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 2013  maggio 17 Venerdì calendario

I GIOVANI TEDESCHI SPENDONO TUTTO

Amburgo è una delle città più ricche d’Europa, ieri come oggi. E una delle più eleganti, con Monaco e Düsseldorf. Niente a che vedere con la proletaria Berlino. Vi abitavo da poco, ed entrai in un negozio per comprare un pullover notato in vetrina. «Perché vuole quello?», chiese la commessa, «costa 100 marchi».

E mi propose un altro maglione per soli 60. «Ma quello è più bello», le spiegai. Lei mi guardò con commiserazione. Un pullover deve tenere caldo, e basta. Pensai che avessi l’aspetto di un poveraccio, che il mio accento mi avesse tradito, o che per la commessa anseatica tutti gli italiani fossero immigrati fuggiti dalla fame italica. Invece no. Era una saggia tedesca, per la quale lo spreco è un peccato. Il Deutsche mark non esiste più, ma anche l’euro li invoglia a essere saggi. Se a fine mese gli restano 100 euro in tasca, un francese, uno spagnolo, e un italiano, se ne vanno con la moglie, o l’amica, al ristorante. Un tedesco corre a depositarli sullo Sparbuch, il libretto di risparmio, anche se gli rende lo 0,9 di interesse, meno della metà del tasso di inflazione. Li mette da parte, e ci perde. Non si sa mai, lui si aspetta sempre il peggio dalla vita.

Per mettere a posto i conti in Europa, i paesi debitori invitano Angela e i suoi connazionali a spendere di più, comprando all’estero, si intende. Il loro attivo è formato dai nostri debiti, le rimproveriamo. Anche la signora più potente del mondo è parsimoniosa, o avara, a seconda dei punti di vista: non sfoggia, ad esempio, le stesse toilette un anno dopo l’altro alle prime di Bayreuth? Non va a fare la spesa da sola ai grandi magazzini? E senza neanche farsi aiutare dalle guardie del corpo. A parte che se anche Angela e tutti i tedeschi si comprassero ogni settimana un maglione italiano, o una camicetta, un paio di scarpe, una borsetta made in Italy, non metterebbero a posto la nostra bilancia dei pagamenti, per la verità le cose stanno cambiando. E si fa fatica a rendersene conto, accecati dai pregiudizi. I tedeschi diventano spendaccioni. Almeno i giovani. Vanno al ristorante, a ballare, in vacanza, si vestono all’ultima moda. Non pensano al futuro. «Optimistich in die Altersarmut», titola il settimanale Die Zeit, ottimisti verso la povertà in vecchiaia. Non mettono più soldi da parte, e non dipende dal fatto che guadagnino poco. Quello che ricevono, lo spendono fino all’ultimo centesimo, la paghetta dei genitori, o lo stipendio. «Giovani e giovani adulti in Germania guardano ottimisticamente verso il futuro come mai era avvenuto», scrive la rivista, «sono convinti del loro successo personale e non temono la disoccupazione». Nonostante i genitori li ammoniscano a pianificare la vita, e ricordano che dovrebbero preoccuparsi di un domani, quando magari non avranno entrate sufficienti. Dovranno lavorare sempre più a lungo per ricevere la pensione, e questa sarà sempre più modesta. Andranno incontro ad anni difficili se non penseranno a integrarla con una pensione supplementare privata, o con un’assicurazione. A stare ai calcoli, la maggioranza riceverà come pensione non più del 40% dell’attuale reddito. Tutto invano. Il 90% non si preoccupa, pensa che comunque andrà bene. Solo il 38% risparmia qualcosa pensando a un futuro meno roseo. È il risultato di un’indagine condotta dalla Tns Infratest, che ha interrogato per telefono 2.500 persone tra i 17 e i 27 anni. Non è incoscienza. Sono consapevoli che probabilmente li attende un domani fitto di nuvole, ma non ritengono di doversi preoccupare per quel avverrà fra trenta o quarant’anni. Sono anche incerti e disorientati. Forse non sono diventati più parsimoniosi di mamma e papà, ma hanno perso la fiducia nello stato e nelle banche: l’attuale crisi ha dimostrato che non c’è risparmio sicuro. Gli interessi sono bassi, giocare in borsa è rischio per pochi. Scoprono dunque, come gli italiani, l’investimento immobiliare, ma chi ha meno di trent’anni, anche in Germania, non ha il capitale sufficiente per richiedere un mutuo. Allora tanto vale godersi la vita, all’italiana.