Deborah Ameri, Il Messaggero 16/5/2013, 16 maggio 2013
L’ONDA CHE ALLAGHERA’ LONDRA
Tra cento anni città come Londra, Venezia, Los Angeles e Amsterdam potrebbero essere frequentemente sommerse dalle inondazioni. E lo scenario peggiorerà nei prossimi secoli, fino a quando queste metropoli saranno invivibili. L’indiziato numero uno è il global warming. La temperatura media dell’atmosfera terrestre e degli oceani continua ad aumentare e a fare sciogliere i ghiacci dei poli. La conseguenza più immediata è l’innalzamento del livello dei mari, che minaccia le nostre città. Ieri da Londra sono stati diffusi i risultati definitivi di uno studio, “Ice 2 Sea”, finanziato dall’Unione Europea e costato 10 milioni di euro.
L’ANALISI
La situazione è preoccupante, la profondità dei mari continua a salire e sempre più velocemente. «A causa della dissoluzione dei ghiacci il livello del Mediterraneo aumenterà tra i 20 e i 30 centimetri nei prossimi 100 anni. A questi vanno aggiunti 25 centimetri dovuti al riscaldamento dell’acqua che fa espandere le masse oceaniche», spiega il professor Giorgio Spada, dell’università di Urbino, uno dei venticinque centri di ricerca europei che hanno cooperato allo studio. Solo il disfacimento delle calotte polari contribuirà con un minimo di 3,5 a un massimo di 36,8 centimetri all’aumento del livello globale dei mari. Con un 5% di possibilità che si arrivi a 84 centimetri entro un secolo. Un’espansione che potrebbe mettere in pericolo le città più vicine al mare e più densamente popolate.
Venezia, per esempio, sarà colpita più frequentemente da inondazioni e l’erosione costiera continuerà, lenta ma inesorabile. Senza adeguate protezioni, la città rischia. Così come Londra, dove, tra un secolo, le barriere del Tamigi potrebbero essere rotte ogni dieci anni e causare alluvioni devastanti. È per questo che si sta lavorando a un progetto per rafforzare le difese intorno all’estuario del fiume.
«Roma, per esempio, è meno a rischio perché più lontana dal mare. Anche se il livello dell’acqua aumentasse di un metro, la capitale dovrebbe essere relativamente al sicuro - ragiona il professor Spada - Per adesso non abbiamo ancora dati riguardanti le singole città. Il pericolo di disastri ambientali è reale, ma stiamo lavorando affinché possano essere evitati. E in base alle nostre previsioni potranno essere erette difese costiere e adeguate barriere anti alluvioni».
UN METRO AL SECOLO
David McCandless, scrittore e giornalista inglese, ha raccolto i tanti dati su global warming e variazioni degli oceani, forniti da diversi istituti di ricerca, e ha compilato una mappa delle città del mondo che potrebbero essere sommerse tra qualche secolo se non fossero protette da barriere (i suoi grafici sono contenuti nel libro Information is beautiful).
Venezia e Los Angeles sarebbero sott’acqua se il mare si innalzasse di un metro. Amsterdam, Amburgo e San Pietroburgo rischierebbero con 2 metri di aumento. San Francisco e Manhattan sarebbero spazzate via da 3 metri (tra oltre 200 anni). Sempre secondo McCandless, Londra non soccomberebbe con meno di 5 metri, Edimburgo con meno di 6 e New York resisterebbe a oltre 10 metri.
L’Europa è abbastanza fortunata. Grazie alla sua relativa vicinanza alla Groenlandia i suoi mari subiranno di meno l’effetto-ghiaccio. Sembra una contraddizione, ma le coste più vicine alle calotte polari sono le meno influenzate dal loro scioglimento. L’Australia occidentale e l’area del Pacifico sono invece le regioni più a rischio: qui i mari potranno crescere anche di 1,5 metri entro fine secolo, secondo “Ice 2 Sea”.
La previsione è stata fatta basandosi sull’attuale quantità di emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera, che porterà a un innalzamento della temperatura di 3,5 gradi entro il 2100. Ma se l’inquinamento dovesse aumentare le stime cambieranno. E altre variabili potrebbero influenzarle. «I modelli al computer che abbiamo usato non sono completi. Ci sono ancora altri fenomeni fisici, quasi sicuramente coinvolti nello scenario dell’innalzamento dei mari, che non siamo riusciti a includere nelle nostre proiezioni», ha spiegato all’Independent il professor David Vaughan, del British Antarctic Survey, che ha coordinato la ricerca.