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 2013  maggio 15 Mercoledì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - IL PIL TRIMESTRALE È CALATO PER LA SETTIMA VOLTA CONSECUTIVA


MILANO - L’Italia non riesce a rialzare la testa e resta in profonda recessione. Nel primo trimestre 2013, il Pil è caduto dello 0,5% rispetto ai tre mesi precedenti e del 2,3% sullo stesso periodo dello scorso anno: è il settimo trimestre consecutivo in calo. Una recessione così lunga non si era verificata dal primo trimestre del 1990, ma soprattutto significa che l’Italia non registra alcuna crescita economica dalla seconda metà del 2011. Peggio: ancora una volta i dati rilevati dall’Istat sono più negativi delle attese degli economisti. Gli addetti ai lavori avevano previsto un calo dello 0,4% rispetto alla fine dello scorso anno e del 2,2% sui primi tre mesi del 2012. A fine marzo, quindi, la variazione acquisita per l’anno in corso è dell’1,5%, in negativo: si tratta del calo del Pil in assenza di qualunque aggiustamento fino da qui alla fine dell’anno.
L’unico aspetto positivo rilevato dalle stime dell’Istat è l’attenuarsi del calo rispetto all’ultimo trimestre 2012 (-0,9% sul periodo luglio-settembre) e sull’anno precedente (-2,3% contro il -2,8%). Nel dettaglio, il calo congiunturale è la sintesi di una diminuzione del valore aggiunto nei comparti dell’industria e dei servizi e di un aumento nel settore dell’agricoltura.
La debolezza dell’Italia risulta ancora peggiore se confrontata con le performance dei Paesi anglosassoni. Nel confronto con il trimestre precedente, il Pil Usa è salito dello 0,6% e quello inglese dello 0,3%. In Europa, invece, si mette in evidenza il lieve progresso della Germania (+0,1%), seppure sotto le attese, che si confronta con l’ingresso in recessione della Francia in calo dello 0,2%. Si tratta della seconda recessione in un anno. L’ingresso della Francia in zona recessione "non è una sorpresa": è "largamente dovuto al contesto dell’area euro", sono state le parole del ministro dell’economia francese Pierre Moscovici, che ha assicurato che il Paese manterrà al tempo stesso la previsione di una crescita dello 0,1% nel 2013 e il suo obiettivo di invertire la curva della disoccupazione entro l’anno.
Eurozona. Nel primo trimestre 2013 il Pil è diminuito dello 0,2% nell’Eurozona (Ue a 17) e dello 0,1% nella Ue a 27, rispetto al trimestre precedente. Nel quarto trimestre 2012, secondo le stime di eurostat, i tassi di crescita erano rispettivamente pari a -0,6% e -0,5%. Nel confronto con il primo trimestre 2012 il Pil (al netto delle variazioni stagionali) è sceso nel primo quarto 2013 dell’1% nell’area euro e dello 0,7% nella Ue27, dopo i -0,9% e -0,6% del quarto trimestre 2012.
(15 maggio 2013)

BORSE EUFORICHE
MILANO - Seduta euforica per Piazza Affari a dispetto dai deboli segnali arrivati dal fronte macroeconomico: la Francia è tornata in recessione, la Germania ha evitato per un soffio il calo del Pil nel primo trimestre dell’anno (appena +0,1%) e l’Italia ha archiviato il settimo trimestre consecutivo in discesa. E, come se non bastasse, Moody’s mette in guardia dai facili ottimismi: "La ripresa mondiale sta perdendo forza" si legge nell’aggiornamento del suo rapporto macro economico al 2014. L’agenzia di rating prevede un aumento del Pil nei Paesi del G20 dell’1,2% nel 2013 contro +1,9% stimato a febbraio e sottolinea che l’Eurozona continuerà ad attraversare una fase di recessione mentre negli Usa peseranno i tagli lineari del bilancio pubblico. La Cina, invece, proseguirà nella sua crescita, mentre nei paesi emergenti il Pil salirà del 5,5% nel 2013.
Insomma, a livello macroeconomico le Borse avrebbero pochi elementi per gioire, ma l’euforia continua a farla da padrona sui mercati. E così dopo una seduta in altalena Milano chiude in rialzo dell’1,03% ai massimi dallo scorso 29 gennaio. Insomma Piazza Affari resta maglia rosa del Vecchio continente e pure Wall Street non si lascia condizionare dall’ondata di dati negativi arrivati dagli Usa: dal calo dei mutui nella scorsa settimana (-7,3%) alla discesa dell’indice Empire a -1,43 punti dal +3,05 punti ad aprile, dalla contrazione dei prezzi alla produzione (-0,7%) alla produzione industriale (-0,5%). In questo contesto dopo il record di ieri, il Dow Jones è in rialzo dello 0,2% come l’S&P 500 aggiornando i nuovi massimi, mentre il Nasdaq recupera lo 0,3% si porta ai massimi da giugno 2000, quando era in piena bolla da New economy. A Piazza Affari tra i singoli titoli brillano Mps dopo l’annuncio di conti migliori delle attese e Mediaset che nella trimestrale pubblicata ieri ha lasciato intravedere la fine del crollo della pubblicità.
Nel resto del Vecchio continente Londra ha guadagnato lo 0,1%, Parigi lo 0,33% e Francoforte lo 0,23%. L’euro ha chiuso in calo a 1,2858 dollari e 131,50 yen, prossimo ai minimi di seduta, mentre lo spread è rimasto stabile a quota 263 punti con i titoli di Stato italiani che rendono il 4%. Il tutto nonostante sul fronte macroeconomico si sia registrata la stagnazione dell’economia tedesca cresciuta solo dello 0,1% nel primo trimestre dell’anno rispetto ai precedenti tre mesi, dopo aver registrato un +0,7% nel quarto trimestre dell’anno scorso (dato rivisto dall’iniziale +0,6%). Su base annua, però, il PIl della Germania cala dell’1,4%, dopo essere rimasto invariato nel quarto trimestre. La Francia, invece, è entrata in recessione, con un calo dello 0,2% del Pil: si tratta del secondo trimestre consecutivo cui fa il paio la perdita del potere d’acquisto delle famiglie francesi. Lo scorso anno è sceso a un record negativo dello 0,9%. L’Ocse rileva un nuovo record per la disoccupazione nell’Eurozona al 12,1% a marzo dal 12% di febbraio.
Bene anche la Borsa di Tokyo che ha terminato questa mattina gli scambi in rally avanzando del 2,29%: l’indice Nikkei si attesta ai massimi da dicembre 2007, superando quota 15.000 fino ad attestarsi a 15.096,03 punti. Sul fronte delle materie prime, il petrolio è in calo sotto quota 93 dollari, mentre l’oro è sceso sotto la soglia dei 1.400 dollari.
(15 maggio 2013)

