Giorgio Ponziano, ItaliaOggi 16/5/2013, 16 maggio 2013
SQUINZI È L’UOMO DEI MIRACOLI
I miracoli di Giorgio Squinzi, che il prossimo anno siederà nel gotha del calcio, accanto a Berlusconi, Agnelli, Moratti, Della Valle. Già come presidente di Confindustria pranza con Napolitano, Letta, Alfano (presto incontrerà Epifani). Poi in Mapei, la sua azienda, non si muove foglia che lui non voglia e poiché ha stabilimenti sparsi in tutto il mondo ha buoni rapporti con politici e industriali di ogni Continente.
A dare lustro e alzare il sipario sull’uomo dei miracoli (fino a farlo arrivare sul Wall Street Journal) è in questi giorni il calcio, a cui per la verità si è avvicinato per disperazione, dopo avere mollato la sua grande passione, il ciclismo.
Quando scoprì che anche nella sua squadra, che partecipava al giro d’Italia, qualche atleta si drogava, sbattè la porta e il ciclismo italiano si ritrovò senza il suo maggiore sponsor, che amava ripetere: «Sa perché ho nel sangue la bicicletta? Perché come diceva Albert Einstein: «La vita è come andare in bicicletta: se vuoi stare in equilibrio devi muoverti»».
Ai pedali ha sostituito il pallone. Quando i suoi clienti ceramisti (gli imprenditori della piastrella utilizzano i collanti che lui produce) gli hanno proposto di diventare presidente del Sassuolo, piccolo club in serie C, lui ha risposo sì, aggiungendo: però dovete convincere anche mia moglie. La delegazione di industriali sassolesi s’è presentata dalla signora e alla fine ha avuto l’agognato consenso insieme a un cospicuo assegno per rinforzare la squadra che ha subito vinto il proprio campionato, accasandosi in serie B, e ora (sabato giocherà l’ultima partita ma è sufficiente un pareggio) arriva alla massima divisione. Non male per una città di appena 41 mila abitanti, un quartiere di Milano. Squinzi ha fatto, appunto, il miracolo. Tanto che sono arrivati a Sassuolo perfino i giornalisti del Wall Street Journal, non per illustrare ai lettori la vitalità imprenditoriale del distretto della ceramica ma quella del Sassuolo-calcio e del suo presidente. L’articolo incomincia così: «La città di Sassuolo, famosa al mondo per le sue piastrelle ceramiche, è una località della regione Emilia-Romagna di piccole dimensioni, tali che la sua squadra di calcio professionista non può nemmeno utilizzare il proprio stadio... In questo improbabile angolo d’Italia, la squadra sta facendo i preparativi per il grande giorno».
Lo anticipiamo: Squinzi sarà uno dei protagonisti televisivi del prossimo campionato di calcio. Da bravo provinciale non ama le perifrasi e parla a ruota libera. Ancora non è nell’Olimpo del pallone e ha già dato consigli a Silvio Berlusconi («Ogni tanto Berlusconi mi telefona e mi dice che Allegri non capisce niente, invece l’allenatore del Milan ha ragione») e fatto arrabbiare Moratti («Adottando certe politiche, poi si vede i risultati che si ottengono. Certo che gli interisti l’anno prossimo avranno il mercoledì e il giovedì liberi»).
Per dimostrare che vuole fare le cose sul serio anche in serie A ha pronto un assegno da 3 milioni di euro per comprare lo stadio di Reggio Emilia, orfano di squadra e quindi sottoutilizzato. Ne vogliono 4, ma lui sta tirando sul prezzo. Se gli fanno lo sconto lascerà lo stadio di Modena (dove ora gioca il Sassuolo, in affitto) e tenterà di dimostrare che anche in Italia è possibile fare business con uno stadio: ha un progetto per mettervi all’interno ristoranti, palestre, sale convegni.
