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 2013  maggio 16 Giovedì calendario

IL FOTO-TRUCCO DEI PIRATI: COSI’ SPAVENTARONO L’ITALIA

Negli ultimi sette anni i pirati somali hanno in­cassato ol­tre 400 milio­ni di dollari in riscatti. Per alza­re la posta non solo seviziano l’equipaggio sequestrato, ma utilizzano i media pilotando le notizie. Vi ricordate le dram­matiche fotografie degli ostag­gi sotto il tiro dei mitra puntati dai tagliagole? Nel caso degli ufficiali della Savina Caylyn, la nave italiana sequestrata per 11 mesi, era un bluff, che ha fre­gato tutti.
Le foto della sceneggiata sa­ranno mostrate domani a Trieste nel convegno organizzato dall’Autorità portuale con la presenza delle Generali sulla pirateria nel Golfo Di Aden. L’evento affronterà segreti e ta­bù relativi ai sequestri, i riscat­ti e il riciclaggio del bottino dei bucanieri somali.
Nel 2011, durante l’odissea della Caylyn, i pirati mettono in piedi una sceneggiata per al­zare il prezzo del riscatto. Il primo di coperta Eugenio Bon, as­sieme ad altri due ufficiali ita­liani, vengono fatti salire su un barchino che si dirige verso ter­ra. La velata minaccia è vender­li ai terroristi o ammazzarli. «Lo fanno vedere a tutto l’equi­paggio schierato sul ponte, ma poi, quando i marinai sono rientrati, virano e tornano a bordo facendoci salire di nascosto» racconta Bon. I tre ostaggi vengono chiusi nell’in­fermeria fino alla messinsce­na. Una notte i bucanieri li co­stringono a indossare degli stracci e a calarsi nella piscina vuota della nave coperta da un telone. «Dentro ci attende un gruppo di pirati armati e ma­scherati. Non solo: dalla costa hanno portato terra, pietre, ar­busti, oltre a ciotole di riso e fa­gioli per far sembrare che sia­mo in una capanna somala» racconta Bon. I tagliagole lega­no gli ostaggi e puntano mitra e lanciarazzi sulla testa dei poveretti scattan­do delle foto.
Per evitare di far scoprire il falso, l’immagine originale viene spedita via fax dalla nave. In Italia la ricevono in bianco e nero e di pessima qualità, ma sembra drammati­ca con gli ostaggi sotto tiro in qualche capanna sperduta sul­la terraferma. Tutti i giornali la pubblicano con toni da tragedia imminente. I familiari de­gli ostaggi lanciano l’allarme che si ripercuote sull’armato­re e sul governo.
I pirati sanno tutto sulla rea­zione dell’opinione pubblica in Italia e scaricano da Inter­net gli articoli «puntando a usa­re i media per i loro fini». I buca­nieri hanno fatto chiamare in diretta dagli ostaggi trasmissio­ni come Chi l’ha visto per aumentare la posta.
Nel convegno di Trieste ver­rà resa nota la stima dell’agenzia dell’Onu di Vienna (Uno­dc) sui 404 milioni di dollari pa­gati ai pirati dal 2005. Dalla punta di 165,7 milioni del 2011 il business è precipitato lo scor­so anno a soli 29,2 milioni. Il crollo dei sequestri è dovuto al­la pressione della flotta inter­nazionale che a Trieste sarà spiegato dal Contrammiraglio Antonio Natale, in collegamento video da nave San Marco al lar­go della Somalia.
Chi paga il riscatto? Le assicurazio­ni, che garan­tiscono nave e carico. Gli studi legali specializzati a Londra in collaborazio­ne con le so­cietà di sicu­rezza tratta­no sulla cifra. I contractor a bordo di un aereo a elica lanciano il riscatto sulla nave da liberare, in sacche stagne, con un paracadute a gui­da gps.
Oggi nelle mani dei pirati somali rimangono 5 navi e 71 ostaggi. Il 40-60% dei sol­di dei riscatti viene ricicla­to a Dubai, in Kenia, Gibu­ti e in Tanzania. Non so­lo: documenti confiden­ziali dell’Onu rivelano che alcuni somali immigrati in Occidente sono complici dei pirati come informatori e finanziatori. Quinte colonne dei pirati in Europa sono state individuate nel sequestro del­le navi italiane Rosalia D’Amato ed Enrico Ievoli.
Il valore dei riscatti è solo una fetta dei costi per la pirateria di 5 miliardi all’anno, che comprendono missioni nava­li, protezioni delle navi, rotte più lunghe e sicure per evitare Suez. Se il fenomeno non venis­se debellato, il pericolo- secon­do Marina Monassi presiden­te dell’Autorità portuale di Tri­este - è «la riduzione del traffi­co commerciale in Mediterra­neo ai danni degli hub italiani come il capoluogo giuliano a favore dei porti atlantici».