DATI OCSE SULLE INEGUAGLIANZE
MILANO - Le ineguaglianze di reddito sono cresciute nei primi tre anni della crisi, dal 2007 al 2010, più che nei 12 anni precedenti. Nei paesi Ocse il 10% della popolazione più ricca ha un reddito 9,5 volte più alto di quello del 10% della popolazione è più povera, contro le 9 volte del 2007. In Italia il gap è 10,2 volte nel 2010 contro le 8,7 del 2007. Lo rivela l’Ocse in un’indagine nella qualle avverte che i tagli alla spesa nei paesi più avanzati rischia far aumentare ancora l’ineguaglianza e la povertà nel prossimi anni. Inoltre l’indagine mostra che sono soprattutto i più poveri i più colpiti dalla crisi. Il gap, nota l’Ocse, è più accentuato, in paesi come il Messico, il Cile, gli Usa, Israele e la Turchia, e minore in paesi come l’Islanda, la Slovenia, la Norvegia e la Danimarca.
Questi dati, secondo il segretario generale dell’Ocse, Angel Gurria, mostrano la necessità "di proteggere la parte più vulnerabile della popolazione, specie se i governi perseguono la necessità di tenere sotto controllo la spesa pubblica". "Occorre definire - prosegue Gurria - politiche per aumentare la crescita e l’occupazione, al fine di assicurare più equità, efficienza e inclusione. All’interno di queste politiche è essenziale una riforma dei sistemi fiscali per assicurare che tutti paghino una quota equa e ricevino e beneficino degli aiuti di cui hanno bisogno". Tra il 2007 e il 2010, nota l’Ocse, i risparmiatori più poveri tendono a guadagnare meno o a perdere di più di quelli ricchi. Il 10% dei ricchi ha guadagnato più del 10% dei più poveri in 21 dei 33 paesi Ocse. In base ai livelli di reddito percepiti prima della crisi i poveri sono aumentati. Le tasse e gli aiuti hanno mitigato questi andamenti, ma l’impatto "è vario".
Tra il 2007 e il 2010 la media dei redditi al di sotto dei livelli di povertà è salito dal 13% al 14% tra i bambini, dal 12% al 14% tra i giovani ed è sceso dal 15% al 12% tra le persone più adulte. Fino al 2010 i pensionati erano abbastanza protetti in molti paesi, mentre i lavoratori hanno subito i contraccolpi più forti. L’indice di povertà relativa nei paesi poveri è passato nei paesi Ocse dal 10,2% del 2007 all’1,1% del 2010. In Italia è passato dall’11,8% del 2004 al 13% del 2010.
(15 maggio 2013)

CHE SUCCEDEREBBE SE SI TAGLIASSE L’AUSTERITA’ (DANILO TAINO SUL CDS)
Per evitare che il dibattito sull’austerità diventi una danza attorno a un totem o a un tabù, vale la pena metterlo con i piedi per terra. Cercare di misurare cosa vuole dire: soprattutto immaginare cosa significherebbe, in termini di crescita economica, eliminare o modificare certe politiche europee che vengono considerate austere. L’ha fatto la società di analisi britannica Oxford Economics: il risultato è misto, nel senso che il differenziale di crescita varia parecchio da Paese a Paese e che, al fianco di un maggiore attività economica, politiche meno restrittive si trascinano alcuni rischi. Oxford Economics ha effettuato la stima immaginando di dimezzare in alcuni Paesi le misure di austerità previste, così come misurate dalle previsioni sui bilanci strutturali effettuate dal Fondo monetario internazionale.

