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 2013  maggio 16 Giovedì calendario

“NOI, COSTRETTI A VIVERE ASSEDIATI” TRA GLI OPERAI DEL CANTIERE TAV MINACCIATI SUL WEB DOPO LE MOLOTOV

TORINO — Era successo una mattina, all’improvviso, durante la lezione. Di fronte agli altri bambini, la maestra aveva chiesto a Luca: «Tuo papà lavora al cantiere del Tav? Ma lui è favorevole? E perché? Non sa che siamo tutti contrari?». Luca, 8 anni, non aveva saputo che cosa rispondere. «Quel giorno — racconta Giovanni — mi sono arrabbiato davvero. Sono andato a chiedere spiegazioni e la maestra mi ha risposto: “Non si preoccupi, è suo figlio che ha equivocato”. Sarà. Ma da allora ho detto a Luca: “Quando ti chiedono se papà lavora al cantiere di Chiomonte rispondigli che lavora senza dirgli dove”».
Ci sono episodi che colpiscono di più di una molotov. Sono le tante storie personali dei 65 valsusini che lavorano al cantiere della Tav. Persone in carne e ossa, che, come Giovanni, avevano accolto con soddisfazione l’inizio dello scavo. Non per ragioni ideologiche: «Ho fatto il mio lavoro nei cantieri di ogni parte d’Italia, dalla Sicilia al Brennero. Finalmente, mi sono detto, se ne apriva uno vicino a casa. Lavoro per 1.300 euro al mese. Non potevo immaginare che sarebbe stato un inferno. Non solo dentro il cantiere, ma soprattutto fuori». Sessantacinque valsusini assediati in una valle assediata.
Quelli come Giovanni «sono la dimostrazione di quanto facilmente un uomo si possa vendere per trenta denari... La loro scelta egoista li mette fuori dalla loro comunità e li condanna meritatamente a una difficile convivenza sul territorio». Perché «c’è lavoratore e lavoratore. Per esempio ci sono i crumiri». L’autore di questo testo, che ieri è stato acquisito dalla Digos, non è un anonimo. Si chiama Fabrizio Salmoni, laureato in Storia Americana a Torino, e, tra le altre cose, «studioso di storia militare », come ha scritto sul suo blog, uno dei siti più seguiti dal movimento. Che cosa significa «difficile convivenza sul territorio»?
Non è necessario arrivare agli episodi clamorosi come l’agguato notturno a T. A., atteso la scorsa settimana all’uscita dall’autostrada e preso a sassate perché colpevole di lavorare alla galleria di Chiomonte. «Episodio grave — racconta Giovanni — purtroppo il più grave di una lunga serie». Perché bisogna riuscire ad arrivarci al cantiere: «Se ti presenti con la tua auto al cancello principale, devi essere sicuro che non ci siano loro. Se ci sono, se li vedi, devi essere svelto, fare retromarcia, e andare a prendere l’autostrada. Ti fai trenta chilometri in più, paghi il pedaggio e poi riesci a entrare dall’ingresso secondario». Chi sono “loro”?: «Sono quelli che stazionano li davanti. Se arrivi, prima che il cancello si apra e i carabinieri, da dentro, ti facciano entrare, “loro” ti insultano, ti strappano gli specchietti, ti rigano la macchina. Meglio non avvicinarsi».
Capita anche di peggio. T. A., l’operaio aggredito una settimana fa, era stato bloccato a poche centinaia di metri dall’ingresso principale e minacciato da una trentina di persone a volto coperto: «Sappiamo dove abiti, sappiamo chi è tua moglie, stai attento». «La valle è piccola — racconta Giovanni — tutti ci conosciamo, tutti sanno tutto di chiunque. Così è diventato normale che mentre sei al cantiere a lavorare arrivino i No Tav alle reti e urlino il tuo nome, il tuo indirizzo prima di insultarti. Ti gridano: “Stai attento, veniamo a prenderti a casa”. Non sei mai al sicuro. Quando esci e vai al bar devi sempre pensare a chi potrai incontrare. Una volta ci si divideva per il tifo calcistico. Adesso ti chiedono subito se sei pro o contro la Tav». E se sei pro? «In quel caso sei spesso una minoranza e ti trattano come un cittadino di serie B. Vai nell’ufficio postale, a scuola dei figli, addirittura all’ospedale. Ti sfottono, te la fanno trovare lunga, come si dice da queste parti». E se protesti, come scrive Salmoni sul suo blog, diventi uno di quelli «che piagnucolano ogni volta che incappano in qualche incidente».
Non è facile fare questa vita. Anche perché non dovrebbe essere richiesto l’eroismo per fare l’autista di camion o il montatore di impianti. Giovanni lo dice esplicitamente: «Io non sono un militante, sono un operaio. Vado al cantiere per lavorare, mica perché sto facendo una battaglia ideologica». I 110 operai lavorano in gran parte per ditte in appalto e si avvicendano per continuare a lavorare 24 ore su 24. Ora
che lo scavo della galleria geognostica è arrivato a un centinaio di metri si lavora più tranquilli, riparati nel cuore della montagna. Certo, ogni tanto bisogna andare a prendere il materiale all’esterno.. Oltre a polizia e carabinieri servirebbe qualcuno in valle che aiutasse a superare questo clima di paura e di intimidazione. Ma anche chi avrebbe l’autorità per farlo, preferisce nascondersi. È successo all’inizio di dicembre quando il vescovo di Susa, Alfonso Badini Confalonieri, ha scelto di seguire la strada tracciata nel Seicento da un parroco comasco, don Abbondio, rifiutando addirittura di celebrare la Messa di Santa Barbara al cantiere di Chiomonte: «La Chiesa — si era giustificato il monsignore — è al di sopra della Tav e non vuole farsi tirare in questa storia». E con questa coraggiosa premessa aveva anche impedito che arrivasse un sacerdote da fuori diocesi a presiedere la scottante cerimonia.
Storie di ordinaria follia che spiegano perché bisogna citare solo le iniziali di T. A.. Spiegano perché uno degli imprenditori che hanno subito danni ai macchinari, che hanno sopportato l’incendio dei camion, ormai preferisce tacere: «Non faccio più interviste. Le chieda agli altri, dividiamoci la responsabilità. Se no finisce che attaccano solo la mia ditta». E spiegano anche perché Giovanni, in realtà, si chiama in un altro modo: «Chiedo l’anonimato perché abbiamo paura. Prima di rispondere alle sue domande ne ho parlato con mia moglie. Abbiamo due figli piccoli, siamo minacciati. Non mi va di stare zitto perché non posso credere che queste cose siano diventate la normalità. Ma non posso mettere a rischio l’incolumità della mia famiglia, spero che mi possa capire». Alla fine della giornata, l’ennesima giornata di esasperazione, viene da chiedersi: ma qual è la valle che resiste? Quella che assedia il cantiere o quella che ci lavora dentro?