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 2013  maggio 17 Venerdì calendario

IL GRANDE GATSBY DELLO SPORT PRIMO ATLETA DIVENTATO GRIFFE

È il Grande Gatsby dello sport. Profuma anche lui di soldi. E’ ancora primo, nel giorno dell’annuncio del suo addio. Primo nella lista delle star internazionali più ricche e celebri, da red carpet. È in cima alla classifica con oltre 50,6 milioni di dollari guadagnati l’anno scorso, più di 270 in carriera. Sia Messi che Federer hanno dovuto farsi da parte. Se piace (e vende) più di loro è per la faccia, per come la mette a Hollywood e dintorni. David è stato l’anti- Best, il contrario dell’eroe maledetto, di quello che finisce nelle pozzanghere della vita. David Beckham nella Formula Money resta il più vincente, anche solo per quel contratto di 160 milioni di dollari che dal 2003 lo lega all’Adidas. Un giocatore light, ma molto attraente sul mercato pubblicitario. A sognare Beckham non si sbaglia mai, da tempo più faccia che piede, non più solo un calciatore, ma un brand, un’immagine planetaria, un viso ovunque riconoscibile. David è la prima griffe che si è smarcata dal campo per diventare un prodotto per famiglia, ha fiutato moda e mode, il primo friendly gay, lontano dai pub e dal fish and chips di proletaria
memoria.
Eppure viene da lì: padre montatore di cucine, mamma parrucchiera, nonno tipografo. Il suo primo contratto (nel ’91): 35 euro a settimana. In vent’anni il ragazzo è diventato un capitalista. Ha vinto molto, non tutto, in Inghilterra (Manchester United), Spagna (Real Madrid), Usa (Los Angeles Galaxy), Francia (Psg). In quest’ultima stagione non ha segnato, ma incassato e regalato: gli ultimi cinque mesi al Paris Saint- Germain, contratto di 2,35 milioni di dollari, sono andati in beneficenza, per evitare quella tassa (75%) che ha fatto fuggire all’estero Depardieu. Hanno provato ad offenderlo, dicendo che non era abbastanza macho, ma solo un biondino metrosexual (ora il termine non va più), uno Spice Boy che si metteva il perizoma e lo smalto della moglie (Victoria), un manichino effeminato, pieno di gel, un toy boy del football. Lui ha accettato tutto, senza dribblare: «Ho molti fans tra gli uomini, è una buona cosa, mi piace. Non è un problema con chi lo fai e come lo fai». E ha continuato a sedurre, perfino Ronaldo (il brasiliano) ammise: « Quando David mi passa accanto, mi sento scosso, toccato da un’emozione».
Un calciatore da imitare, invidiare, amare, magari fischiare, mai da ignorare. A suo modo per fama è stato un piccolo Pelé bianco, secondo dietro al Pallone d’Oro nel ’99 dietro Rivaldo. Con il calcio sullo sfondo ha sempre fatto notizia: per uno scarpino ricevuto in faccia da sir Alex Ferguson nello spogliatoio, per il matrimonio celebrato in un castello irlandese, per le ville faraoniche acquistate, per la Mercedes blindata, con letto incorporato, per l’amicizia con Elton John, per i nomi dei quattro figli (Brooklyn, Romeo, Cruz e Harper), per le foto accanto a Mandela, per quelle in mutande, con l’intimo frontale, per il suo vicino di casa Tom Cruise, per il tatuaggio con il nome di Victoria in alfabeto hindi e la scritta latina «amare et fovere». Insomma, per tutto quello che non è gol. Perché è stato il primo a investire su se stesso, a diventare squadra, a vendersi con professionalità. Da primadonna non ha mai dimenticato che il pallone ha una sua verità e ha fatto di tutto per non staccarsene, il suo arrivo al Milan, per ritrovare competitività (per il mondiale 2010), l’ha pagato con l’infortunio al tendine d’Achille. Come capitano dell’Inghilterra non ha avuto fortuna, tante presenze (115), pochi risultati, non è stato un leader, ma nemmeno un fuoco fatuo. Ora dice che è tempo di lasciare. «Giusto così». Ma la sua faccia resterà. Dopo essere diventato l’eroe dei due mondi: Europa e America, gli manca la conquista dell’Oriente. Ha già firmato (60 milioni di euro) per essere testimonial del calcio cinese, ambasciatore nel mondo della Super Lega. La sua cometa non si spegne. In questo David è ancora fenomenale: riscalda ogni illusione.