Se ciò - Germania permettendo - avvenisse subito, il Prodotto interno lordo (Pil) dell’intera Eurozona aumenterebbe dello 0,2% nel 2013 e di un ulteriore 0,7% nel 2014 rispetto a quanto avverrebbe a politiche invariate: invece del previsto meno 0,6%, il calo del Pil sarebbe dello 0,4% quest’anno e la crescita sarebbe dell’1,7% invece che dell’uno per cento l’anno prossimo. Questo per l’insieme dei 17 Paesi dell’euro. I Paesi che di gran lunga ne trarrebbero il beneficio maggiore sono la Spagna e la Grecia. La prima conseguirebbe una crescita addizionale dello 0,8% già nel 2013 e addirittura del 2,5% nel 2014. Atene potrebbe invece registrare un più addizionale dello 0,5% quest’anno e del 2,3% il prossimo. L’Italia sarebbe invece nella media dell’Eurozona: una maggiorazione del Pil dello 0,2% nell’anno in corso e dello 0,7% nel 2014. Effetto simile, solo un po’ minore, per la Francia e per il Portogallo.

L’Irlanda guadagnerebbe poco subito ma quasi l’uno per cento l’anno prossimo. Infine, la Germania, la quale migliorerebbe il proprio Pil di meno dello 0,1% nel 2013 e aggiungerebbe solo lo 0,2% nel 2014. Differenze tra Paesi non da poco che, tradotte in politica, comportano diversi gradi di propensione dei governi nei confronti dell’allentamento delle politiche di bilancio rigorose. Dal punto di vista politico, la società di analisi di Oxford nota che una riduzione significativa della cosiddetta austerity sarebbe vista favorevolmente in numerosi Paesi, in particolare in Francia, dove il presidente François Hollande è stato eletto proprio su una piattaforma opposta alle politiche ispirate dalla Germania di Angela Merkel, e in Italia, dove il governo guidato da Enrico Letta ha messo tra i primi obiettivi quello di alleviare le politiche restrittive portate avanti dal governo Monti, a cominciare dal pagamento dell’Imu.

I modi per attivare politiche di bilancio più espansive potrebbero essere la rinuncia a nuove tasse e a nuovi tagli della spesa e l’allungamento dei tempi previsti assieme alla Ue per raggiungere gli obiettivi di deficit. D’altra parte, Parigi ha già rinviato al 2014 il rientro del deficit sotto il 3% del Pil e la Spagna di Mariano Rajoy dice che raggiungerà quell’obiettivo solo nel 2016, due anni dopo quel che aveva originariamente previsto. Il problema, per questi governi, è che la Germania continuerà a non essere d’accordo con un rilassamento delle misure di austerità, almeno fino alle elezioni tedesche del 22 settembre prossimo. Oltre alle difficoltà politiche che una svolta nelle scelte europee si porta dietro, Oxford Economics nota anche che non tutte le misure anti-austerità sono uguali. Gli incrementi di crescita calcolati, infatti, ci sarebbero solamente se «gli annunci non spingessero solo la fiducia ma si traducessero effettivamente in attività più forte». Inoltre, «c’è un pericolo che ogni alleggerimento dell’austerità sia meramente percepito essere il rinvio di misure ancora più drastiche - in particolar se i governi non usassero gli spazi creati per definire piani credibili di riduzione dei deficit ma semplicemente aumentassero di nuovo le spese». Ultimo rischio, non da poco: ogni allentamento dell’austerità si trascina la probabilità che le famose riforme strutturali delle economie dell’euro vengano congelate. Non sembra il caso di trattenere il fiato, insomma.
Danilo Taino

FRANCIA IN RECESSIONE
Francia in recessione. Il Prodotto interno lordo (Pil) francese ha evidenziato una contrazione dello 0,2% rispetto al trimestre precedente, peggiore del -0,1% atteso dal mercato. Si tratta di una recessione tecnica che corrisponde a un ribasso del Pil per due trimestri consecutivi. Su base annua la contrazione si attesta allo 0,4%, in linea con le previsioni. La Banque de France stima una crescita dello 0,1% nel secondo trimestre del 2013, mentre il governo francese mantiene la sua previsione di un progresso dello 0,1% sull’intero anno. E questi numeri hanno indotto, Francois Hollande, a commentarli al Paese. Il titolare dell’Eliseo ha definito, sì, la situazione è «grave», ma la recessione è «meno profonda rispetto al 2008 e 2009».
ANCHE LA GERMANIA CRESCE MENO - Anche i cugini tedeschi crescono meno. L’economia della Germania, la maggiore d’Europa, scampa per un soffio la recessione, ma cresce meno delle attese del mercato. La lettura relativa ai primi tre mesi dell’anno ha evidenziato un rialzo pari allo 0,1% su base trimestrale (consensus pari a un +0,3%), dopo che nel quarto trimestre del 2012 il Pil è stato rivisto al ribasso con una contrazione pari allo 0,7% annuo. La Bundesbank prevede una crescita dell’economia dello 0,4% quest’anno e dell’1,9% nel 2014. Sale l’attesa ora per i dati relativi al Pil italiano, in uscita alle ore 10.00, e quello dell’area euro, in agenda alle 11.00. Secondo le stime della Commissione europea, il Pil dell’Eurozona mostrerà una contrazione dello 0,4% quest’anno, con un -0,1% previsto nel primo trimestre del 2013.
Redazione Online

