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 2013  aprile 24 Mercoledì calendario

SOGNI E MEMORIE

Nel 1974 Luigi Ghirri fotografò il cielo. Uno scatto al giorno, per ognuno dei 365 giorni, ovunque si trovasse. Poi incollò le immagini su pannelli di cartone, in piccolo formato, senza tener conto dell’ordine dell’esecuzione e intitolò la serie Infinito. Scrisse: «Ho voluto costruire un possibile atlante cromatico del cielo; 365 possibili cieli. Così formulato il lavoro può suggerire una impossibilità a fotografare, è invece in questa non possibile delimitazione del mondo fisico, della natura, dell’uomo che la fotografia trova validità e senso». Ci sono anche un paio di questi pannelli nella mostra «Luigi Ghirri. Pensare per immagini. Icone Paesaggi Architetture», inaugurata ieri al Maxxi, dove resterà aperta fino al 27 ottobre. E rappresentano un po’ l’emblema dell’intera esposizione: minuscole stampe che aprono lo sguardo su spazi immensi.Conoscendo l’opera di Ghirri era difficile immaginare come sarebbero riusciti ad allestire una mostra con i suoi scatti riprodotti sempre in piccolo formato nei saloni monumentali progettati da Zaha Hadid. E invece la rassegna, organizzata da Margherita Guccione e curata da Francesca Fabiani, Laura Gasparini e Giuliano Sergio, si espande lungo le bianche pareti del museo trasformandosi in un lungo affascinante racconto sull’universo del fotografo emiliano, scomparso improvvisamente nel 1992 a soli 49 anni. «Mi interessa l’architettura effimera - scriveva - il mondo della provincia, gli oggetti che tutti definiscono kitsch e che per me non lo sono mai stati, oggetti carichi di desideri, di sogni, di memorie collettive. E gli altri miei oggetti di sempre: finestre, specchi, stelle, palme, e gli atlanti, i mappamondi, i libri, i musei, le immagini e le persone che attraversano le immagini».C’è tutto questo nel percorso della mostra: gli oggetti di cui si circondava, dai dischi alle cartoline, dalle collezioni di foto anonime alle testimonianze che documentano la sua attività anche di editore, curatore di eventi, animatore culturale, teorico della fotografia, appassionato della musica e amico di musicisti come Lucio Dalla e la band dei Cccp. Gli oltre trecento scatti esposti si alternano a brani dei testi che Ghirri ha scritto nel corso degli anni, a cominciare dai primi Settanta, quando abbandonò l’attività di geometra e cominciò a fotografare.Si passa dai paesaggi marini alle architetture di Paolo Portoghesi e Aldo Rossi, dalle persone riprese di spalle o con gli occhi velati dal fumo di una sigaretta ai cartelloni pubblicitari in cui entrano ironicamente corpi estranei cambiandone il significato, dai giardini ai monumenti, dai boschi alle sale d’attesa nelle stazioni, dagli scorci di città alle vedute di strade che corrono via deserte, dal luna park ai cortili di vecchie abitazioni popolari, dal disegno tracciato sul muro dai rami di un rosaio rampicante alla serie di serrande, porte, finestre, tapparelle. Ci sono sentieri sotto la neve, case immerse nella notte dei campi con pezzetti di luce che filtrano dalle imposte socchiuse, fiumi che riflettono nuvole. C’è lo studio di Giorgio Morandi, con un velo di polvere che appanna le celebri bottiglie. Ghirri riesce a trasmettere una sensazione di speranza perfino quando fotografa i luoghi più estranianti e disperati, come certe strade alla periferia di New York dove però sembra di sentire sulla pelle il calore allegro del sole. Ovunque si respira il silenzio e una dolcissima solitudine.
Lauretta Colonnelli