Vanna Vannuccini, il Venerdì 17/5/2013, 17 maggio 2013
IL LUNGO ADDIO
Mahmud Ahmadinejad uscirà di scena il 14 giugno. La costituzione iraniana limita infatti il mandato di un presidente a due incarichi. Per otto anni Ahmadinejad ha giocato il ruolo del provocatore globale, conquistandosi il titolo di «uomo più pericoloso del mondo». Quattro anni fa la sua rielezione fu giudicata fraudolenta da milioni di iraniani e provocò grandi manifestazioni di massa che scossero profondamente la Repubblica Islamica. Ma non ne provocarono il crollo, diversamente da quello che molti in Occidente si aspettavano: nei suoi 34 anni di vita la Repubblica Islamica ha dimostrato di essere un edificio a tenuta antisismica, anche se nessuno può dire fino a che grado. Grazie a questo sostegno e a una dura repressione è rimasto saldo, ma il prezzo pagato in termini di credibilità è stato alto e quattro anni dopo, il Leader Supremo Khamenei vorrebbe evitare che alle elezioni presidenziali in giugno si ripetano simili sconquassi. Quanto forte fosse il conflitto interno lo dimostra il fatto che i leader riformatori di quattro anni fa, Moussavi e Karroubi, restano ancora oggi agli arresti domiciliari.
Il campo riformatore fu eliminato. Nel gennaio scorso, quando un gruppo di riformatori moderati annunciò di voler organizzare un incontro per deliberare una strategia elettorale per le elezioni presidenziali, gli fu intimato, come condizione per fare il convegno, di sconfessare Moussavi e Karroubi e di riconoscere che la conta falsificata dei voti del 2009 era corretta. Nello stesso mese furono di nuovo perquisiti e minacciati quei due o tre giornali e giornalisti che ancora godono dell’etichetta di riformatori. E, in seguito, il parlamento ha approvato una legge per limitare l’età dei candidali a 75 anni, in modo da rendere impossibile una nuova candidatura del 78enne Rafsanjani, che ancora, nonostante tutto, mantiene un certo potere nel Paese.
Segnali di forza o di debolezza? Nel 2009 Khamenei avallò personalmente la conta dei voti sulla quale Ahmadinejad fondò la propria vittoria. Alla sua prima elezione nel 2005 Ahmadinejad aveva dimostrato al mondo che la rivoluzione islamica era ancora viva e che i poveri, quei mostazafin nel cui nome era stata fatta, ci credevano ancora. Avevano votato per il figlio di un povero fabbro di campagna, sostenuto dal Leader, contro l’ex presidente Rafsanjani da sempre associato nell’immagine popolare alla ricchezza e alla corruzione. Ma ben presto Ahmadinejad si rivelò anche un’arma a doppio taglio per il Leader: la sua retorica incendiaria, le sue clamorose dichiarazioni contro Israele, hanno finito per rendere sempre più difficile la posizione iraniana.
La loro alleanza si è definitivamente spezzata anche per una controversia di natura religiosa, che in Occidente può sembrare curiosa, ma che preoccupa l’establishment clericale e può avere delle ripercussioni dirette sulle elezioni di giugno perché l’uomo che ha provocato il dissidio, uno stretto consigliere di Ahmadinejad, potrebbe essere anche lui un candidato alle elezioni. Oltre che stretto consigliere, Esfandiar Rahim Mashaei è diventato per Ahmadinejad persona di famiglia, da quando la figlia del presidente ha sposato il figlio di Mashaei. Ahmadinejad sostiene la sua candidatura e i critici insinuano che voglia instaurare con lui un’alternanza sul modello Putin-Medvedev. Mashaei è visto quasi come un eretico dagli ayatollah perché crede nel contatto diretto-col Mahdi, l’imam nascosto, una figura messianica che per il credo sciita si è occultato nel decimo secolo e tornerà a un momento imprecisato nel mondo per portare pace e giustizia. La storia dello sciismo è piena di figure controverse che di tanto in tanto hanno sostenuto di essere in contatto con il Dodicesimo Imam. Ma per i chierici di Qom si tratta di idee incendiarie: chi ha un contatto diretto con il Mahdi e può trasmettere i suoi desideri alla comunità non ha evidentemente bisogno degli ayatollah come intermediari. Quanto poco questi siano disposti a transigere lo dimostra la sorte subita dai Bahai, ancora oggi perseguitati. Quella dei Bahai era una vera e propria religione nata nell’Ottocento dagli insegnamenti di un saggio che si era chiamato Bab (in persiano Porta), anche questo per indicare che aveva un accesso diretto al Mahdi.
