Federica Bianchi, L’Espresso 17/5/2013, 17 maggio 2013
ROCKEFELLER ZONG QINGHOU
Da venditore di ghiaccioli in una scuola del sud del Paese a uomo più ricco della Cina e trentesimo al mondo, con un patrimonio personale stimato tra i 13 e i 20 miliardi di dollari. La vita di Zong Qinghou, 68 anni, incarna l’archetipo del recente boom economico cinese a tal punto che persino il governo l’ha incoronato come uno dei padri fondatori della Nuova Cina, consegnandogli il titolo onorario di "costruttore straordinario del socialismo con caratteristiche cinesi". In altre parole, capitalista d’eccellenza. In tutto il Paese i supermercati vendono le sue bibite e la sua acqua e da lui i neo genitori comprano latte in polvere e vestiti per i loro bambini.
Come il presidente cinese attuale Xi Jinping, anche Zong ha conosciuto le asprezze della rivoluzione culturale. Nel 1966 il suo liceo nello Zhejiang, oggi una delle regioni meridionali più ricche della Cina, fu chiuso e i ragazzi spediti a lavorare in campagna insieme ai contadini. Rientrato in città, ad Hangzhou, 15 anni dopo, in corso c’era un altro tipo di rivoluzione: quella scandita dalla svolta verso il capitalismo sotto l’egida del partito comunista. Il socialismo con caratteristiche cinesi, appunto. Zong, nessuna laurea ma fine fiuto imprenditoriale, non perse tempo. Prima iniziò a vendere ghiaccioli e snack nel negozio di una scuola di Hangzhou. Poi insieme a due insegnanti in pensione rilevò il negozio e, due anni dopo, nel 1989 fondò la Wahaha Nutritional Food. Obiettivo: produrre un tipo di latte misto a succo di frutta che riscosse grande successo grazie alla forte domanda per cibi ad alto contenuto nutritivo dopo decenni di malnutrizione. Per diffondere il suo marchio comprò pubblicità sulla televisione nazionale e nel giro di due settimane quello di Wahaha divenne un marchio universalmente riconosciuto. Nel suo primo anno di attività arrivò a guadagnare quasi 13 mila euro, circa 50 volte il reddito lordo pro capite dell’epoca. A quel punto il governo locale si accorse di lui e lo invitò a rilevare una fabbrica di imbottigliamento in difficoltà. Nacque così il gruppo Wahaha (il nome in cinese vuol dire "bambino sorridente") con la benedizione del governo e nonostante l’opposizione degli operai che lo accusavano di essere un capitalista. Allora la parola era un insulto. Ma bastarono i primi risultati positivi per conquistare i dipendenti e con loro il mercato. A decretarne il successo fu il lancio dell’acqua minerale: un lusso per pochi, pensarono inizialmente i suoi connazionali. Col tempo, una necessità di massa.
Per 11 anni membro del parlamento cinese, un’istituzione che ha il solo compito di ratificare le decisioni prese dal governo ma la cui partecipazione è sinonimo di successo, Zong incarna il nesso tra politica e affari che dagli anni Ottanta forgia la nascita delle nuove élite cinesi. Ben conosciuto nel Paese, per anni si è tenuto lontano dai vestiti di marca, preferendo indossare i giubbotti neri e i pantaloni grigi d’ordinanza tra i funzionari cinesi e mangiando volentieri nella mensa della sua azienda insieme agli operai. Unico vezzo l’orologio: prima un Rolex e poi, saputo che era sinonimo di "ricchezza recente", un più elitario Vacheron Costantin da 45 mila euro. Oggi, in tempi di austerità, il polso suo, come quello della maggioranza dei politici e imprenditori cinesi, è nudo.