ILSOLE24ORE.IT
Continua apparentemente inesorabile l’arretramento del prodotto interno lordo italiano: nel primo trimestre del 2013, il Pil italiano - corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato - è infatti diminuito dello 0,5% rispetto al trimestre precedente e del 2,3% a confronto con il primo trimestre del 2012. Secondo l’Istat, che stamani ha diffuso gli ultimi dati aggiornati, la variazione acquisita per il 2013 - ovvero il risultato nel caso ci sia una variazione nulla fino alla fine dell’anno - è pari a -1,5%, mentre nel Documento di economia e finanza 2013 il Governo ha stimato una diminuzione dell’1,3 per cento.

Il calo congiunturale registrato nel primo trimestre dell’anno é il settimo consecutivo, e segna la peggior striscia negativa dall’inizio delle serie storiche. Per l’Istat, «si tratta di una situazione mai verificata a partire dall’inizio delle serie storiche comparabili, nel primo trimestre del 1990».
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Il calo congiunturale, spiega l’Istituto di statistica, è la sintesi di una diminuzione del valore aggiunto nei comparti dell’industria e dei servizi e di un aumento nel settore dell’agricoltura. Il primo trimestre del 2013 ha avuto lo stesso numero di giornate lavorative del trimestre precedente e una giornata lavorativa in meno rispetto al primo trimestre del 2012. Nel confronto con il trimestre precedente, il Pil è aumentato dello 0,6% negli Stati Uniti e dello 0,3% nel Regno Unito. In termini tendenziali, si è registrata una crescita dell’1,8% negli Stati Uniti e dello 0,6% nel Regno Unito.

CREDITI DELLE IMPRESE DA SALDARE
Il decreto pagamenti va avanti su due binari paralleli. Mentre la Camera ha dato il primo via libera parlamentare allo sblocca-debiti, dall’Economia arriva il provvedimento attuativo che ripartisce i primi 4,5 miliardi di «spazi finanziari» svincolati dal Patto di stabilità sulla base delle richieste fatte pervenire entro il 30 aprile scorso. Di questi, 3,5 miliardi andranno ai Comuni e circa un miliardo finirà invece alle Province.

Il decreto del ministero, che sarà pubblicato nelle prossime ore sulla «Gazzetta Ufficiale», è giunto dunque al traguardo nei termini. La prima tranche di liquidità (4,5 miliardi complessivi) doveva arrivare entro il 15 maggio e così è stato. Il primo elemento che balza agli occhi è che all’appello mancano circa 700 milioni. Di questi, 500 milioni sono indirizzati ai Comuni, che tramite la piattaforma della Ragioneria generale dello Stato avevano chiesto oltre 4 miliardi, e 200 per le Province, che avevano chiesto spazi per quasi 1,2 miliardi.
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Debiti Pa/Tempi di pagamento

documenti

I pagamenti sbloccati Comune per Comune e Provincia per Provincia

La loro assenza è comunque temporanea, perché per ottenerli gli enti locali dovranno aspettare il decreto ministeriale che deve distribuire i restanti 500 milioni di allentamento del Patto di stabilità previsto dallo sblocca debiti; e che deve arrivare entro il 15 luglio. Ma, numeri alla mano, neanche quell’atto basterà visto che dovrà tenere conto delle nuove richieste fatte eventualmente pervenire da sindaci e presidenti di Provincia entro il 5 luglio. Per cui bisognerà ricorrere agli spazi aggiuntivi di liquidità previsti dal Patto verticale incentivato da 1,2 miliardi (su cui si veda articolo qui sotto).
Tornando al decreto emanato ieri, non è tanto il testo a essere importante, visto che si limita a ricordare che la ripartizione avverrà in due tranche e che, nel procedere alla ripartizione, sono stati rispettati i criteri decisi la scorsa settimana in Conferenza Stato-città. A cominciare dalla corsia preferenziale accordata ai debiti di conto capitale non estinti alla data dell’8 aprile rispetto a quelli che nel frattempo sono stati pagati. Tant’è vero che alle Province per la prima categoria sono stati riconosciuti 719 milioni contro i 298 della seconda.
Il cuore del provvedimento è nelle 117 pagine di allegato che elencano i pagamenti relativi a debiti certi a fine 2012 liberati dalle grinfie dei vincoli finanziari in ogni Comune e in ogni Provincia, distinti nelle due tipologie: quelli ancora da effettuare e quelli (per 1,25 miliardi di euro) che sono già stati onorati nei primi mesi di quest’anno e che vengono esclusi ex post dai calcoli del Patto.
L’entità dei bonus, e la loro distribuzione fra debiti pagati e non pagati, sono un ottimo indicatore dello stato di salute dei diversi enti locali e soprattutto dell’altezza raggiunta dalla massa di arretrati che si è accumulata nelle loro casse. Tra i capoluoghi di Regione, il via libera più significativo arriva a Venezia, che si aggiudica 124,4 milioni di euro divisi quasi equamente fra pagamenti ancora in attesa e fatture già saldate. Napoli arriva appena dopo, con 115,1 milioni di euro, ma nel caso del capoluogo partenopeo l’82,5% delle risorse servono ad accompagnare fatture ancora incagliate. Più o meno identica la distribuzione a Roma, che ottiene 55,5 milioni contro i 93,2 destinati a Milano.
Tra i municipi in condizioni migliori spicca invece Bologna, che ha chiesto poco e libera 3,7 milioni, e di Trento, che riceve un bonus da 3,6 milioni quasi tutti relativi a fatture che comunque sono già state pagate dal Comune (gioie dell’applicazione flessibile del Patto nelle Regioni a Statuto speciale del Nord, come confermano i numeri di Trieste e addirittura l’assenza dalla partita di Bolzano): a Campobasso, invece, l’intera somma prevista dal decreto è riservata a debiti ancora da pagare. Tra le Province, la dote più consistente arriva a Milano (132,8 milioni), che doppia Roma (66,3).

