Eleonora Barbieri, il Giornale 14/5/2013, 14 maggio 2013
LE DONNE CHE CAMBIANO IL MONDO JK ROWLING
Non sorride nemmeno. Abbozza, il più delle volte. Così JK Rowling mantiene la distanza, sempre: dalla realtà, dagli altri, dal successo clamoroso. È il suo modo di stare in mezzo alle cose: stare sulle sue, per non perdere mai il controllo. Qualche volta, rara, accenna un mezzo sorriso un po’ storto. Non è che abbia motivo di lamentarsi con la vita: è anche una bella donna, Joanne Rowling detta Jo, come la più libera, ribelle e geniale delle sorelle March. Scrittrice proprio come la protagonista di Piccole donne: e come Jo March, anche la Rowling sognava di scrivere romanzi da quando aveva sei anni. Un destino? Non per Jo Rowling, che a queste cose non crede: «Credo nel duro lavoro e nella fortuna» ha detto, specificando che sì, talvolta questi due fattori possono sostenersi l’un l’altro. A lei è capitato. Ma prima, prima c’è stato molto altro. Molta sfortuna, e molto duro lavoro senza soddisfazione, senza vedere risultati. Prima c’era solo Jo, poi è arrivata JK: uno pseudonimo. Alla Bloomsbury, la casa editrice che finalmente accettò di pubblicare il suo manoscritto, Harry Potter e la pietra filosofale (era stato rifiutato da tutti, alcuni lo ritenevano «fin troppo lungo») temevano che un nome femminile intimorisse i ragazzini. Pensavano insomma che il libro fosse solo per gli adolescenti maschi, e che una scrittrice non andasse bene per loro. È così che Jo Rowling si è aggiunta una «K», dal nome della nonna Kathleen, ed è diventata JK, senza fare una piega: anzi oggi lo racconta tranquilla, perché che male c’è? Certo a posteriori è un paradosso. Quella che sarebbe diventata la scrittrice più famosa e più ricca degli ultimi decenni, più ricca perfino della Regina d’Inghilterra, premiatissima, medagliatissima, presente in tutte le classifiche delle donne più influenti, più potenti del mondo, ecco: allora fu mascherata, dietro due iniziali che potevano suonare da uomo. Ma questa è JK Rowling: chissenefrega, così è andata, così ho conquistato il mondo. Il resto sono passatempi per chi ha da raccontarsela. Lei ha da raccontare, invece. E poi la signora della magia è realista come pochi, lo è sempre stata: Joanne Rowling non crede nel destino, crede nel duro lavoro. Perché ancora ricorda di quando si svegliava al mattino e le sembrava un miracolo che sua figlia Jessica fosse ancora viva.
Allora erano soltanto lei e Jessica: aveva divorziato dal primo marito, un giornalista portoghese, ed era tornata a Edimburgo, per stare vicino alla sorella. Ma non aveva un lavoro, non aveva aiuti: viveva coi sussidi statali. Ogni mese a sperare di arrivare alla fine. Oggi dice che quella preoccupazione non ce l’ha più, ed è il lusso più grande: più di qualunque oggetto materiale, la bella casa per la famiglia in Scozia, le vacanze, le scuole per i tre figli, certo; ma soprattutto un incubo che è finito, dissolto. Un incubo scacciato da un sogno che si è realizzato: pubblicare i suoi romanzi. Negli anni senza soldi e senza spiragli, Joanne Rowling continuava a scrivere il suo libro: la prima idea le era venuta quando aveva 25 anni, mentre andava a Londra. Stava aspettando un treno in ritardo. Può sembrare destino, certo: ma poi sono passati sette anni perché il primo libro della saga venisse acquistato da una casa editrice e pubblicato. Il 1997. Altri dieci anni di pubblicazioni: in tutto diciassette anni con Harry Potter, Voldemort, Albus Silente, Hermione. Più che una famiglia.
Harry Potter - ha raccontato in una intervista andata in onda sulla Bbc - non assomiglia a nessuno che abbia mai conosciuto: tanti, compagni di scuola, di università, conoscenti si sono vantati di essere stati il modello del maghetto, ma lei ha assicurato di no. Perché fingere di essere accondiscendenti? Invece, ecco, Hermione sì che ha una fonte di ispirazione: la stessa Rowling. La streghetta secchiona e saputella, geniale e perfettina è quella in cui Joanne si è sempre rispecchiata. Anche lì, accondiscendenza zero. Non è usa negarsi meriti che le spettino: per troppo tempo le sono stati sottratti. È anche per questo che, dietro il sorrisino tirato, JK Rowling non allenta mai la presa: può sembrare perfino un attaccamento eccessivo agli aspetti materiali della professione, il suo; ma la verità è che lei la fame l’ha patita, e coi soldi non scherza. Ha scritto anche per beneficenza, ha donato milioni per le cause a cui tiene (la ricerca sulla sclerosi multipla, le donne e i bambini in difficoltà, il partito laburista dell’amico Gordon Brown), ma non finge di non voler essere pagata, per quello che produce e che vale.
Quando le hanno chiesto di trasformare Harry Potter in film ha imposto una regola ferrea: nessun sequel, se non quelli scritti e approvati da lei. I suoi personaggi sono i suoi figli e non li cederà mai. Ha combattuto in tribunale imitatori e simili, non ha avuto pietà per chi le abbia portato via mezza parola. Ma non è solo paranoia: per due volte hanno rubato le copie in stampa degli ultimi volumi della serie, quando erano in ballo milioni (di sterline e di fan). Per precauzione totale, l’ultimo libro l’ha fatto leggere a una sola persona prima dell’uscita: il marito. JK si è risposata nel 2001 con Neil Michael Murray, ha avuto altri due figli. Lui, prima di conoscerla, non aveva mai letto Harry Potter. Lei, come sempre, deve aver tirato dritto. O riso, forse, perché lei non crede nel destino. Ci crede così poco che il finale di Harry Potter, l’epilogo del settimo e ultimo libro della saga, l’aveva già scritto da anni. Tale e quale. L’ha cambiato solo di pochi dettagli, alla fine.