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 2013  maggio 11 Sabato calendario

PONCHO, CHITARRA, LAZO DALLA TERRA DEL PONTEFICE

Poncho, chitarra, lazo, speroni d’argento: bastano pochi elementi per identificare il personaggio simbolo delle pampas argentine. Ora il guardiano delle praterie arriva in Vaticano, celebrato in una mostra che sarà inaugurata il 17 maggio nel Braccio di Carlo Magno e che presenta per la prima volta in Italia il grande patrimonio artistico del popolo argentino in oltre duecento opere tra dipinti, fotografie antiche, ori, argenti, tessuti, documenti storici. «Un omaggio a papa Francesco, alla sua terra, alle sue origini italiane», recita il comunicato degli organizzatori. In realtà l’idea risale a due anni fa, molto prima che Bergoglio venisse eletto al soglio pontificio, nata da un accordo tra le istituzioni argentine e Artifex, la società che aveva portato a Buenos Aires la rassegna «Meraviglie dalle Marche».L’esposizione, intitolata «Argentina. Il gaucho, tradizione, arte e fede» e curata da Roberto Vega Andersen, resterà aperta fino al 16 giugno (ingresso gratuito). Il percorso si snoda tra immagini che raccontano il lavoro del gaucho sullo sfondo di paesaggi sconfinati, manufatti in oro e argento spesso tempestati di pietre preziose e creati da artisti che appresero l’arte dell’oreficeria importata dagli spagnoli, poncho realizzati in lana, seta, cotone, vigogna. In un paese che trae il proprio nome dalle più grandi miniere del mondo, il prezioso metallo veniva usato senza risparmio perfino dai contadini per utensili domestici, per accessori personali come fibbie, speroni, staffe, o per i finimenti dei cavalli. Erano spesso in argento addirittura gli erpici per dissodare il terreno. E intessuti d’oro e d’argento gli stendardi, come quello esposto, realizzato nel 1934 per la cattedrale di Buenos Aires da Carlos Pallarols Cuni, rampollo della più famosa stirpe di orafi di origine catalana, che si stabilirono a Buenos Aires agli inizi del Novecento producendo per sette generazioni un flusso ininterrotto di oggetti di alta gioielleria.Di opera in opera si risale alle origini del leggendario cavallerizzo, indigeno evangelizzato comparso nelle estancias dei gesuiti che fornivano il bestiame alle missioni amministrate dalla Compagnia di Gesù. Nasce da qui la sua personalità ribelle ma rispettosa di un codice proprio di giustizia e di fede. Personalità forgiata in seguito nelle pampas rioplatensi, territori immensi dove i pochi cavalli e bovini abbandonati dalle prime spedizioni europee si moltiplicarono senza limiti, fornendo cibo a chi ne aveva bisogno. Quando la caccia indiscriminata cominciò a far calare la quantità di bestiame, le autorità spagnole istituirono un controllo sul territorio affidandolo ai cavallerizzi più abili. I gauchos conoscevano ogni segreto delle pianure, che attraversavano in lungo e in largo equipaggiati di un cavallo, di un laccio e di un coltello. Mangiavano carne arrostita e bevevano mate amaro. Il loro esotismo attirò l’attenzione di pittori e disegnatori stranieri e, più tardi, di fotografi, che arrivarono a Río de la Plata e si misero a ritrarre paesaggi e persone fino ad allora sconosciuti nell’emisfero nord. Infine il gaucho fu consegnato alla leggenda. Nel 1872 José Hernández, politico, guerriero e giornalista, si chiuse in una stanza dell’Hotel Argentino, davanti al porto di Buenos Aires e scrisse di getto quello che diventerà il poema più importante del paese, «El Gaucho Martín Fierro», i cui primi esemplari stampati si possono vedere in mostra.
Lauretta Colonnelli