I DATI SULL’OCCUPAZIONE DI CORRIERE.IT/BRESCIA (RAFFRONTO CON LA GERMANIA)
Sulla rete, da qualche giorno, rimbalza un’immagine satirica. Ritrae il Quarto Stato , il famoso quadro di Giuseppe Pellizza da Volpedo oggi al Museo del Novecento a Milano, da dietro. Un po’ come il lato b di In the Evening dei Led Zeppelin, i lavoratori - il quarto stato - girano la schiena allo spettatore. Se ne vanno.
Metafora neanche troppo sottile, in questo Primo maggio del lavoro senza lavoro, dell’amara eredità che il quinto anno di crisi consegna a un’Italia lacerata dalle divisioni e vittima, come ha scritto Gian Antonio Stella ieri sul Corriere , del «presentismo», cioè dell’ossessione tutta politica di un consenso immediato che ha bloccato il paese.

(Fotogramma/Bs)(Fotogramma/Bs)
Martedì mentre il nuovo governo incassava la fiducia al senato e il premier Letta volava in Germania per incontrare la cancelliera Merkel, l’Istat rendeva nota l’ennesima, ultima brutta notizia sul fronte occupazionale: persi in un anno 248 mila posti di lavoro, con la disoccupazione giovanile, a marzo, che sale al 38,4%, inchiodando il dato generale dei jobless all’11,5 per cento. Numeri che fanno male, il primo maggio. Ma che fanno ancora più male se messi a paragone con il trend tedesco: ieri, infatti, la Frankfurter Allgemeine Zeitung annunciava che Berlino, dopo cinquant’anni, si avvia a raggiungere il traguardo della piena occupazione (che equivale per la cronaca a una percentuale di disoccupati al di sotto del 4%).
Se fosse solo una questione di numeri, e se dietro i numeri non ci fossero le persone, Brescia ne uscirebbe ancora a testa alta. Nel 2012 infatti (manca per ora il dato sul primo trimestre 2013) la disoccupazione sul territorio provinciale ha raggiunto il 6,8%, meno della Lombardia (7,5%) e molto meno della media nazionale (10,7%, schizzata oggi all’11,5). Fin qui, fallacemente confortante, l’asse sincronico della statistica. È invece la prospettiva diacronica che spaventa. E che restituisce tutta la gravità della situazione che terziario e industria manifatturiera stanno vivendo.

Dal 2008 a oggi, infatti, il livello di disoccupazione registrato in provincia è più che raddoppiato: era al 3,1% prima del crac Lehman Brothers e oggi ci ritroviamo al 6,8. Stessa dinamica per i lavoratori under 35 (dal 3,1 al 5,9%) e per gli over 35 (dal 2,7 al 5,4%). La sintesi è fin troppo chiara e drammatica: in cinque anni il sistema Brescia è passato dalla piena occupazione all’emergenza lavorativa. Lo sanno bene i sindacati che, sotterrata - almeno per il momento - l’ascia di guerra, scenderanno in piazza oggi dalle 9,30 per manifestare uniti. E lo sanno anche gli industriali, i quali insistono sul fatto che questo primo maggio debba legare aziende e lavoratori perché, spiega il presidente di Aib Giancarlo Dallera, «imprenditori e collaboratori vivono lo stesso dramma, soffrono le stesse problematiche e inseguono gli stessi obiettivi».
Vale a dire rincorrere la crescita. E riagguantarla. «Difficile, con un Pil che anche quest’anno porterà il segno meno» commenta il segretario della Camera del lavoro, Damiano Galletti. E se per il numero uno della Cisl, Enzo Torri, «questo primo maggio deve avere tre parole d’ordine, lavoro, lavoro e ancora lavoro», il pensiero del segretario di via Altopiano d’Asiago va anche alla necessità di copertura finanziaria degli ammortizzatori sociali, «non una toppa per fermare a tempo l’emorragia - prosegue - ma strumenti per migliorare le capacità professionali dei lavoratori».

