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 2013  maggio 16 Giovedì calendario

SETTIMANALE PROCESSATO A TEATRO

Stampa sotto processo in Svizzera, ma solo sul palcoscenico in una finzione teatrale. Imputato Die Weltwoche, il settimanale accusato di spingersi troppo a destra, una deriva razzista. Ma nella Confederazione elvetica la libertà di opinione è rispettata, non solo a parole, e non c’era la possibilità di giungere a una sanzione.

Il regista Milo Rau ha tentato dunque di inscenare in un teatro di Zurigo un «caso giudiziario» per mettere la rivista all’attenzione dell’opinione pubblica. E ci è riuscito in pieno: il dibattito, durato 15 ore, ha interessato milioni di cittadini, grazie alla tv, che ha mandato in onda due lunghe trasmissioni. Inoltre era possibile seguire lo «spettacolo» in streaming.

Nell’aprile dell’anno scorso, Die Weltwoche ha pubblicato in copertina la foto di un bimbetto rom dal viso sporco che puntava contro la camera una pistola. Il titolo avvertiva: «I rom arrivano, predoni in Svizzera». E continuava: vengono, rubano, se ne vanno, cioè quanto vuol dire il termine Zigeuner, zingaro, ormai vietato in tedesco, da Zug, movimento, e Gauner, delinquente, quello che appunto arriva, spoglia le vostre case, e se ne va. Solo, avvertiva il settimanale, ora gli zingari restano.

Per la verità, un’evenienza quasi teorica in Svizzera, dove le frontiere vengono controllate. Ma i rom erano il pretesto per smuovere ancora una volta l’opinione pubblica contro gli stranieri, i musulmani in prima linea. Gli stranieri, delinquenti o no, si aggiungeva, vengono per sfruttare il nostro stato sociale. Un’altra campagna che ha portato Die Weltwoche alla sbarra è stata condotta contro i minareti delle moschee: abbattiamoli tutti, e l’invito tra le righe non era rivolto solo agli edifici. Nella vicina ultracattolica Baviera il problema è stato risolto con un compromesso: costruite quante moschee volete, è stato l’invito, ma per favore evitate i minareti che turbano il classico paesaggio della nostra regione. E i musulmani sono stati d’accordo. La rivista aveva anche pubblicato la foto di un pacifico cittadino svizzero convertitosi all’Islam con il titolo «Ecco il Bin Laden di Biel».

Die Weltwoche, fondato nel 1933, è sempre stato un settimanale polemico, pronto a denunciare gli scandali e il malaffare della classe politica, e la corruzione dei burocrati. Ma dieci anni fa la tiratura era scesa a 12 mila copie, a un passo dal fallimento e dalla chiusura. La testata è stata rilevata da Roger Köppel, 48 anni, che ha pieni poteri come editore e direttore. Ha spostato il periodico sulle posizioni di estrema destra della Svp, il partito del miliardario Christoph Blocher, 71 anni. E oggi vende poco meno di 78 mila copie, quanto basta.

L’immagine incriminata del bambino di quattro anni era stata scattata nel 2008 dal fotoreporter italiano Livio Mancini in un deposito di immondizie a Gjakova, in Kosovo. L’arma era un giocattolo di plastica. Durante il dibattimento, l’agenzia che l’aveva venduta al settimanale ha protestato, sostenendo che la foto era stata alterata e usata per uno scopo diverso da quello voluto da Mancini. Inoltre anche in Svizzera le immagini dei minorenni andrebbero protette. Köppel prima aveva accettato di comparire in palcoscenico, poi ha fatto marcia indietro. La foto, secondo lui, intendeva denunciare le condizioni miserevoli in cui vivono i bambini rom.

La giuria ha finito per assolvere con sei voti contro uno Die Weltwoche, ma con formula dubitativa, in dubio pro reo. Gli articoli della rivista sono riprovevoli, tuttavia non sono un reato. Ma la condanna per la testata è giunta dalle reazioni degli svizzeri, in maggioranza negative. Uno spettacolo diventa un pericolo per la tiratura. O no?