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 2013  maggio 13 Lunedì calendario

I 7 PUNTI CHE NON TORNANO NEL PROCESSO RUBY

Un processo da «tripla», aperto ad ogni pronostico: da una condan­na piena, ad una assoluzione al­trettanto piena, e con anche la possibili­tà - che fino a poche settimane fa era da­ta per prevalente- di una soluzione a me­tà strada, con Silvio Berlusconi assolto per l’accusa di prostituzione minorile e condannato per la concussione ai danni dei funzionari di polizia che avrebbe co­stretto a rilasciare Ruby. Comunque lo si guardi, il processo che arriva questa mattina ad uno dei suoi passaggi decisi­vi, con la conclusione della requisitoria di Ilda Boccassini, è il più incerto tra tutti quelli affrontati dal Cavaliere nella sua ormai lunga carriera da imputato. Oggi la richiesta di condanna si annuncia pe­sante. Alla prossima udienza la parola passerà ai difensori Niccolò Ghedini e Piero Longo. Ma fin da ora è possibile in­dicare quelle che sono nell’ottica della difesa i punti deboli dell’accusa, le sette incongruenze sulle quali Ghedini e Lon­go da­ranno battaglia per sottrarre Berlu­sconi alla condanna.
1.GLI INTERROGATORI DI RUBY
L’inchiesta nasce con alcu­ni accertamenti da parte del commissariato Centro del­la polizia di Milano in un albergo a cin­que stelle dove era operativo un giro di squillo, ma decolla solo nell’estate 2010 quando Ruby, ospite di una comunità al­loggio nei pressi di Genova, inizia a veni­re interrogata dai pubblici ministeri Pie­ro Forno e Antonio Sangermano. Cin­que di quegli interrogatori, resi tra il 2 luglio e il 3 agosto, costituiscono oggi uno degli elementi dell’accusa. Ruby non ammette mai di avere avuto rapporti ses­suali con Berlusconi ma lo accusa di averle suggerito di inventarsi la parente­la con il premier egiziano Mubarak. Ma oggi è la stessa Ruby a sostenere che vi so­no stati altri interrogatori, mai messi a verbale, e che esistono verbali senza sua firma. Che fine hanno fatto quegli inter­rogatori? Ruby aggiunge che i pm cerca­vano di convincerla ad accusare Berlu­sconi a tutti i costi.
2.LO SCOOP E IL FALSO COMUNICATO
Il caso Ruby esplode media­ticamente il 26 ottobre 2010, quando il Fatto quotidiano apre la sua prima pagina con il titolo «Una minorenne ad Arcore», pieno di detta­gli precisi: compresa la nazionalità del­la ragazza, e il fatto che è ospite di una comunità protetta. Chi e perché ha de­ciso di rivelare al quotidiano di Marco Travaglio l’esistenza di una inchiesta ancora in una fase delicata? E perché lo stesso giorno il procuratore Edmondo Bruti Liberati decide di diramare un co­municato in cui nega l’esistenza di una indagine a carico di Berlusconi? Lo stes­so Bruti Liberati emetterà il 2 novem­bre un secondo comunicato per rendere noto che, dopo gli interrogatori del questore Indolfi e dei suoi collaborato­ri, la vicenda è stata chiarita e che il com­portamento della polizia milanese è stato del tutto regolare. Bruti spiega al­la stampa che «ciò che importa è che la ragazza fosse stata compiutamente identificata, perché non c’era bisogno di attendere l’arrivo della fotocopia. So­no momenti concitati in cui molto si fa a voce. L’affidamento è apparso a tutti una soluzione ragionevole» e ribadisce che Berlusconi non è indagato. Allora su chi sta scavando in quel momento la Procura di Milano?Il 14 gennaio,la Pro­cura parte all’attacco, rivelando l’inda­gine a carico di Berlusconi con trecento pagine di elementi d’accusa mandati al­la Camera.
3.LA COMPETENZA SULL’INCHIESTA
La villa di Arcore di Silvio Berlusconi è nel territorio della Procura di Monza. La telefonata di Silvio Berlusconi al capo di gabinetto della questura di Milano Piero Ostuni parte dalla Francia e raggiunge il funzio­nario nella sua casa di Sesto San Giovan­ni, anch’essa sottola giurisdizione della Procura di Monza. Allora perché le inda­gini si tengono a Milano? E perché sono coordinate dal capo del pool antimafia Ilda Boccassini, visto che nessuno dei due reati contestati a Berlusconi sono di competenza dell’Antimafia?