Di lui si dice che sia uno stakanovista e che lavori dalle sette del mattino alle undici di sera, controllando tutto personalmente: dal lancio di nuovi prodotti all’acquisto di una scopa. Non ama rimandare nessuna questione al giorno dopo. «I miei unici svaghi sono il tè e le sigarette», ha raccontato al "Financial Times" mentre fumava Davidoff a ripetizione: «Il duro lavoro premia». Premia certo, ma non basta. Secondo il settimanale investigativo "Caijin", nel 2008 Zong era sotto indagine per un’evasione fiscale da circa 35 milioni di euro. L’indagine fu condotta proprio nei mesi in cui l’imprenditore era in lite con la Danone, l’azienda alimentare francese con cui aveva in corso una joint venture da 11 anni. I manager d’oltreoceano, che detenevano una partecipazione del 51 per cento nella società in cambio di abbondanti iniezioni di capitale, avevano scoperto che Zong aveva costituito una serie di società che distribuivano prodotti col marchio Wahaha facendo concorrenza diretta alla joint venture e sottraendole milioni di euro ogni anno. Scoperto, il magnate si appropriò della retorica nazionalista per accusare i francesi di non gestire la società, ma solo di ricevere la propria fetta di utili a fine anno. La querelle si concluse con un patteggiamento in base al quale Zong comprò per 300 milioni di euro la quota francese della società. Dopo la dipartita della Danone, le vicissitudini della ex joint venture divennero un caso di studio per le università europee perché perfettamente esplicative delle difficoltà nella creazione di joint venture tra partner occidentali e cinesi.
Come tanti nuovi magnati asiatici, anche Zong, la moglie e la figlia negli anni si sono procurati un permesso di residenza americano, l’equivalente di un lasciapassare per chi ha bisogno di una via di uscita in caso la situazione personale in patria volga al peggio. E se il possesso di una carta verde può far parte degli "strumenti di lavoro" di un imprenditore, quando nota, diventa automaticamente un problema per un politico: Zong non solo fu costretto a fare scadere il suo permesso di soggiorno ma la figlia Kelly, trent’anni, naturalizzata americana dopo avere concluso l’università negli Usa e designata erede manageriale delle fortune del padre, ha dovuto iniziare le procedure per la rinuncia alla cittadinanza Usa. Questo perché ormai Zong non ha più nessuna intenzione di lasciare Hangzhou. Il destino della famiglia resta in Cina: troppe ancora le occasioni di crescita del mercato interno.
Negli ultimi anni ha iniziato a cercare occasioni per diversificare la sua attività. Dopo aver passato in rassegna vari settori, ha messo gli occhi sulla moda e il lusso, al punto da decidere di aprire lo scorso autunno Waow Plaza, un grande magazzino in stile Harrod’s, ad Hangzhou. Obiettivo: vendere un lusso accessibile alla classe media cinese nella forma di brand europei meno noti. «Il mercato sta maturando in Cina e il consumatore è sempre più attento a ciò che va bene per lui e sempre meno al marchio extralusso associato a un articolo», ha spiegato Zong ad Antonino Laspina, il direttore dell’Ice di Pechino che l’anno scorso gli ha organizzato alcuni incontri in Italia con aziende minori del made in Italy: «L’Italia e la Francia sono piene di top designer e noi abbiamo bisogno di marchi dinamici di secondo livello per soddisfare i giovani cinesi». Un’occasione di affari perfetta. Tra gli accordi in via di definizione ci sono quelli con l’azienda siciliana di alta sartoria Gregory e con la sarda Castangia. «Se vendessi prodotti cinesi in Europa non farei altro che esasperare la concorrenza in un mercato che adesso sta soffrendo e non sarei ben accetto. Così invece offro ad aziende che hanno problemi di vendite l’opportunità di allargare i propri orizzonti».
Certo gli inizi non sono stati dei più promettenti, pochi clienti per Waow. Ma Zong non è preoccupato: «Ci vuole tempo per costruire un marchio. Vent’anni fa era il momento giusto per vendere acqua minerale. Ora per il lusso accessibile». Parola del "Bambino che ride".