Silvio Ramat, il Giornale 14/5/2013, 14 maggio 2013
QUANTA POESIA NEL CARTEGGIO SABA-FERRERO
Pare che una serie di intralci e di fattori avversi ci negherà anche in futuro un epistolario completo di Umberto Saba (1883-1957). Ma di lui ci rimangono comunque vari carteggi, ciascuno dei quali è insieme una conferma e un serbatoio di informazioni inedite se non di novità in assoluto. Pensiamo alle lettere che il poeta triestino si scambiò con Sandro Penna, il più bravo dei suoi «seguaci»; o col narratore istriano Quarantotti Gambini; o con Vittorio Sereni... E ora ne Gli angeli di Cocteau (Archinto, pagg. 119, euro 14) si raccolgono le Lettere 1946-1945 tra Saba e Sergio Ferrero.
Il suggestivo titolo del volumetto, curato da Basilio Luoni e Andrea Rossetti, si rifà alla prima impressione che Saba ebbe diFerrero ventenne. Lo vide nel ’46 a Milano, dove, ospite in casa di amici, il poeta se ne stava a letto anche in pieno giorno per patir meno il freddo. Osservò che quel ragazzone - di quasi due metri non era poi così alto quanto sembrava; il fatto è che, al pari degli «angeli di Cocteau» (autore caro a Saba), «camminava a venti centimetri da terra».
La casa era quella della famiglia Almansi; il padre commerciava in libri usati, come il poeta (che aveva bottega a Trieste); Sergio capitava lì in quanto amico dell’Almansi figlio, Federico, di due anni maggiore di lui. Su Federico ne sappiamo abbastanza; se non sisono mai rinvenute le lettere, innumerevoli, speditegli da Saba, il personaggio che nelle Mediterranee del Canzoniere ha il nome di Telemaco si identifica proprio in Federico. Il rapporto che Saba intrattiene col ragazzo è ambiguo: nell’impulso ad essergli «padre» (il poeta non aveva figli maschi) agisce una componente omofila non facile da intendere e da ricambiare. Nella trama Saba-Federico l’ingresso di Ferrero è relativamente discreto; salvo che una punta di gelosia s’insinua nel giovane Almansi (morrà nel ’57, fiaccato da una lunga malattia mentale, che comportò anche ricoveri alternati a inefficaci terapie), mettendone a repentaglio il sodalizio col quasi coetaneo Sergio. Del quale piacciono a Saba l’intelligenza e certe doti ammirevoli: per esempio, canta come nessun altro vecchie canzoni francesi.
L’affetto di Saba per Sergio si sviluppa al riparo da tentazioni erotiche. Dalla sua Sanremo o da Como, Sergio gli dichiara a più riprese il «bene» che vuole a lui e alla sua poesia; e il celebre poeta lo gratifica - nel 1947, episodio indimenticabile - col dargli appuntamento in un caffè di Milano, dove, leggendo i testi ad alta voce, correggeranno insieme le bozze del Canzoniere atteso da Einaudi. È un segno di straordinaria fiducia. Ferrero è solito affidare al giudizio di Saba (e Federico d’altronde fa lo stesso) i propri acerbi esercizi in verso e in prosa, ricevendone responsi non convenzionali. Per Federico, Saba scriverà - nel ’46 - la prefazione a una raccolta di liriche, uscita poi nel ’48. Ma per Sergio, l’esser stato «corresponsabile» della revisione ultima del Canzoniere è un privilegio immenso. Non gli sarà mai «padre», Saba, no; sì, invece, maestro sicuro e amabile; tanto più amato nella sofferenza, fisica e morale, che opprime il poeta a ogni ritorno nella per lui invivibile Trieste di quell’orribile dopoguerra.
Molto di più ampia e articolata è la materia de Gli angeli di Cocteau; e a considerare il carteggio nella prospettiva di Sergio emergono parecchi elementi utili a una ricostruzione delle radici culturali del narratore Ferrero (scomparso nel 2008), con la sua fertile e originale bibliografia: da Il giuoco sul ponte (1971) a Le farfalle di Voltaire (2002).