4.UN PROCESSO SENZA VITTIME
Il rinvio a giudizio di Berlu­sconi viene disposto dal giu­dice preliminare Cristina Di Censo saltando l’udienza preliminare in quanto il giudice ritiene «evidente» la prova del­la colpevolezza. Il decreto della Di Cen­so indica come vittime del reato di con­cu­ssione i funzionari della questura mi­lanese Piero Ostuni, Giorgia Iafrate e Ivo Morelli, nonché il ministero dell’Inter­no nella persona del ministro Roberto Maroni. Ma nessuno dei tre funzionari di polizia né tantomeno il ministero si costituiscono parte civile contro l’impu­tato, dal quale negano di avere subito al­cuna pressione. Ancora più singolare la situazione per Kharima el Mahroug, che il decreto di rinvio a giudizio indica come parte lesa del reato di prostituzio­ne minorile: anche la ragazza nega di avere avuto rapporti sessuali di alcun ti­po, neppure blandi, con il Cavaliere, e non si costituisce parte civile. Di fatto, il processo a Berlusconi si tiene senza che nessuna delle vittime si dichiari tale.
5.L’INTERROGATORIO MAI FATTO
Sia la Procura che la difesa in­dic­ano Ruby nella lista dei testimoni del processo che si apre il 6 aprile 2011 davanti alla Quarta sezione del tribu­nale milanese, presieduta dal giudice Giulia Turri. Ma a sorpresa, nel corso del pro­cesso, Ilda Boccassini rinuncia all’interro­gatorio di Ruby. La difesa si accoda. Si crea così la situazione assolutamente inedita di un processo in cui non viene ascoltata la versione della presunta vittima. Tutti si aspettano che sia il giudice Giulia Turri, cui il codice dà il diritto di convocare d’au­torità i testimoni assolutamente necessari ad accertare la verità dei fatti, a convocare la ragazza: invece la Turri decide solo di ci­tare Annamaria Fiorillo, la pm dei minori che era di turno la notte del rilascio. Perché nessuno ha mai voluto interrogare Ruby? Questo è uno dei misteri del processo. A rendere ancora più surreale la situazione c’è il fatto che Ruby verrà invece interroga­ta nell’altro processo, quello a carico di Ni­cole Minetti, Emilio Fede e Lele Mora, su decisione del tribunale: verrà sentita il prossimo 17 maggio, ma qualunque cosa dica, nel processo a carico di Berlusconi non se ne potrà tenere conto.
6.I POLIZIOTTI CHE NEGANO
I tre funzionari di polizia che avrebbero subìto le pressioni del Cavaliere per rilasciare Ru­by sono stati int­errogati in aula e hanno ne­gato qualunque forma di condizionamen­to. La Iafrate, che dispose personalmente il rilascio di Ruby, ha persino negato di ave­re saputo che la telefonata che segnalava il caso venisse direttamente da Berlusconi. Mentono tutti? E, in caso affermativo, per­ché non sono stai tutti incriminati per falsa testimonianza? Ad imbarazzare la Procu­ra su ques­to versante c’è anche la testimo­nianza di un magistrato: Monica Frediani, procuratore dei Minori (cioè il capo della Fiorillo) che in aula rivela il contenuto di una sua relazione secondo cui quella not­te non avvenne nulla di anomalo. «Nella prassi dell’ufficio, nell’ipotesi di stranieri adolescenti prossimi alla maggiore età, pri­vi di referenti educativi, fermati per identifica­zione o anche denunciati a piede libe­ro per un reato (...) non è insolito che siano affidati in via d’urgenza o temporanea a soggetti maggiorenni compiutamente identificati». Mente anche lei?
7.LA NIPOTE DI MUBARAK
È il passaggio del processo su cui si sono fatte, comprensibilmente, le maggiori ironie: Berlusconi sostiene di essere intervenuto sui vertici della questura milanese perché convinto che Ruby fosse parente del presidente egiziano Hosni Mubarak, e che- in un difficile momento della politi­ca internazionale- andasse evitato un ca­so diplomatico. Come si poteva credere davvero che una marocchina scappata di casa fosse nipote di uno degli uomini più potenti dell’Africa? Il problema è che in aula la difesa di Berlusconi ha portato nu­merosi testimoni secondo cui Berlusconi parlò di Ruby a Mubarak durante un verti­ce bilaterale ben prima che esplodesse il caso. Due spiegazioni possibili: o il Cava­liere si stava già allora precostituendo un alibi, o anche questi testimoni mentono sotto giuramento. Verranno anche loro incriminati in blocco?