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 2013  maggio 15 Mercoledì calendario

LO SHALE USA RIVOLUZIONA IL MERCATO


L’Opec – un tempo così potente da riuscire a influenzare i prezzi del greggio anche soltanto con le parole – sta perdendo il controllo dei mercati petroliferi, detronizzata dal Nord America. Il successo dello shale oil e delle sabbie bituminose si sta infatti rivelando così grande e così rapido che Stati Uniti e Canada nei prossimi cinque anni potrebbero essere in grado di soddisfare da soli il 40% della nuova domanda di greggio che si svilupperà nel mondo, mentre l’intero fabbisogno extra potrebbe in teoria essere soddisfatto da fornitori esterni all’Organizzazione.
L’Agenzia internazionale per l’energia (Aie) – che aveva già predetto l’ascesa degli Usa al primo posto nella classifica dei produttori di greggio, con il sorpasso dell’Arabia Saudita intorno al 2020 – è sempre più ottimista sugli sviluppi dell’industria estrattiva d’oltre Oceano, investita da una rivoluzione che fino a pochi anni fa era inimmaginabile e che è stata resa possibile dalle nuove tecniche di trivellazione orizzontale abbinate alla fratturazione idraulica (il "fracking").
Nell’aggiornamento semestrale del Rapporto di medio termine sui mercati, pubblicato ieri, l’Agenzia dell’Ocse prevede che la domanda petrolifera mondiale, rallentata dalla crisi economica tuttora in corso, tra il 2012 e il 2018 crescerà di 6,1 milioni di barili al giorno (mbg), ossia del 6,7%, raggiungendo 96,7 mbg. Nello stesso periodo i Paesi non Opec riusciranno ad aumentare la produzione di 6 mbg (a 59,3 mbg).
I nuovi barili proverranno per due terzi dal Nord America, che accrescerà l’output di 3,9 mbg, di cui ben 2,3 mbg costituito solo da petrolio "tight" (shale e simili) dagli Usa e 1,3 dalle sabbie bituminose del Canada, il cui sviluppo è per il momento ostacolato dall’insufficienza delle infrastrutture, ma decollerà a partire dal 2016.
Il ritmo di crescita della produzione statunitense stupisce invece per la sua velocità: l’anno scorso c’è stato un incremento di 800mila bg, il più grande nella storia dell’industria estrattiva Usa, e l’output è già ai massimi dal 1995. L’Aie rispetto ad appena sei mesi fa si è vista costretta a ritoccare al rialzo le sue previsioni e ora prevede che Washington aggiungerà altri 2,8 mbg entro il 2018 (420mila in più rispetto a quanto si attendeva a ottobre), per arrivare a 11,9 mbg nel 2018. L’Arabia Saudita ha una capacità di 12,5 mbg, la Russia – oggi secondo produttore mondiale – verrà superata già nel 2015 e il suo output resterà quasi fermo nei prossimi 5 anni (+30mila bg a 10,76 mbg).
L’Opec d’altra parte accrescerà la sua capacità produttiva di appena 1,75 mbg di qui al 2018, fino a 36,75 mbg. La precedente previsione dell’Aie era di un incremento di 3,34 mbg tra il 2011 e il 2017 (a 37,54 mbg). La minor crescita è in parte il frutto di scelte deliberate: i sauditi, ad esempio, hanno deciso di non procedere con i piani di espansione della capacità, proprio in risposta all’imprevisto e vorticoso sviluppo dell’offerta non Opec. Ma nel caso della Nigeria e del Nord Africa la frenata dipende dalla maggiore insicurezza. «L’aumento della violenza da parte di estremisti islamici e milizie, combinata con l’instabilità politica in gran parte dell’Africa settentrionale e occidentale dall’inizio della Primavera araba nel 2011 – osserva l’Aie – sta modificando l’equazione del rischio per le compagnie petrolifere internazionali».
Con un’offerta di greggio che cresce più della domanda, la cosidetta "spare capacity" – o capacità produttiva di riserva, fondamentale per rispondere a emergenze come guerre o disastri meteorologici – supererà già dal prossimo anno 7 mbg. Un livello che non si raggiungeva da anni e che potrebbe finalmente esercitare pressioni al ribasso sulle quotazioni del barile, inchiodate quasi ininterrottamente da oltre un anno sopra 100 dollari nel caso del Brent.
«Il Nord America ha innescato uno shock da offerta che sta trasmettendo una reazione a catena in tutto il mondo», ha commentato Maria van der Hoeven, direttore dell’Aie. «La buona notizia è che tutto ciò sta aiutando il mercato a distendersi, dopo che per molti anni è stato relativamente in tensione».
Sul mercato dei future le scadenze lontane del greggio riflettono già il maggiore ottimismo sulle condizioni di domanda e offerta: il Brent per dicembre 2017 vale poco più di 90 $/barile, contro i 102,60 $ della consegna a pronti alla chiusura di ieri. Resta tuttavia da vedere come reagirà l’Opec, che ha in programma il suo prossimo vertice a fine mese, di fronte alle mutate condizioni del mercato. L’Aie nei prossimi anni non vede una forte richiesta di forniture del Cartello: il cosidetto "call on Opec" scenderà dagli oltre 30 mbg dell’anno scorso (un livello che corrisponde all’attuale tetto produttivo dell’Organizzazione) a 29,2 mbg nel 2015. Per difendere i prezzi del greggio l’Organizzazione ha un’unica arma a disposizione: tagliare l’output. Ma un’azione efficace non sarà facile.