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 2013  maggio 03 Venerdì calendario

UN TESORO DAL DEPOSITO: IL POLITTICO DEGLI ZAVATTARI

Ancor prima dell’inaugurazione della mostra sul Polittico degli Zavattari, davanti alla porticina che permette di accedere alla sala della Cagliostra, in Castel Sant’Angelo, ieri mattina c’era già una lunga fila di visitatori. L’attrazione è duplice: un’opera suddivisa in sette tavole che viene ricomposta interamente dopo più di un secolo e l’apertura al pubblico dell’appartamento in cui il conte di Cagliostro fu tenuto prigioniero per sedici mesi, dal 27 dicembre 1789, con le accuse di eresia, massoneria e stregoneria. L’appartamento era chiuso «da sempre per mancanza di personale», come ricorda Maria Grazia Bernardini, direttrice del museo. Il Polittico giaceva nei depositi. Ora sarà visibile fino al 19 maggio, in questa mostra che rievoca le vicende delle sette tavole di cui l’opera è composta e presenta i risultati dei restauri appena compiuti.Il dipinto è considerato una delle testimonianze più importanti della pittura lombarda di metà del Quattrocento. Ce ne sono infatti pochissimi di queste dimensioni: due metri e mezzo di larghezza per uno e mezzo di altezza. Notevole anche la preziosità della tecnica esecutiva. Rappresenta la Vergine col Bambino, affiancata a sinistra da sant’Ambrogio, san Vittore e Giovanni Battista; a destra da san Pietro, sant’Antonio Abate e san Benedetto. Le prime cinque tavole giunsero a Castel Sant’Angelo nel 1928, donate da Alessandro e Vittoria Contini e racchiuse in una cornice gotica che però, si scoprì, era stata realizzata nell’Ottocento. Le ultime due, raffiguranti sant’Antonio e san Benedetto, erano andate disperse. Nel 1957 il critico Roberto Longhi le individuò nella collezione privata dei Cecchi Bracci, le riconobbe come scomparti appartenenti alla stessa opera delle cinque già conosciute e attribuì l’intero polittico agli Zavattari, attivi a Milano tra il Quattrocento e il Cinquecento e considerati tra i massimi esponenti del gotico cortese in Lombarda. Il capostipite della bottega si chiamava Cristoforo, fu padre di Franceschino e nonno di Gregorio, Giovanni e Ambrogio. Longhi arrivò a questa famiglia di artisti mettendo a confronto il polittico con una loro opera autografa del 1444: il ciclo di affreschi che illustra le Storie di Teodolinda nel Duomo di Monza. Resta sconosciuta la destinazione originaria del dipinto, sebbene qualcuno abbia ipotizzato che fosse stato commissionato per ornare l’altare del Duomo di Milano, per via della presenza di sant’Ambrogio e san Vittore, venerati entrambi nel capoluogo lombardo.Molto probabilmente il polittico fu smembrato a fine Ottocento, con l’intento di vendere più facilmente le singole tavole sul mercato antiquario. Le ultime due sono state acquistate dal museo di Castel Sant’Angelo nel Duemila e sottoposte a restauro. Laura Cibrario e Fabiola Jatta, che hanno seguito i lavori con la collaborazione di Giancarlo Di Gaetano, hanno ritrovato sotto lo strato pittorico il disegno preparatorio tracciato col carboncino a mano libera e le incisioni realizzate con una sottile punta metallica per delimitare le dorature. Alcuni particolari, come le aureole e i simboli iconografici dei santi, furono eseguiti a rilievo in pastiglia e poi coperti con una lamina d’oro o d’argento. Le cinque tavole donate nel 1928 erano state restaurate già nel 1969 da Gianluigi Colalucci, che aveva rimosso la cornice pseudo gotica. Ieri, dei ricercatori dell’Università La Sapienza hanno annunciato di aver scoperto in un archivio una vecchia foto con il polittico integro racchiuso nella cornice originaria. Il Polittico resterà dunque esposto fino alla fine della mostra, poi i visitatori del Castello potranno continuare a vederlo nella vicina sala del Perseo. La Cagliostra invece sarà di nuovo chiusa. Edificata intorno al 1543 e concepita in origine come una loggia sovrapposta a quella di papa Paolo III Farnese, si raggiunge dalla sala della Biblioteca salendo una scala stretta e ripida. Le arcate, che nel Cinquecento affacciavano verso Prati, furono chiuse nel corso del Settecento per creare una prigione destinata a detenuti di riguardo. Le altre tre pareti, restaurate negli anni Ottanta, sono ancora ricoperte interamente dagli affreschi eseguiti tra il 1545 e il 1546 da Luzio Luzi e Perin del Vaga, che idearono un’architettura con motivi a grottesche, aperta verso paesaggi popolati da figure fantastiche. Il nome la Cagliostra deriva dal fatto che vi fu rinchiuso il celebre alchimista, noto come Conte di Cagliostro, in realtà un Giuseppe Balsamo di umili origini palermitane che dopo una vita in giro per le corti d’Europa, apprezzato dai regnanti per le sue doti di taumaturgo, si mise in testa di lanciare una sfida alla Chiesa cattolica e arrivò a Roma per fondare una loggia massonica di rito egiziano. Conseguenze: arresto, processo, condanna a morte, commutazione della pena in ergastolo da parte di Pio VI, trasferimento nel carcere di San Leo, in Romagna, dove morì nel 1795.
Lauretta Colonnelli