La mannaia della crisi ha tagliato in un quinquennio 50 mila posti di lavoro. Uno stillicidio lento ma costante se è vero che, come attestano le proiezioni degli uffici provinciali del lavoro, ogni giorno il sistema Brescia perde 60 posti. Che è difficilissimo rimpiazzare, considerato che, e lo conferma la rilevazione di Unioncamere, negli ultimi dodici mesi hanno chiuso più aziende di quelle che sono nate: -0,4% il tasso di (de)crescita, mai così male dal 2001.
La tragedia di chi chiude e le difficoltà di chi sopravvive: la produzione industriale delle oltre 15 mila imprese manifatturiere bresciane dal 2008 a oggi è caduta del 25%, un gap, ragiona Galletti, «che è stato in primis determinato dall’assenza di una politica industriale coerente». Il modello da inseguire, per il segretario della Cgil, è quello della Germania, «dove il governo non ha lesinato risorse pubbliche per sostenere la sua industria». E per una volta i ragionamenti di Galletti e Dallera corrono paralleli. «Berlino - dice il presidente di Aib - da almeno dieci anni ha fatto quelle riforme che da noi sono sempre rimaste sulla carta».
E sulla carta, ora, c’è l’ambizioso piano per il lavoro del nuovo governo. A Brescia l’attenzione è alta. Come la preoccupazione.
Massimiliano Del Barba

ANSA.IT


Pil:primo trimestre-0,5 Bonino, basta austerità
Tesoro, ok nuovo Btp 30 anni
15 maggio, 19:30

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Pil:primo trimestre-0,5 Bonino, basta austerità

ROMA - "Non è possibile avere solo l’Europa dell’austerità" perché l’Ue "altro deve essere e altro deve fare".Lo ha detto il ministro degli Esteri Emma Bonino alle Commissioni Esteri di Camera e Senato precisando che "non tutti hanno capito" quali possono essere i costi politici" di un’Europa come l’attuale.

Il ministro ha aggiunto che la Farnesina intende "contribuire al rilancio e al consolidamento economico" del Paese che è la prima "priorità" del governo e lo farà innanzitutto attraverso "l’internazionalizzazione delle piccole e medie imprese", una missione che sarà condivisa con i ministeri dello Sviluppo economico e del Commercio con l’Estero.

Il ministro ha parlato anche della situazione delle carceri. "Mi auguro che questo governo riesca a girare pagina" sulle condizioni delle carceri e sulla lunghezza dei processi, per cui "siamo il primo paese condannato dal Consiglio d’Europa", ha detto, sottolineando che la situazione "dal punto di vista umano è intollerabile".

Quanto a Sigonella, ha detto che saranno trasferiti 200 marines Usa, "75 prima, 125 poi, e due aerei". Si tratta di "un rafforzamento per la sicurezza del personale americano in Libia o per possibili evacuazioni". Trasferimenti, ha ribadito la titolare della Farnesina, che "sono avvenuti secondo la modalità prevista dall’accordo" con gli Usa per le loro basi militari in Italia.

PIL PRIMO TRIMESTRE GIU’, E’ RECORD - Cala dello 0,5% il Pil del primo trimestre. Lo comunica l’Istat sottolineando come il calo trimestrale si attenua rispetto all’ultimo trimestre 2012 (-0,9%). Meno forte anche il calo rispetto all’anno precedente (-2,3%) contro il -2,8%.

E’ dell’1,5% il calo del pil già acquisito per l’anno in corso. Il Governo prevedeva -1,3% annuo.

Il primo trimestre del 2013 e’ il settimo consecutivo in cui si registra un calo del Pil. Un’analoga situazione non si e’ mai registrata dall’inizio delle serie storiche, nel primo trimestre 1990. Il calo congiunturale del prodotto interno lordo nel primo trimestre 2013 è la sintesi di una diminuzione del valore aggiunto nei comparti dell’industria e dei servizi e di un aumento nel settore dell’agricoltura.

La Francia e’ entrata in recessione, con un calo dello 0,2% del Pil: lo stima l’Istituto nazionale di statistica. La recessione, tecnicamente, corrisponde a un calo del Pil per due trimestri consecutivi.

Il potere d’acquisto delle famiglie francesi ha registrato nel 2012 un record negativo dello 0,9%: lo annuncia l’istituto di statistica nazionale (Insee). L’istituto , a fine marzo, aveva valutato un ribasso dello 0,4%. Rivisto al ribasso anche il dato sui consumi, allo 0,4% contro il precedente 0,1%.

TESORO: SUCCESSO NUOVO BTP 30 ANNI - Successo per il nuovo Btp trentennale lanciato dal Tesoro. Gli ordini dell’emissione per 6 miliardi raccolti oggi in fase di collocamento dalle banche - Bnp, Citigroup, Deutsche Bank, Ubs e Unicredit - hanno superato i 12 miliardi di euro. E’ quanto si apprende da fonti finanziarie.

GERMANIA, PIL PRIMO TRIMESTRE +0,1% - Il pil della Germania è cresciuto dello 0,1% nel primo trimestre 2013 con una crescita ritenuta debole a causa di un inverno particolarmente rigido. Lo comunica l’ufficio tedesco di statistica dopo aver rivisto al ribasso per la seconda volta il pil del quarto trimestre 2012 (-0,7%).


