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 2013  maggio 15 Mercoledì calendario

IL GOVERNO DI ENRICO LETTA STA PRENDENDO IL LARGO


La forza del governo Letta risiede nella sua debolezza e nel fatto che nessuno dei due grandi politici che lo sostengono ha interesse a farlo fallire. In base al cinico principio che i matrimoni di interesse durano più a lungo che non i matrimoni di amore, anche il governo Letta, pur così gracilino, sembra avviato a una navigazione stentata ma comunque più lunga di quella di un governo balneare. Berlusconi inoltre, da questo punto di vista, ha un asso nella manica. I sondaggi elettorali danno in crescita i consensi del Pdl mentre quelli del Pd continuano a diminuire.
Pertanto, come prima conseguenza di questo fatto (fin che esso dura, ovviamente) deriva la certezza che il partito che più avrebbe da perdere da un’eventuale crisi di governo sarebbe il Pd, dato che alla crisi della compagine di Letta seguirebbe, molto probabilmente, anche la chiusura anticipata della legislatura e quindi pure il conseguente voto anticipato che colpirebbe il Pd proprio mentre il partito retto da Epifani sta faticosamente attraversando il guado nel quale è stato dissennatamente ficcato dalla gestione politica maldestra di Pier Luigi Bersani.
D’altra parte, anche il Pdl ha interesse a tenere in vita il governo Letta perché, in questo modo, spera di contribuire a costruire la leadership del presidente del consiglio. In caso contrario, nel caso cioè di precipitata anticipazione delle fine della legislatura, prenderebbe quota, nel Pd, Matteo Renzi che, nelle successive elezioni politiche, potrebbe dare del filo da torcere a Berlusconi, sottraendo, dal centrodestra, i voti in bilico che sinora hanno votato il Cavaliere per assenza di alternative da loro ritenute convenienti.
La prima conclusione quindi è che, sia pure per opposti motivi, sia il Pd che il Pdl hanno interesse, per il momento, a non creare grane al governo Letta che, da parte sua, per cercare di durare il più possibile, deve cercare di rimanere legato a temi pratici e obbligati come la politica di risanamento economico, l’iniziale riduzione delle imposte (partendo dall’Imu, considerata dal Pdl un’imposta bandiera), la revisione della legge elettorale e il reperimento delle risorse per la cassa integrazione.