Credenze e visioni millenaristiche restano popolari in Iran e crescono in tempi di crisi come gli attuali. La moschea di Jamkaran, da dove si pensa che rimani nascosto possa risorgere, è mèta di milioni di pellegrini che lasciano in un pozzo biglietti per chiedere al Mahdi una grazia. Sembra che anche Ahmadinejad all’inizio del suo mandato abbia lasciato un biglietto chiedendo al Mahdi di illuminare il suo governo, e comunque subito dopo esser diventato presidente, donò alla moschea un bel gruzzolo di milioni per asfaltare le strade di accesso e costruire alberghi e posti di ristoro per i pellegrini. Per Nowrus, il Capodanno iraniano che cade all’inizio della primavera, la polizia ha arrestato in diverse città iraniane diversi personaggi che affermavano di essere l’imam occultato (o la sua consorte) e così si facevano dare elemosine dalla gente. Sembra che anche gli ospedali psichiatrici di Teheran siano pieni di persone convinte di essere l’imam tornato nel mondo.
Molti sono convinti che se Mashaei si presentasse alle elezioni potrebbe ottenere molti consensi. Oltre alla fede nel Mahdi, Mashaei propugna un islam nazionalistico che ha molte risonanze in Iran, è stato un sostenitore della storia e della civiltà imperiale preislamica, che anche come presidente dei Beni Culturali aveva contribuito a rivalutare. Il Consiglio dei Guardiani, che ha il potere di selezionare i candidati alla presidenza, potrebbe però rifiutare la sua candidatura. Come reagirà allora Ahmadinejad che sicuramente è deciso a contare ancora nella politica iraniana?
Il 2013 è cominciato per l’Iran con la più grave crisi economica per una potenza regionale con 75 milioni di abitanti e una delle maggiori riserve di petrolio e di gas al mondo. Le esportazioni di petrolio sono dimezzate quest’anno rispetto al 2011, l’inflazione è sopra il 30 per cento, il rial ha perso quasi la metà del proprio valore rispetto al dollaro, e la disoccupazione galoppa. Tra le conseguenze delle sanzioni sulle transazioni bancarie c’è anche quella che la Cina, uno dei maggiori importatori di petrolio iraniano da quando l’Occidente non ne importa più, ha invaso il mercato iraniano con le proprie merci, usate come pagamento del petrolio per aggirare il divieto di transazioni bancarie, e molte fabbriche iraniane sono state costrette a chiudere. I colloqui con l’Occidente sul dossier nucleare, che sono alle origini delle sanzioni, sono ancora in stallo. E l’Iran sta combattendo una specie di guerra ombra fatta di attacchi cibernetici, scienziati nucleari assassinati e esplosioni misteriose in centri missilistici di cui Teheran accusa Israele e gli Stati Uniti.
Khamenei ha bisogno che sia eletto un presidente che gli sia assolutamente fedele e non metta in alcun modo in discussione la sua autorità; ma ha anche bisogno che restauri quella legittimità persa nel 2009 e che sia portatore di un mandato che possa dare abbastanza significato al voto per riportare la gente alle urne. La riconciliazione con l’Occidente potrebbe essere questo mandato. Negli ultimi due anni Ahmadinejad aveva lanciato molti segnali di disponibilità al dialogo con gli Stati Uniti, sempre finiti nel nulla per i contrasti interni. Ma la presenza, tra i candidati sponsorizzati dal Leader, di candidati come l’ex ministro degli Esteri Velayati, fa pensare che anche il Leader sia più disposto a trovare un compromesso tra il diritto da sempre affermato dell’Iran di arricchire l’uranio e le paure occidentali che la Repubblica islamica si prepari in realtà a costruire la bomba.
Vanna Vannuccini