UE-17: PIL PRIMO TRIMESTRE -0,2%, -1% SU BASE ANNUA - Nel primo trimestre del 2013 il Pil dei 17 Paesi dell’Eurozona ha registrato nel complesso una riduzione dello 0,2% rispetto all’ultimo trimestre del 2012 facendo cosi’ registrare il quarto calo consecutivo. Su base annua, ovvero rispetto al primo trimestre 2012, la flessione del Pil dell’Eurozona e’ stata dell’1%. Le prime stime diffuse oggi da Eurostat indicano che nell’insieme dei 27 Paesi Ue il Pil, nel periodo gennaio-marzo di quest’anno, è sceso dello 0,1% rispetto al trimestre precedente e dello 0,7% nei confronti del primo trimestre 2012. Eurostat ricorda che nel periodo ottobre-dicembre 2012 il Pil aveva registrato una flessione dello 0,6% rispetto al trimestre precedente della zona euro e dello 0,5% nell’Ue a 27. I Paesi che hanno chiuso il primo trimestre con il segno meno rispetto ai tre mesi precedenti, secondo i dati finora disponibili, sono: Cipro (-1,3), Repubblica ceca (-0,8), Italia e Spagna (-0,5), Portogallo (-0,3), Francia (-0,2), Olanda e Finlandia (-0,1). La Germania ha registrato un più 0,1% e la Gran Bretagna un più 0,3%.
La metereologia mette il bastone tra le ruote all’economia tedesca, cresciuta meno delle attese nel primo trimestre. Nel periodo in questione il Prodotto Interno Lordo del Paese ha segnato un aumento dello 0,1% rispetto al -0,7% del trimestre precedente. Gli analisti stimavano una ripresa più marcata dello 0,1%.
Da rilevare che il dato del quarto trimestre è stato rivisto al ribasso al -0,7% rispetto al -0,6% della precedente lettura.
"Tra le ragioni di questa crescita contenuta vi sono le temperature estremamente fredde", spiega l’Ufficio di Statistica Destatis che ha diffuso i dati.
Su base annua si evidenzia invece un calo dell’1,4% dopo la variazione nulla del quarto trimestre. Anche in questo caso quest’ultimo dato è stato rivisto al ribasso rispetto al +0,1% della lettura preliminare.

DICHIARAZIONE SANGALLI SU DOMANDA INTERNA

5 Maggio 2013 - 11:38
(ASCA) - Roma, 15 mag - Il dato sul Pil diffuso oggi dall’Istat certifica una situazione drammatica verso la quale il governo deve rispondere con misure a sostegno della domanda interna. Lo ha detto il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli.
’’Il dato diffuso oggi, se pure lievemente peggiore rispetto alle attese - ha detto Sangalli -, appare perfettamente coerente con le nostre previsioni di un calo dell’1,7% per il 2013 e conferma ancora una volta come l’attuale fase recessiva sia tra le piu’ gravi e lunghe che la nostra economia abbia mai sperimentato’’.
’’La settima riduzione consecutiva del Pil, il dato piu’ negativo dal ’90 - ha aggiunto Sangalli -, ha portato infatti a una consistente contrazione della ricchezza prodotta che, rispetto al 2007, prima cioe’ della grande crisi, sfiora il 9% portando il Pil sui livelli del 2000’’.
’’E’ dunque piu’ che mai urgente - ha concluso Sangalli - che il governo avvii subito le misure annunciate dal presidente del Consiglio Enrico Letta nella sua relazione programmatica per il sostegno della domanda interna e per dare prospettive di ripartenza e di crescita all’economia reale del Paese’’.


CROLLO DELL’IVA (7 MAGGIO 2013)
Il Ministero delle Finanze comunica che nel periodo gennaio-marzo 2013, le entrate IVA sono risultate pari a 20.124 milioni di euro
(–1.900 milioni di euro, pari a –8,6%):
• 16.696 milioni di euro (–882 milioni di euro, pari a –5,0%) derivano dalla componente relativa agli scambi interni;
• 3.428 milioni di euro (–1.018 milioni di euro, pari a –22,9%) affluiscono dal prelievo sulle importazioni.
Nel primo trimestre 2013 l’evoluzione negativa del gettito sugli scambi interni è riconducibile al calo della domanda in tutti i principali settori di attività economica. Persiste la flessione dei consumi di beni e di servizi che si riflette in particolare sul gettito IVA nel commercio degli autoveicoli (–13,4%), nelle attività manifatturiere (–5,8%) e nelle costruzioni (–15,5%), maggiormente colpiti dagli effetti congiunturali negativi. Si registra una dinamica sfavorevole del gettito IVA anche nei settori del commercio all’ingrosso (–5,7%), dell’industria (–4,8%) e dei servizi privati (–4,8%), a fronte di una variazione positiva per il solo settore commercio al dettaglio (+2,1%) che riflette l’efficacia dell’azione di contrasto all’evasione.
L’IVA prelevata sulle importazioni da Paesi extra-UE (–1.018 milioni di euro, pari a –22,9%) risente dell’andamento negativo del valore delle merci importate, in particolare dei combustibili ed oli minerali (–9,2%), di auto e moto (–11,5%) e di indumenti ed accessori di abbigliamento (–13,7%) secondo gli ultimi dati dell’Agenzia delle Dogane, relativi al periodo gennaio-febbraio 2013.

