Denise Pardo, L’Espresso 17/5/2013, 17 maggio 2013
UN MILIONARIO DAL CUORE ROSSO
Sono sicuro: nella corsa per il Comune di Roma Ignazio Marino e Beppe Grillo hanno stretto un tacito accordo». A parlare così è Alfio Marchini, 48 anni, ingegnere, albero genealogico dalla romanità inattaccabile, imprenditore amico di tutti gli uomini dei poteri forti di ieri e di oggi (« Ma con nessuno ho fatto affari», specifica lui, pignolo com’è), presente in tutte le possibili fondazioni italiane e straniere, definito quasi con affetto dal "manifesto" «l’incognita trasversale» della presa del Campidoglio.
«Marino sta vendendo il Pd a Grillo», provoca. «Sta usando il partito come un taxi, prima per diventare senatore poi per pugnalare Pier Luigi Bersani nel momento di massima debolezza. Ci ha fatto caso? Manca una settimana al voto e Grillo ha praticamente ignorato la campagna elettorale per Roma, e se attaccherà non sarà Marino, piuttosto il sottoscritto o Alemanno. Nessuna critica nemmeno sullo stipendio da senatore che Marino percepisce pur essendo dimissionario e impegnato a Roma». Marchini sostiene di essere certo, di non parlare a caso. Ricorda che Marino ha votato per Stefano Rodotà, che Grillo ha quasi nascosto Marcello De Vito nei suoi blitz romani per farne un candidato debole che non dia fastidio al senatore chirurgo e che De Vito mente quando dice al "Messaggero" di non avere rapporti con Marino. «È tutto talmente evidente», insiste. «Se c’è un patto è bene che sia noto e pubblico, gli accordi sottobanco lasciamoli al passato. L’inciucio destra-sinistra è stato sorpassato da quello tra una parte del Pd e Grillo, presidente della Repubblica docet? Credo di sì. È chiaro che questo avrà un riflesso sia sul congresso che sul governo veri obiettivi di questa strategia di cui Marino è solo una delle pedine».
Nella campagna per la capitale, Marchini è arrivato a sorpresa, non se l’aspettava nessuno. Si è materializzato improvvisamente con le affissioni di un cuore, ovviamente rosso, sugli autobus il giorno di San Valentino («Un caso») e ora sta giocando una partita molto battagliera, cominciata in sordina senza un partito alle spalle, con un nome famoso e oltre 600 mila euro per la comunicazione, e diventata adesso più ingombrante mediaticamente e politicamente.
Roma mostra le tracce del suo passaggio. Al mercato di via Catania la sua foto troneggia accanto a quelle di Little Tony. C’è stato l’endorsement dei tassisti. La benedizione dei poteri forti capitolini, da Franco Caltagirone a Luca Parnasi a Pellegrino Capaldo. Voto Alfio, confessano i pizzardoni, ovvero i vigili della capitale; dappertutto lo chiamano per nome, neanche fosse un familiare, un vecchio amico, e non importa che sia ricco e famoso, un privilegiato, oltre che pure bello: se lo baciano anche gli uomini e lo abbracciano, fanno foto, chiamano mamme, nonne, zie.
Si è presentato come il candidato della rottura di un sistema, «il consociativismo, dove di giorno si fa finta di litigare e di notte ci si mette d’accordo, è quello che è emerso nella regione Lazio, no? Così come si fa a pensare che la situazione nelle municipalizzate, la cementificazione, il traffico e gli enormi problemi di questa città siano responsabilità solo di Alemanno che resta comunque il peggior sindaco di sempre? Chi ha fatto parte di questo sistema non potrà mai farlo saltare lasciando così che Roma si avviti per sempre in una spirale di degrado e povertà non solo economica. Sono convinto che le metropoli siano fabbriche d’innovazione e che Roma sia l’unico posto del pianeta, anche per il suo valore simbolico, dove poter fare una nuova sperimentazione sociale. Nel mondo stiamo assistendo al declino del welfare, non si può più contare su uno Stato che garantisca tutto a tutti. Bisogna occuparsi dei più deboli e offrire agli altri il supporto, gli strumenti, infrastrutture, servizi, per sostenersi in modo autonomo. E la chiave di tutto è il territorio».
