Sebastiano Messina, la Repubblica 15/5/2013, 15 maggio 2013
“NON è
un programma” avverte Walter Veltroni a scanso di equivoci. Ma non è nemmeno il saggio di un politico uscito dal campo e salito a guardarsi la partita in tribuna, questo “E se domani” che esce oggi per Rizzoli. E’ un pamphlet appassionato e graffiante, piuttosto. Con una cura drastica per salvare quel Partito democratico che era il suo sogno realizzato ma è stato divorato “dal tumore delle correnti”. E una ricetta coraggiosa per la democrazia italiana: l’elezione diretta del presidente della Repubblica, come in Francia.
Partiamo da qui, perché l’ex segretario dei democratici rompe un antico tabù della sinistra e smonta l’obiezione classica al presidenzialismo, e cioè il timore dell’uomo forte. Lo fa citando uno dei costituenti più geniali, Piero Calamandrei: «Le dittature sorgono non dai governi che governano e che durano, ma dalla impossibilità di governare dei governi democratici ». Insomma, siamo sicuri che le pulsioni populiste e autoritarie non nascano «dalla melmosità di un sistema politico che genera solo assuefazione o rivolta? ». La domanda è retorica, ovviamente, e la conclusione è che è arrivato il momento di “una grande svolta”: dare più
potere al governo. Per esempio con «un sistema semipresidenziale e un meccanismo elettorale a doppio turno di collegio», la formula francese di cui, fino a oggi, il Pd ha fatto propria solo la seconda parte (il doppio turno di collegio) rifiutando decisamente
la prima.
Ma è al Partito democratico, ai suoi errori e al suo destino che è soprattutto dedicato il pamphlet veltroniano (eloquente il sottotitolo: “L’Italia e la sinistra che vorrei”). La diagnosi è spietata. Disegna una sinistra “conservatrice, spaventata dal nuovo”. Una sinistra che vede nella modernità “la farina del diavolo”. Una sinistra che pullula di “giovani politici di professione preoccupati solo della loro carriera e di posizionarsi in correnti e correntine che li proteggano, non importa più in nome di quali idee”. Una sinistra che ha appena incassato
“la più grande sconfitta politica ed elettorale degli ultimi cinquant’anni” e non ha avuto la forza e la lucidità di proporre un “governo del Presidente” guidato da Emma Bonino.
Una sinistra che ha perso “non perché è stata troppo di sinistra, ma perché lo è stata troppo poco”. E soprattutto perché è caduta nella trappola del Cavaliere, che ha trasformato la battaglia politica in un perenne duello tra berlusconiani e antiberlusconiani, “come Wile Coyote con l’odioso Beep-Beep”. Da questa trappola, dice Veltroni, bisogna uscire come fecero i democratici americani: invece di inseguire l’avversario sul suo terreno, alzarono la loro bandiera con Barack Obama, che osò andare in direzione opposta proponendo una riforma sanitaria che non si era mai fatta. Il consiglio è lo stesso che George Lakoff diede allora ai
democratici americani, in un altro pamphlet dallo stesso sapore: “Non pensare all’elefante” (ovvero: non farsi ossessionare dai repubblicani).
Per carità, dice l’ex segretario, anch’io ho sbagliato. Quando D’Alema, nel 1997, teorizzò la supremazia dei partiti “con la P maiuscola” sull’Ulivo, mentre io sostenevo l’opposto, avremmo dovuto chiedere al partito di scegliere con chiarezza tra i due progetti. E invece l’ambiguità ha continuato a corrodere il Pd, finché “il cancro delle correnti” ha divorato il partito, che oggi si ritrova “come una tartaruga chiusa nel suo guscio” che insegue “il velociraptor Grillo”.
E adesso? Adesso è ora di ripartire. Ricostruendo dalle fondamenta un partito che elabori un nuovo riformismo, “realista e coraggioso” (come quello di Obama) attorno a tre parole chiave: responsabilità, comunità e opportunità. Che sia intransigente sull’etica e audace sui diritti, perché “i matrimoni tra persone che si amano devono essere consentiti”, anche se sono dello stesso sesso. Perché solo “un partito fresco, aperto, lieve, non lacerato dal tumore delle correnti e capace di recuperare autonomia culturale e politica può puntare a essere maggioranza”. Si può fare, assicura Veltroni. Anzi, bisogna farlo subito: “Non c’è più tempo da perdere”.