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 2013  maggio 16 Giovedì calendario

L’ITALIA TRACOLLA MA IL PROBLEMA SI CHIAMA EUROPA

Niente discussioni: il record negativo è roba nostra. Nessuno può vantare (si fa per dir) sette trimestri di pil consecutivi in rosso. Un salto nel fosso della recessione, con un calo del 2,3 % rispetto ad un anno fa. In questi sette trimestri sono andati in fumo circa 150 miliardi di ricchezza. Ma la Francia di monsieur François Hollande, salito all’Eliseo con obiettivi di ripresa degni di Roosevelt, ci segue a ruota: -0,2%, tre trimestri in rosso, da ieri in recessione. Più o meno come l’intera eurozona. Anche la Germania promette di iscriversi presto al club: nei primi tre mesi del 2013 è salita solo dello 0,1%. Forse è questo l’obiettivo vero dello squadrone d’oltre Reno (Merkel in porta, a centrocampo Wolfgang Schäuble e i saggi di Kiel, centravanti di sfondamento il presidente della Bundesbank Jens Weidmann): iscrivere la Bundes Republik agli europei della recessione del Vecchio Continente, dopato a suon di austerità.
Fuor di metafora, dai dati pubblicati ieri emerge in maniera clamorosa la diversità europea. Il Giappone fa prove di ripresa, gli Stati Uniti ci provano, l’Europa, dopo aver tirato la cinghia, s’avvita in peggio. Preso atto che l’inflazione non è all’orizzonte, sia Tokyo che Washington usano l’arma monetaria per stimolare la spesa pubblica. La Germania, al contrario, si presenta all’appuntamento con il bilancio in attivo. Altro che spendere per alimentare la domanda: la ricetta tedesca è l’esatto opposto.
Il risultato? Ahimè, mal comune non è mezzo gaudio. Le famiglie tedesche, lungi dal consumare di più, come sarebbe necessario per il bene generale, rischiano di fare i conti con una dose supplementare di austerità, strategia demenziale per un Paese che vanta verso i partner dell’euro un surplus commerciale mostruoso accumulato durante la stagione della moneta unica. Eppure, nel corso degli ultimi mesi, si è registrato a velocità crescente lo sgretolamento dei capisaldi teorici e pratici di quella che è stata in questi anni la dottrina ufficiale di Berlino, Francoforte e Bruxelles. Fino all’anno scorso, ad esempio, la dose «ottimale» di austerità per i medici del Fondo Monetario era di due punti di Pil all’anno, oggi si è capito sulla pelle di Italia, Spagna e Portogallo che una dose del genere per un Paese già in crisi rischia di esser letale.
Possibile che la Germania non capisca? O che il resto della Ue voglia avviarsi al baratro senza reagire? In realtà, da mesi la posizione della Germania sta cambiando. Berlino, che in agosto scorso ha accettato la ricetta Draghi per l’Eurozona, dalla fine del 2012 ha di fatto ripiegato parecchio anche sul piano dell’austerità fiscale. Non per se stessa ma per Francia, Spagna, Portogallo ha condonato sforamenti anche consistenti per l’anno scorso e si prepara ad ac accettare l’uscita dell’Italia dalla procedura per deficit eccessivo. Ma la conversione tedesca è lenta e ipocrita. Da una parte si invita Mario Draghi a procedere sulla strada del taglio dei tassi a protezione dell’export di Bmw e Volkswagen. Dall’altra, anche per difendersi dall’offensiva elettorale degli euroscettici, il governo chiude a misure che possano favorire gli stimoli all’economia del Sud Europa. In questa cornice, proprio alla vigilia del vertice Ue di giugno, la corte Costituzionale di Karlsruhe si pronuncerà su richiesta della Bundesbank sulla legittimità degli Omt, cioè del meccanismo di acquisto da arte della Bce dei titoli di Stato dei paesi che ne facciano richiesta.
Insomma, Berlino gioca con il fuoco. O, se preferite, dà un colpo al cerchio e l’altro alla botte. Da una parte s’impegna a studiare meccanismi per l’occupazione dei giovani europei. Dall’altra rischia di far saltare la santabarbara del Continente con una mossa assai pericolosa. Non è possibile che l’Europa accetti ancora supinamente questa doppia andatura. Ma che possiamo fare, nel frattempo, noi italiani? Quando la febbre fa bollire il cervello, la prima cosa da fare è far abbassare la temperatura il più in fretta possibile. Con ogni mezzo a disposizione. Ovvero, bisogna tornare a crescere subito. Ben vengano le pillole (il pagamento della Pa alle imprese, il taglio dell’Imu), purché faccia seguito una terapia più massiccia: cessione di beni pubblici, riduzioni strutturali di spesa ed altre misure espansive nell’ordine di decine di miliardi. Nella convinzione che, come sta capitando per il Giappone, i mercati sono pronti ad apprezzare una svolta del genere purché accompagnata da volontà concreta di far sul serio le riforme. L’austerità insomma, può essere una virtù. Ma non sempre. Del resto, il 7 febbraio 1497 migliaia di fiorentini seguirono il frate domenicano Girolamo Savonarola fino in piazza della Signoria dove, su un rogo alto trenta braccia, vennero bruciati gioielli, libri e quadri preziosi, tra cui alcuni dipinti consegnati da Botticelli, savonaroliano entusiasta. Ma poco più di un anno dopo, all’alba del 23 maggio 1498, Savonarola e due altri frati furono portati nello stesso luogo, impiccati e bruciati. Meditate, sacerdoti dell’austerità...