Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  maggio 17 Venerdì calendario

I MIEI CONSIGLI DI INGLESE SOTTO L’ACQUA

Come diceva quel tipico inglese del dottor Samuel Johnson, «quando due inglesi si incontrano, prima di tutto parlano del tempo». Perché questo arcipelago nell’Atlantico non ha un clima prevedibile ma piuttosto quell’elemento capriccioso che si chiama tempo, contro il quale occorre armarsi di ombrello e farsi scudo con abiti in tweed. Le tradizionali previsioni meteo in tv suonano più o meno così : «Intervalli di sole e sporadici rovesci di pioggia». Il senso inglese dello humour è l’accettazione filosofica delle «quattro stagioni in un giorno». Byron, che si deliziava in quell’«esilio paradisiaco» che era l’Italia, scrisse nel «Don Giovanni» dell’«inverno inglese, che finisce a giugno e ricomincia ad agosto», mentre il poeta Coleridge scriveva: «Inizia luglio con la sua abituale severità». Nonostante sia un anglofilo, l’americano Bill Bryson non usa giri di parole sul tempo inglese: «Una primavera umida confluiva impercettibilmente in un tetro autunno. Per mesi il cielo era rimasto di un grigio plumbeo. A volte pioveva, ma per lo più era fosco. Era come vivere in un contenitore di plastica tupperware» o, come sento adesso, in Italia. Ho tentato di acclimatare mia moglie Erica, italiana, dal giorno del nostro matrimonio a Cambridge nel maggio 1979, giorno cupo e tempestoso di pioggia orizzontale. In piedi nel suo abito di seta fradicio di pioggia, dichiarò coraggiosamente: «Sposa bagnata, sposa fortunata». Per la luna di miele l’ho portata sulla mia barca a vela in mogano, la Tridentia. Per lei «veleggiare» significava sorseggiare gin and tonic a poppa sotto il sole della Sicilia, non starsene avviluppata nella cerata ad affrontare quello che giudicavo «un magnifico vento». Si meravigliava poi che, quando eravamo all’àncora al porto, bambini - e foche - nuotassero felici e facessero capriole intorno al Tridentia. Sorprendentemente, il matrimonio è sopravvissuto a quelle tempeste. Anni dopo, con due dei nostri tre figli andammo in macchina da Roma a Newcastle e poi al Vallo Adriano: era difficile spiegare ai bambini perché mai i Romani avessero voluto fare tutta quella strada per raggiungere un desolato avamposto imperiale, soprattutto quando andare - e nel mese di agosto - nelle bellissime spiagge dorate locali significava controllare: «Avete preso le giacche a vento, gli stivali di gomma e i paravento?». Ma è stato in quelle onde grige che Erica divenne inglese. Con la tipica logica del nostro Paese le avevo detto: «Entra, è più caldo qua dentro che là fuori con il vento!».