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 2013  maggio 15 Mercoledì calendario

PARIGI, L’ULTIMA SPIAGGIA È DOC


L’ultima trovata del governo di Parigi è quella di estendere il sistema Doc a tutti i campi. Trovata per rilanciare l’economia francese, naturalmente. Esempio. Nel mondo intero si usa l’espressione «sapone di Marsiglia» per indicare un prodotto che naturalmente non viene (nella sua stragrande maggioranza) dalla città in questione. Adesso ci sarà un’etichetta per indicare «fabbricato a Marsiglia». Un marchio Doc, denominazione d’origine controllata, come per il vino e per altri prodotti alimentari.
L’idea di estendere il Doc ben al di fuori della tavola da pranzo era già venuta a Nicolas Sarkozy, quando fu al timone della nave-Francia tra il 2007 e il 2012. Esattamente un anno fa, il 15 maggio 2012, Sarkozy ha lasciato le chiavi dell’Eliseo al suo successore e rivale, il socialista François Hollande. Adesso si fanno i conti e non tira una buona aria. Hollande e il governo rosa-verde del primo ministro Jean-Marc Ayrault cercano ogni modo per rilanciare un’economia a cavallo tra stagnazione e recessione. Uno di quei modi è appunto l’affermazione del made in France attraverso un logo supplementare, che può indicare sia l’origine regionale sia quella nazionale. È il caso del diritto, acquisito dal gruppo automobilistico Psa (Peugeot-Citroën), di utilizzare il Doc per sei vetture (le Peugeot 508, 3008, 5008 e le Citroën DS3, DS4, DS5), sottolineando dunque il fatto che sono altrettante «belle francesi». Il loro marchio includerà l’espressione «Origine Francia Garantita». Un po’ come il Bordeaux e lo Champagne. In tempi di delocalizzazioni, tutto fa brodo.
Un anno dopo il cambio d’inquilino all’Eliseo, in Francia regna il pessimismo. Ogni cosa viene interpretata come se indicasse una disperazione (vera o presunta) della gente. La festa per lo scudetto del Psg, nella notte tra lunedì e ieri, si è trasformata in guerriglia urbana a Parigi? Ecco le televisioni dire che la folla dei nuovi poveri ha assaltato le vetrine. Come in altri tempi, gli affamati assediavano i forni per dar la caccia al pane. La disoccupazione è alta, all’11% della popolazione attiva. Dunque è su un livello italiano, ma è spalmata sul territorio e sulla piramide demografica in modo più omogeneo che nella nostra penisola. Il trauma della disoccupazione giovanile c’è, ma è meno forte che in Italia. Sul piano regionale, la crisi maggiore è nelle zone di vecchia industrializzazione del Nord, al confine col Belgio, mentre il Sud e il Sudovest sono le nuove locomotive economiche. La Francia del ventunesimo secolo ha un polmone mediterraneo. Chi può, cerca d’andare a vivere a Nizza, a Montpellier o a Perpignano. Nella versione originale (che è francese) del film Benvenuti al Sud, il malcapitato ex falso invalido viene spedito per punizione al Nord. L’accusa principale che viene rivolta a Hollande è quella di non aver riformato nei campi in cui le riforme erano indispensabili alla modernizzazione nazionale. Esempio, il costo del lavoro. Uno studio del gruppo bancario Natixis afferma che l’aumento del costo del lavoro sta creando troppi problemi all’industria. Secondo questa fonte, un’ora di lavoro nell’industria (oneri sociali compresi) costa 22,5 euro in Spagna, 26,6 in Italia, 34,9 in Germania e 36,4 in Francia. Forse ci vuole più di un’etichetta per combattere le delocalizzazioni industriali.
A tenere sono i grandi gruppi. Gli eredi di alcuni (solo alcuni) vecchi campioni nazionali alla francese. Areva, nel nucleare. Gdf-Suez e Edf nell’energia. E naturalmente il gigante franco-tedesco Eads nella produzione aeronautica. Quest’ultimo va a gonfie vele, marcando punti in continuazione nella sua eterna sfida (attraverso Airbus) a Boeing. Il 2013 di Eads è molto favorevole e per l’estate si attende il volo inaugurale dell’Airbus 350, ossia dello sfidante del Boeing 787.
Ma alcuni successi non cambiano il volto di un’industria francese in crisi. In vent’anni il declino è stato impressionante. Oggi la Francia (preceduta dalla Germania e anche dall’Italia) è al terzo posto in Europa per i posti di lavoro nell’industria. Un sistema di protezione sociale, che resta molto generoso, ha attutito i contraccolpi dei licenziamenti, ma pesa sui conti dello Stato. Parigi s’era formalmente impegnata con Bruxelles a riportare nel 2013 il deficit della finanza pubblica al di sotto del livello canonico del 3% rispetto al pil. Impossibile. Hollande e il suo ministro dell’economia, Pierre Moscovici, hanno chiesto alle autorità comunitarie un rinvio di due anni. Bruxelles ha accettato, ma al tempo stesso (senza che ufficialmente ci si una relazione diretta tra i due elementi) Parigi s’è impegnata a realizzare una nuova riforma delle pensioni, destinata a mettere al sicuro le pubbliche casse in vista dei prossimi decenni.
Per Hollande è un terreno minato perché le pensioni sono una bandiera della sinistra. Nel 1981 François Mitterrand entrò all’Eliseo promettendo di abbassare a 60 anni l’età pensionabile. Promessa mantenuta. Poi le riforme pensionistiche sono sempre state realizzate dai governi di centrodestra. L’ultima è quella voluta da Sarkozy poco prima di lasciare il potere: l’età pensionabile resta a 60 anni, ma occorrono 42 anni di contributi per lasciare il lavoro col massimo della pensione. Adesso Hollande si orienta a far salire questa cifra a 44 anni, pur permettendo ai connazionali di lasciare teoricamente il lavoro sempre a 60 anni. Un gioco di prestigio per salvare capra e cavoli. Le promesse intrise d’ideologia e la realtà di un impegno assunto con Bruxelles.



Alberto Toscano, autore di questo articolo, giornalista a Parigi da 27 anni, tiene stamane una conferenza alla Sorbona sul tema «L’Italia, paese del compromesso o un paese compromesso?».