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 2013  maggio 16 Giovedì calendario

JOLIE D’ITALIA, LO FANNO E NON LO DICONO

«Sono sorpreso da tutto il clamore suscitato dall’annuncio di Angelina Jolie. La mastectomia preventiva è utilizzata anche in Italia da ormai dieci anni. Non è né una tecnica nuova né una decisione choc. L’unica differenza è che le donne, in Italia, non hanno piacere di dirlo. Non ne parlano, non amano raccontare che hanno avuto un cancro».

Per il professor Paolo Comoglio, direttore scientifico dell’Irccs di Candiolo, l’istituto per la ricerca e la cura del cancro alle porte di Torino, rinunciare ai seni o alle ovaie per battere il tumore «è la strada che consigliamo anche nel nostro centro». La strada più sicura.

Dove si può «si tende a fare preferibilmente l’ovariectomia, perché, per una donna, anche l’asportazione delle ovaie riduce drasticamente il rischio di sviluppare un tumore, e l’impatto psicologico e soprattutto estetico per una donna è sicuramente minore».

Ma quando il gene malato è ereditario e la percentuale di sviluppare un cancro è altissima, praticamente certa, «l’intervento chirurgico radicale è la soluzione proposta alle pazienti abitualmente anche in Italia». Dove non c’è più l’organo da aggredire non c’è più neppure possibilità di ammalarsi. Né ansia e timore fra un controllo e l’altro.

D’accordo con Paolo Comoglio è anche il dottor Riccardo Ponzone, direttore del reparto di Ginecologia Oncologica. Quando il rischio di andare incontro alla malattia è così alto come nel caso della mutazione ereditaria della Jolie, la sorveglianza non è sufficiente per vivere tranquilli. Per quanto stretta sia. «Ma la teoria è un conto, la pratica sempre un altro», allarga le braccia Ponzone.

E infatti le donne, anche secondo il professor Umberto Veronesi, in Italia sembrano pensarla diversamente al momento di prendere la decisione davanti all’oncologo e al chirurgo: per quanto l’asportazione radicale dei seni, svuotando le ghiandole mammarie, garantisca il rischio quasi zero, «la maggioranza, alla fine preferisce rimanere sotto controllo anziché farsi operare», sostiene Veronesi, che da ministro della Sanità, all’inizio degli anni Duemila, si era comunque espresso a favore del bisturi anche tra le giovanissime ad altissimo rischio.

I tumori che insorgono in persone predisposte geneticamente sono compresi in una percentuale che va dal 2 al 10 per cento dei tumori. L’ipotesi futuribile è che sequenziando il genoma procedura tecnicamente già possibile, e oggi operativa a Candiolo - ognuno potrà avere il proprio «oroscopo della malattia», anche nel caso di una mutazione non ereditaria. «Ma oggi i costi sono proibitivi e si aprirebbero molte implicazioni anche etiche - concordano gli specialisti -. Persino negli Stati Uniti, dove per un certo periodo questa possibilità è stata reclamizzata e offerta a costi contenuti, in realtà non è mai decollato nulla».

Non è una scelta facile, l’asportazione radicale, per quanto meno rara del previsto: «La strada che conduce a un intervento preventivo al seno deve essere basata su indagini genetiche e test del sangue, e non solo sulla storia familiare di una madre o di una sorella con carcinoma mammario», sottolinea Egidio Riggio, specialista in chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica, e microchirurgia presso l’Istituto nazionale tumori di Milano. In altre parole: «Non deve essere mai una scelta emotiva lasciata alla donna coinvolta». Il risultato è la guarigione, e dalla parte delle donne, oggi, «c’è la chirurgia plastica in grado di ricostruire perfettamente i seni».