Francesco Daveri, Corriere della Sera 16/05/2013, 16 maggio 2013
IN GERMANIA A LEZIONE DI CRESCITA - I
dati Eurostat sul Prodotto interno lordo del primo trimestre 2013 mostrano un quadro preoccupante. Nell’Europa che continua a soffrire creando sempre meno ricchezza e occupazione, la Francia ora entra in recessione e la Germania rasenta la stagnazione. Ma è l’Italia che attraversa una crisi infinita, non l’Europa.
La politica tedesca è il capro espiatorio più facile per il perdurare di questa situazione. I tedeschi — più recentemente e più esplicitamente per bocca del loro ministro dell’Economia Wolfgang Schäuble — frenano da tempo, ad esempio, sui passi necessari per portare a compimento il progetto di unione bancaria messo nero su bianco con l’accordo del lontano giugno 2012. Schäuble accampa la necessità di cambiare preventivamente i trattati prima di arrivare ad un sistema europeo di liquidazione degli istituti bancari in dissesto nell’eurozona.
Ma c’è di più, la Germania e soprattutto la Bundesbank non perdono occasione di insistere anche sul mantenimento del rigore fiscale, al di là del buon senso e ben al di là di quanto facciano le istituzioni internazionali (Fondo monetario e Commissione europea) che hanno il compito di vigilare sui conti pubblici di tutti.
Facile puntare il dito contro la politica tedesca, colpevole di pensare troppo alle prossime elezioni di settembre e alle preoccupazioni dei suoi elettori. Eppure bisognerebbe ricordare che, almeno a casa loro, i tedeschi hanno trovato, tra l’altro, il modo di far finalmente salire i salari, la base per il decollo di consumi interni finora troppo asfittici.
Dopo mesi di duri negoziati, il sindacato tedesco IG Metall ha finalmente ottenuto dagli industriali bavaresi un aumento salariale del 3,4 per cento per il 2013 e di altri 2,2 punti per il 2014. E ciò che decidono gli industriali bavaresi è solitamente un indicatore che anticipa ciò che succede ai rinnovi contrattuali dell’intera Germania.
Ma i salari tedeschi salgono perché l’economia tedesca ora raccoglie i frutti della rapida crescita del Pil del 2010-12 (+7 per cento in tre anni) e del conseguente miglioramento del mercato del lavoro che ha fatto scendere la disoccupazione al 5,5 per cento. Salari in crescita, tasse stabili e un solido mercato del lavoro sono la base per la ripresa dei consumi. Ma, come effetto collaterale, se ripartono i consumi interni, aumentano le importazioni tedesche dal resto della zona euro e la recessione degli altri si addolcisce. Almeno da questo lato, dunque, è giusto riconoscere che i tedeschi stanno facendo più che in passato la loro parte per il ritorno ad una crescita più vigorosa nell’eurozona. Di fronte a ciò che accade in Germania, è ancora più difficile chiudere gli occhi sulle lentezze postelettorali del sistema politico italiano nei primi mesi dell’anno. I drammatici dati macroeconomici ed aziendali del primo trimestre 2013 indicano uno sgradevole parallelo tra la crescita della produzione industriale di gennaio (quando evidentemente l’economia si aspettava una svolta) e il ritorno a numeri drammaticamente negativi nei mesi di febbraio e marzo, cioè durante i mesi dello stallo politico nei quali l’attesa svolta non ha avuto luogo.
Evidentemente, l’incertezza politica ha un costo economico e non di poco conto. Il che porta a concludere che, se si vuole trovare un responsabile per il perdurare della crisi italiana, meglio guardare a Roma che a Berlino.
Francesco Daveri