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 2013  maggio 17 Venerdì calendario

NON SPARATE SUL FINANZIAMENTO

Avviso ai lettori: questa settimana leggeranno qualcosa che potrebbe deluderli. Molti, insomma, potrebbero non essere d’accordo, e con l’aria che tira rischio grosso. Ma non rinuncio, anzi sfrutto il fatto che - per dirla con Altan - "mi vengono in mente opinioni che non condivido". Su un tema assai sensibile, poi, il finanziamento pubblico dei partiti: abolirlo del tutto sarebbe un errore colossale. Ecco, l’ho scritto.
I SOLDI, SI SA, DIVIDONO FAMIGLIE ed eredi, figuriamoci partiti, movimenti e parlamentari. Guardate quanto hanno penato i grillini per trovare un accordo sulla "diaria". Perché l’intento, pur benemerito, si scontra con una questione complessa. La busta paga del parlamentare è divisa in due parti: un’indennità fissa di 10 mila euro lordi e tante altre voci che compongono la diaria, appunto, un rimborso spese di circa 8500 euro netti (sì, netti) al mese.
Appena eletti i parlamentari hanno proposto di dimezzare la prima indennità - a 5 mila euro lordi - e di unificare tutte le altre voci in un rimborso spese, fino a un tetto di circa 8500 euro, concesso a fronte di ricevute e pezze d’appoggio. La parte eccedente la prima e la seconda indennità, secondo il diktat di Grillo, sarà restituita e destinata a scopi di pubblica utilità.
Tutto bene? Sì e no. Perché se si vuole che vinca la sana amministrazione e non la demagogia, le parole da sole non bastano. Servono contenuti, accorgimenti, tecnicalità. Non è detto per esempio che la soluzione proposta sia l’unica possibile: il movimento poteva fissare un tetto e utilizzare l’eccedenza in altro modo, un po’ come faceva il Pci per finanziare la macchina del partito; oppure lasciare intero lo stipendio e versare l’equivalente delle altre indennità al gruppo che poi avrebbe provveduto a rimborsare i parlamentari, ma solo a fronte di spese documentate ed esclusivamente inerenti all’attività politica (per evitare nutella, caviale e gratta e vinci).
Una soluzione tira l’altra, e comunque una qualche strada ora va trovata perché leggi e regolamenti delle Camere non consentono di trasferire altrove la busta paga: solidarietà, beneficenza e simili sono scelte individuali, che naturalmente il partito può orientare, ma appartengono al singolo parlamentare. Ma in realtà, se l’obiettivo è la diligente condotta del buon padre di famiglia e non la gogna mediatica su caffè, pranzi e cene, il vero problema da risolvere è: chi controlla le spese di deputati e senatori e ne giudica la congruità? Un amministratore o la Rete? Una struttura con regole e sanzioni o qualche decina di "like"? Insomma, qualcosa che assomigli a un’organizzazione politica o no?
ED ECCOCI COSÌ ALL’ALTRO CAPITOLO spinoso, il finanziamento pubblico dei partiti che dal referendum che lo abrogò prende il nome ipocrita di rimborsi elettorali (e per l’intera legislatura…). Grillo & C., si sa, ne chiedono l’abolizione da tempo e hanno già annunciato che non ne usufruiranno. Per loro, e non solo per loro, infatti, risparmiare quei soldi di tutti noi, utilizzati per tenere in vita macchine di potere che in tuti questi anni non hanno dato il meglio di sé, è diventato un obiettivo primario.
Eppure in tutta Europa non c’è democrazia che non abbia una qualche forma di sostegno pubblico. Lo Stato francese, per esempio ha speso 160 milioni (contro i 190 circa dell’Italia) per le elezioni presidenziali e legislative del 2012 e per sussidi ai partiti; la Spagna sborsa invece circa 135 milioni tra rimborsi elettorali e fondi a partiti e gruppi parlamentari; e la Germania della virtuosa Merkel addirittura tre volte tanto, quasi 460 milioni tra sussidi, rimborsi e finanziamenti alle fondazioni di partito.
PERCHÉ CI SI AFFANNA a cacciare soldi? Perché in assenza di questi potrebbe affacciarsi alla politica solo chi ha il favore delle lobby e dei potentati; o chi può pagarsi un tour elettorale in camper e nelle piazze o la traversata dello Stretto senza dover rendicontare alcunché a chicchessia, nemmeno ai propri parlamentari costretti a rispettare regole fissate non dalle leggi, ma dalle lobby, dal leader di turno o dal suo guru; o il conducator di un partito-azienda dalle illimitate risorse finanziarie. Appunto.
E certo sorprende che l’inflessibile Grillo tuoni contro il finanziamento pubblico, ma non spenda parole per il conflitto di interessi che nel caso Italia ne è l’altra faccia, contraria e speculare. Ma così si lasciano i soldi a chi li ha e si tolgono a chi non li ha. Tanto che Berlusconi già provoca avvertendo che continuerà a fare politica anche in caso di interdizione dai pubblici uffici. Come Grillo, ha spiegato: se lo potrà sempre permettere. Lui sì. È il padrone.
Dunque prima di fare tabula rasa pensiamoci bene, perché una cosa sono i Fiorito e i Lusi e i Belsito e i loro accoliti che hanno fatto man bassa, altra i veri partiti politici chiamati a organizzare il consenso, il dissenso e il funzionamento della democrazia. Battiamoci allora per leggi chiare e controlli ferrei, non per facili processi e ancor più facili condanne. Di morte.