Non è da tutti prendere una squadretta di dilettanti e portarla a giocare contro la Juventus. Ma non è da tutti (ed è un altro miracolo) neppure sconfiggere Sergio Marchionne, Luca di Montezemolo e un plotone di industriali piemontesi e lombardi e farsi eleggere presidente di Confindustria. Sì perché anche qui è partito quatto-quatto e ha conquistato voto su voto. Neppure un’inusuale affermazione di Marchionne a favore del suo avversario alla presidenza («se vince Alberto Bombassei riporto la Fiat dentro Confindustria») è riuscita a intralciarne il cammino. Ha galvanizzato i piccoli e medi imprenditori assicurandogli che avrebbe fatto fare a Confindustria una robusta dieta dimagrante, cioè meno spese per pagare meno quote. Poi ha intruppato le sue categorie, i chimici, i ceramisti, gli edili e Fedele Confalonieri gli ha portato editori e non solo. S’è presentato equidistante in politica, da ex-berlusconiano non pentito ma ravveduto. Aveva sostenuto Monti, salvo poi criticarlo per il troppo rigore e i conseguenti danni all’economia: «sono molto deluso. Dalla spending review mi aspettavo una semplificazione delle procedure burocratiche, nella realtà vedo solo ricadute sociali negative». Ora sostiene Letta e soprattutto il duo Saccomanni-Giannini. Con Prodi lo accomunavano alcune biciclettate (possiede una Colnago al carbonio) ma ora l’età (per entrambi, lui ha 68 anni, Prodi 73) si fa sentire. Poi non ha nascosto il disaccordo sulle barricate marchionniane contro il sindacato: sono 16 anni che non c’è uno sciopero nelle sue aziende e gli integrativi vengono firmati congiuntamente dai tre sindacati.
Certo, una volta eletto, di fronte al moloch confindustriale ha dovuto indietreggiare non poco. Ha partecipato anche a una riunione di redazione del Sole-24 ore per lanciare il messaggio: i conti sono tremendi, vi taglio ma con affetto. Ha addirittura chiesto conto dell’alto numero delle rese, troppa carta tornava indietro dalle edicole. Poi ha chiesto il costo dell’ufficio studi. E così via. Vorrebbe presentarsi all’assemblea confindustriale con qualche risultato concreto di risanamento, una sorta di spending review interna che però si sta dimostrando più faticosa del previsto.
Infine il miracolo imprenditoriale. Il suo gruppo, Mapei, è collocato nel cuore del settore delle costruzioni: produce collanti, adesivi, chimica per l’edilizia, fluidi per piastrelle e mosaici, sabbie, cementi speciali, polimeri, bitume, la colla bianca Vinavil. Fu il padre Rodolfo a fondare la Mapei 75 anni fa: mai un bilancio in rosso e nonostante il crollo dell’attività immobiliare in tutto il mondo lui è riuscito a far crescere il fatturato 2012 del 4 % (facendogli superare i 2 miliardi di euro). Merito di due scelte strategiche, l’internazionalizzazione spinta (58 stabilimenti con 7.500 dipendenti) e la ricerca finalizzata a prodotti ecosostenibili. Ma anche della decisione, di cui va fiero, di una struttura di comando tutta familiare (al suo fianco ci sono la moglie Adriana e i figli Marco e Veronica: non c’è consiglio d’amministrazione), con buona pace degli economisti che sostengono la necessità per il capitalismo italiano del passaggio dal familismo al management e di quelli che predicano l’utilità della borsa: «sarò un talebano –dice- ma sono per una distinzione molto netta tra i due ruoli di imprenditore finanziario e imprenditore industriale. Mi pare che il modello renano, l’intreccio banche-imprese, sia crollato miseramente. Noi non li facciamo nemmeno sedere i private equity». In tutto questo rappresenta l’emblema dell’industriale italiano tipo, tutto fabbrica e famiglia (lui inorridisce se gli si parla di bungabunga) e con piazza affari tenuta a debita distanza, con in più, adesso, la passione per il calcio e qualche grattacapo con la Guardia di finanza che gli ha contestato 30 milioni di omesse dichiarazioni e deduzioni improprie. Sì, è proprio il clichè dell’imprenditore italiano, che sabato sventolerà dalla tribuna d’onore la bandiera del Sassuolo. Perfetto. L’unico miracolo che non gli è ancora riuscito è forse il più importante: mettere il peso di Confindustria a trainare la ripresa.