato con l’Erario, per un buon terzo con Enti previdenziali pubblici e per la fetta rimanente – parliamo comunque di un miliardo e mezzo di ruoli, riscossi solo nel 2011 – per gli Enti locali. «I Comuni sono pronti a fare le gare per superare, da luglio, l’utilizzo di Equitalia nella riscossione» spiega Guido Castelli, delegato Anci alla Finanza Locale.
«Ma occorre chiarire alcuni aspetti, prima di muoversi. Manca, ad esempio, l’Albo dei riscossori privati e manca chiarezza sui residui attivi di pertinenza dei Comuni: undici miliardi di euro che al momento sono ancora nella pancia di Equitalia». Peraltro è tutta roba che scade, che va in prescrizione: il rischio che – nel passaggio tra Equitalia e chi lo sostituisce – finisca tutto in un buco nero, è molto alto.
La Storia (anche recente) è piena di riscossori privati fuggiti con la cassa e di biechi evasori fiscali che la fanno franca grazie a cavilli di legge. Così – ragionano in tanti – forse è meglio rendere un po’ più umana la pubblica Equitalia («in fondo non fanno che applicare la legge») che aprire i forzieri a privati non sempre affidabili. La partita è aperta, anche perché l’associazione dei Comuni – che da anni lavora ad un organismo di riscossione generato al proprio interno – non è ancora pronta e difficilmente lo sarà prima della fine di giugno.
Anche le multe, a rate. Il volto (un po’ più) umano di Equitalia lo stanno testando quasi due milioni di contribuenti (1.917.762, a voler proprio essere pignoli) che hanno ottenuto dilazioni per oltre 22 miliardi di euro.
I regolamenti parlano di una rata minima di cento euro al mese, ma scendere anche sotto questa quota sta alla discrezionalità degli impiegati. Così – per amore di verità – non ci sono soltanto gli imprenditori che si sparano per colpa della cartella Equitalia, ci sono anche i pensionati che, non avendo i soldi per pagare un debito nei confronti della collettività, ottengono dilazioni fino a 72 mesi.
Ma non tutti gli italiani sono uguali, di fronte alle rate: la hit parade dei dilazionatori vede primi i lombardi, poi i campani, i laziali e i toscani. Ultimo, il Molise: pochi, maledetti e subito.