Immagina una Roma laboratorio dove gli abitanti prima ancora di appartenere alla città appartengono al proprio quartiere. Secondo lui si può fare leva sullo spirito identitario per creare una comunità più solidale, più moderna, più connessa in termini di flussi, incentivando il terzo settore, puntando insomma alla smart city. Per qualcuno è un grillino con giacca e cravatta («Sono un matto che vuole fare una rivoluzione seria», e tanto per dire il suo indirizzo mail è "furiadeicervelli"). Per altri, è ancora un misto tra Berlusconi e Montezemolo: «Questo non me lo dice più nessuno, è roba vecchia, ormai lo hanno capito tutti». Per altri è la salvezza del voto moderato e cattolico. Sta diventando anche la tentazione di elettori del Pd: «Nella mia lista ci sono diciannove donne, la capolista viene da Sel e da Pd. Il 95 per cento sono persone della società civile. Non ho mai votato Berlusconi, ma solo Partito repubblicano finché c’era, ho dato il mio primo voto a Oscar Mammì. No, Pci mai, e quanto si dispiaceva nonno Alfio per questo. Il mio è un elettorato variegato, va dalle periferie, dalle borgate, San Basilio per esempio, ai delusi dell’estrema destra e al popolo rosso dilaniato dagli ultimi avvenimenti. L’altro giorno ero a La7 e un cameraman dice: "C’è mia madre al telefono, si chiama Clelia, ti vuole parlare". Me la passa: "Ho 66 anni", racconta lei, "mi sono iscritta al Pci a 18 anni ma io voto te e sai perché?". No, perché? "Perché ci capisci de politica". Ecco per me è stata....». Una medaglia? « No, piuttosto una carezza sul cuore. Sono un fautore del voto disgiunto. Conosco bene il mondo Pci, Pds, Pd, la sua lealtà, la sua sofferenza. E allora non mi stanco di dire: vota il tuo partito, rappresenta la tua storia, ma scegli me come sindaco. Marino non ha voluto fare il capolista Pd. Ha preferito la formula della lista civica. Si vede che si vergogna dell’elettorato Pd».
Parole pesanti per Marino e uno scontro duro con Goffredo Bettini che l’ha accusato di seminare zizzania nel Pd: «Voglio bene a Goffredo ma quando parla, mi domando in quale veste lo faccia: consigliori di Marino? Dirigente Pd? Candidato del suo nuovo movimento Campo? C’è molta confusione. Ho visto che Marino ha fatto una conferenza stampa con Umberto Croppi, ex assessore di Alemanno e parlano di lotta al consociativismo: no comment». Morale: chi del Pd non vuole il governo di larghe intese deve votare Marchini, è questo il senso? « Sì. È lo sbocco naturale per quelli che si sentono traditi da questa classe dirigente che ha dato la sensazione di restare a metà del guado....».
A Fiumicino è andato a incontrare i tassisti, non solo l’ala dura, ma l’intera categoria. «Avevo studiato i loro conti al centesimo, per amministrare bisogna conoscere. Mi infilo la giacca da tassista, da vigile, da pizzicagnolo, da costruttore secondo chi incontro. Dc e Pci formavano così i loro quadri; studio e non prometto ciò che non potrò mantenere: non voglio mettere in difficoltà i miei figli per qualcosa che ho detto e non sarò in grado di fare nei prossimi anni. Ancora oggi mi rimproverano che i Marchini negli anni Settanta, quando avevano la Roma, lasciarono andare Spinosi, Capello e Landini».
Non si fermerà alle elezioni romane (chiusura della campagna un concerto nel parco a San Paolo) e andrà avanti a partire dalle europee con il simbolo del cuore. La passione per la politica è genetica, ora l’ha scelta anche per aver scoperto che la felicità non è qualcosa d’individuale ma un percorso collettivo. L’illusione di vent’anni d’individualismo berlusconiano, secondo lui, è finalmente finita. Non ha spin doctor. Fa il più possibile da solo, Twitter, Facebook. Segue anche "Arfio", la sua parodia di milionario che spopola online: «L’inventore è stato fenomenale, l’altro giorno abbiamo scoperto che i nostri nonni sono stati compagni partigiani. Cosa direbbe Alfio senior della mia candidatura? Direbbe: "Apprezzo il coraggio. Dì sempre la verità. Uno perché sei un uomo libero e non sei sotto ricatto. Due perché in Italia, quando la dici non ti crede nessuno". Roma è il grande amore della mia vita. "Alfio non ci deludere", mi ripetono in tanti. Spero di riuscire a trasmettere quello che sento».