CORRIERE.IT
ROMA - Contro la crisi e le politiche di austerità e per «il diritto al lavoro, all’istruzione, alla salute, al reddito, alla cittadinanza, per la giustizia sociale e la democrazia»: questi i motivi del corteo organizzato dalla Fiom che sabato 18 ha sfilato a Roma da piazza della Repubblica a piazza San Giovanni, dove molti manifestanti hanno chiesto lo sciopero generale. In testa al corteo, con lo striscione «Non possiamo più aspettare», il segretario della Fiom Maurizio Landini e il fondatore di Emergency Gino Strada. Previsti 50 mila manifestanti, ma secondo gli organizzatori sono almeno il doppio.
L’ASSENZA DEL PD - È polemica per l’assenza del Pd che, sottolinea Landini, «governa con il Pdl ma ha paura di noi». Alcuni democratici sono presenti solo a titolo personale: tra gli altri i deputati Matteo Orfini («Non si può disertare la piazza in un momento così importante») e Marco Miccoli («Siamo qui perché è giusto»), l’ex segretario della Cgil Sergio Cofferati («Un errore l’assenza del Pd»), l’ex ministro Fabrizio Barca. Per Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione comunista, «è giusto» che i democratici non sfilino con i metalmeccanici. Perché, spiega, «qui c’è il popolo che vuole cambiare e lo ha chiesto anche alle elezioni, ma il Pd sta impedendo questo cambiamento assieme al Pdl: hanno fatto quanto di peggio potevano fare».
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«AL CENTRO IL LAVORO» - Landini precisa che la manifestazione «non è contro qualcuno, ma di proposta per rivendicare il cambiamento». Perché, spiega il leader dei metalmeccanici della Cgil, «le scelte dei governi Berlusconi e Monti sono all’origine della situazione pesantissima che stiamo vivendo. C’è bisogno di rimettere al centro il lavoro». E sul decreto varato venerdì dal Consiglio dei ministri Landini dice: «Sicuramente è un primo passo ma non è sufficiente». Ci vuole altro: «Bisogna ragionare - spiega - oltre l’emergenza. Occorre il blocco licenziamenti e la riforma degli ammortizzatori sociali, con l’estensione della cassa integrazione facendo pagare a tutti un contributo». Bisogna anche «introdurre il reddito di cittadinanza per combattere la precarietà» e non eliminare completamente l’Imu: «Va mantenuta per le grandi proprietà». Ma il rischio che si corre è quello di un governo «bloccato sotto il ricatto di Berlusconi».
LA PROPOSTA DI VENDOLA - « Chiedo di trasformare le proroghe di cinque mesi dei contratti della pubblica amministrazione in un processo di stabilizzazione, come fece il governo Prodi». È la proposta di Nichi Vendola al presidente del Consiglio Enrico Letta. Il leader di Sel sarà sul palco per il comizio finale di Landini insieme a Stefano Rodotà (che ha avuto la tessera onoraria della Fiom), Gino Strada, Sandra Bonsanti e Fiorella Mannoia (che non canterà). Alla protesta hanno aderito anche il Movimento Cinque Stelle, Rifondazione comunista, Pdci, IdV, Rivoluzione civile, studenti, Anpi e associazioni ambientaliste. Al corteo ci sarà anche Sandro Medici, presidente del X Municipio e candidato sindaco: «È fondamentale partecipare - osserva - perché sarà la prima mobilitazione contro il governo Letta-Alfano».
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IL PERCORSO - Il corteo seguirà il seguente percorso: via delle Terme di Diocleziano, via Cavour, piazza dell’Esquilino, via Liberiana, piazza Santa Maria Maggiore, via Merulana, largo Brancaccio, via Merulana, viale Manzoni, via Emanuele Filiberto, per concludersi appunto in piazza di Porta San Giovanni.
LE MISURE DELLA QUESTURA - Sabato mattina entro le 7 in piazza della Repubblica e in piazza di Porta San Giovanni saranno rimossi tutti i veicoli: non solo auto, ma anche moto, motorini e taxi. Nelle stesse piazze, interdizione allo stazionamento dei venditori ambulanti e rimozione dei contenitori per i rifiuti solidi urbani. La fermata della metro A San Giovanni sarà chiusa dalle 13. Chiusi al pubblico anche i giardini di via Carlo Felice e via Sannio.
BUS DEVIATI - Durante la manifestazione previste deviazioni o limitazioni di percorso per le linee C3, H, 3, 5, 14, 16, 40Express, 53, 60Express, 60L, 64, 70, 71, 75, 81, 82, 85, 87, 92, 105, 170, 175, 186, 218, 360, 590, 649, 650, 665, 673, 714, 810 e 910. Soppresso il capolinea di San Giovanni.